L’Ecuador in rivolta contro Lénin e le politiche economiche dettate dal FMI

7 / 10 / 2019

Da quasi una settimana l’Ecuador sta vivendo giorni difficili, con proteste, manifestazioni e feroce repressione da parte di esercito e polizia in tutto il Paese. È iniziato tutto mercoledì scorso, quando il presidente Lénin Moreno ha annunciato una serie di misure economiche, definite “paquetazo”, dettate dal FMI e che, secondo il presidente, sono necessarie per la crescita del paese ma che, naturalmente, andranno a colpire i settori più poveri della popolazione. Tra queste, il taglio dei sussidi statali che tenevano basso il prezzo del carburante (ora attestato sui valori internazionali), ha scatenato in un primo tempo la rivolta degli autotrasportatori, che fin dalle prime ore del mattino di giovedì scorso hanno paralizzato il paese con blocchi stradali nelle principali arterie di comunicazione.

La giornata di sciopero nazionale ha coinvolto diversi settori della popolazione. Oltre agli autotrasportatori, studenti universitari, lavoratori, movimenti sociali e indigeni hanno aderito alla giornata di lotta. A Quito, i manifestanti hanno più volte forzato i blocchi, cercando di portare la protesta fin sotto la sede del governo e, in questo modo, spingere il presidente a ritirare il decreto e a dimettersi. Nel loro percorso i manifestanti hanno però trovato la polizia in assetto antisommossa che, utilizzando blindati e gas lacrimogeni, ha respinto gli assalti. Sebbene il centro delle proteste sia stata la capitale Quito, in tutto il paese ci sono state forti proteste contro il governo, accusato di aver tradito gli ideali della “revolución ciudadana” lanciata ormai due lustri fa dall’ex presidente Rafael Correa: il presidente Lénin Moreno, infatti è stato eletto presidente tra le file di Alianza País, il partito di Correa, ma fin da subito ha manifestato l’intenzione di staccarsi da quella linea politica. Il caso Assange (mesi fa Lénin Moreno ne ha di fatto concesso l’arresto) e le trattative col Fondo Monetario Internazionale sono solo due delle misure più eclatanti di questo cambiamento di rotta per uno dei più importanti simboli del progressismo latinoamericano. I fedelissimi di Correa all’interno del partito hanno fatto una mozione in Parlamento chiedendo la rimozione del “paquetazo”, le dimissioni del presidente e nuove elezioni.

La reazione del presidente Lenin Moreno all’assedio è avvenuta nel primo pomeriggio quando, accerchiato da proteste sempre più veementi, ha decretato lo “stato d’eccezione”, una misura usata l’ultima volta nel paese dal presidente Lucio Gutierrez, che fu rovesciato da una rivolta popolare il 20 aprile del 2005. Lo stato d’eccezione è una misura drastica e drammatica per la democrazia perché vengono appunto sospese tutte le garanzie istituzionali per i cittadini. Il presidente è ora nella facoltà di militarizzare i territori utilizzando l’esercito per reprimere le proteste per i prossimi due mesi, tempo della durata del decreto.

Una delle più grandi organizzazioni indigene e sociali del paese, la CONAIE, (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) ha denunciato «la dichiarazione dello stato d’eccezione in tutto il territorio nazionale perché significa soprattutto la mobilitazione delle forze armate e la diminuzione delle libertà civili come misura lesiva che contribuisce ad aggravare la crisi che pretende risolvere. La mobilitazione nazionale che oggi prende forza con le domande legittime del movimento indigeno, delle organizzazioni sociali, che raggruppa operai, contadini studenti, indigeni, donne, artisti e cittadini in generale, è la conseguenza diretta della rovina economica ma soprattutto è prodotto dell’alto costo della vita che il governo di Lénin Moreno ha provocato privilegiando la destra e i corrotti e applicando l’agenda e gli accordi imposti dal FMI. Responsabilizziamo il governo nazionale dei fatti di violenza, intimidazione, persecuzione e criminalizzazione dei diritti politici e civili che potranno avvenire in conseguenza della dichiarazione dello stato d’eccezione. È chiaro che il governo non vuole trovare una via d’uscita ai conflitti sociali e la sua unica risposta è la prepotenza e l’abuso di autorità contro il popolo che difende il suo territorio, i suoi diritti, al lavoro e a una vita degna e in pace».

Le proteste sono proseguite per tutto il fine settimana, con episodi più drammatici nella serata di domenica. Sebbene gli autotrasportatori abbiano abbandonato la mobilitazione, tutto il paese è rimasto in fermento, l’aeroporto di Quito è stato bloccato alcuni giorni e numerosi voli sono stati cancellati; in particolare fermento il movimento indigeno, guidato dalla CONAIE che nella giornata di sabato ha emesso un nuovo comunicato in cui ha dichiarato lo “stato d’eccezione” nei propri territori: «Di fronte alla brutalità delle forze armate e nell’esercizio del nostro diritto alla giustizia, dichiariamo lo stato d’eccezione nei territori indigeni. I militari che si avvicineranno ai nostri territori saranno fermati e sottoposti alla giustizia indigena». In questi giorni la mobilitazione indigena contro il paquetazo è stata molto forte, con scontri drammatici in varie comunità rurali: domenica sera a La Esperanza, provincia di Imbabura, secondo le testimonianze della CEDHU, organizzazione di difesa dei diritti umani, due comuneros sono stati uccisi negli attacchi di polizia e militari che entrano nelle case e nelle terre con cavalleria, veicoli blindati, grandi quantità di gas lacrimogeni costringendo la gente a scappare per salvarsi. Più a sud, a Molleturo, provincia di Cuenca, un altro manifestante è stato ucciso durante un blocco stradale, investito da un veicolo che non si è arrestato e ha travolto il blocco.

Nonostante le proteste il presidente Lénin Moreno in questi giorni ha sempre dichiarato che le misure economiche decise non si toccano e la decisione di ricorrere allo stato d’eccezione, e quindi alla repressione del dissenso, è la prova della sua ferma volontà. In questi giorni di protesta sono già oltre 500 i manifestanti arrestati, mentre i feriti non si contano, tanto che che diverse organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno denunciato alla CIDH (la Comisión Interamericana de Derechos Humanos), l’uso eccessivo della forza e le ripetute violazioni dei diritti umani da parte di polizia e militari. Nella giornata di lunedì scuole e università resteranno chiuse e probabilmente anche nei prossimi giorni, in particolare mercoledì 9, il giorno del nuovo “paro nacional”. La “ferma volontà” di Moreno di difendere il paquetazo si scontrerà, in tutti i sensi, con la l’altrettanto ferma volontà dei cittadini di rifiutare queste misure inique.