L'Ecuador tra sconfitta del correismo e riorganizzazione politica dei movimenti

Intervista a Marcelo Jara

26 / 4 / 2021

Esattamente un anno fa circolavano le notizie provenienti dal Sudamerica riguardo alla drammatica situazione dell’Ecuador, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia del COVID-19. Recentemente nel paese si sono svolte le elezioni che hanno registrato la vittoria del leader neoliberista Lasso, come si può leggere in questa disamina pubblicata su Globalproject.info L’Ecuador nelle mani del fondo internazionale. Di seguito un’intervista con Marcelo Jara, compagno che vive in Ecuador che per anni ha vissuto a Milano militando in diverse realtà di base della metropoli lombarda (lo scorso anno lo avevamo sentito in questa intervista La vita in Ecuador durante il coronavirus) a proposito della recente svolta elettorale del paese e della sua situazione complessiva.

Quali sono stati secondo te i principali motivi che hanno determinato la vittoria del banchiere neoliberista Lasso in Ecuador?

Penso è che più che la vittoria di Lasso si sia registrata la sconfitta politica del correismo.

E le motivazioni sono tante. La concessione ad esempio di fette dell’Amazzonia e parte dei territori indigeni a industrie petrolifere e minerarie, ha fatto sì che la gente che abita in quelle aree ha votato i candidati concorrenti a quelli di Correa. Al primo turno il voto si è spostato su Yaku Perez, poi nella fase del ballottaggio, il movimento indigeno ha votato paradossalmente per Lasso. Da questo possiamo dedurre due cose: il voto è stato un voto contro il correismo e poi che il popolo, con la sua forza elettorale, ha deciso l’esito del voto. 

L’esito del voto ha dimostrato quanto il totale scollamento del partito che per dieci anni è stato di Correa, e poi guidato da Moreno, rispetto al popolo dell’Ecuador. Al punto tale che Lasso, sostenuto chiaramente dai poteri forti, ha vinto con ampio margine nell’ultimo turno elettorale. Stiamo parlando di un banchiere che ha provocato il crack del 1999, che ha portato sul lastrico il paese facendo perdere i risparmi a un sacco di persone e facendo emigrare due milioni di ecuadoriani.  

Bisogna anche considerare che all’interno del movimento indigeno si è registrata una forte spaccatura: il presidente della CONAIE (Confederation of Indigenous Nationalities of Ecuador) aveva appoggiato il candidato correista, e questo aveva fatto arrabbiarenon poco  il Patchakutik, l’anima più sociale e movimentista del movimento indigeno, e altri dirigenti della Confederazione. Raffael Correa il giorno dopo il voto ha dichiarato che il suo candidato aveva perso perché i protagonisti del movimento di ottobre 2019 (tra cui molti indigeni) avevano votato contro il suo candidato, giudicando questo “un atto criminale e terrorista”. Il correismo ha dunque persino preso una distanza dai fatti di ottobre 2019 e io per questo motivo penso che il correismo non possa più essere considerato di sinistra.

Pensi che si possa costruire un’alternativa dal basso a questo governo neoliberista?

Tra i movimenti della sinistra, quelli sociali che si muovono dal basso, si sta ragionando su cosa fare perché è molto pericoloso quello che potrebbe succedere: si teme che possa verificarsi una situazione molto simile a quella della Colombia. Inoltre per i movimenti che si muovono in basso a sinistra, ci sono state delle difficoltà a capitalizzare la mobilitazione dell’ottobre 2019, in forme che non siano elettorali.

Adesso l’atteggiamento tipico del momento post elettorale è quello di dire “vediamo cosa succede”, atteggiamento che in Ecuador è molto rafforzato da un’attesa di cambiamento dopo ben quattordici anni di correismo. Il movimento indigeno, che ha un ruolo importante nella resistenza ecuadoregna, è molto diviso, e questo influisce non poco nella creazione di movimenti sociali di opposizione.

Poi ci sono i vari comitati di solidarietà popolare nati nella situazione della pandemia, motore di una solidarietà nata dal basso per far fronte alla crisi sanitaria. Bisogna dire che dopo un anno di attività si muovono tra non poche difficoltà, infatti scarseggiano le risorse finanziarie necessarie. L’idea è comunque quella di creare un fronte di sinistra, dal basso, per essere pronti alle tipiche ricette dell’agenda neoliberista che verranno attuate prossimamente: tagli, privatizzazioni, attacco ai dirigenti sociali ed ai diritti sociali.

Ci puoi raccontare, ad un anno dallo scoppio della grave pandemia in Ecuador, qual è la situazione del paese sul piano sanitario?

In questo momento stiamo vivendo la terza ondata del virus Covid-19 in Ecuador. La situazione è molto grave. Gli ospedali sono pieni, la gente continua a morire, il governo non ha fatto assolutamente niente. Il non intervento del governo in termini di risposte sociali di fatto favorisce la proliferazione del virus: la gente invece che stare a casa senza reddito vuole andare a lavorare, e quindi più facilmente rischia di ammalarsi.

Inoltre i vaccini sono sì arrivati, ma vengono distribuiti solo ai ricchi, ai politici, ai poliziotti, ai militari, ma per il resto della popolazione vanno a rilento e in modo anche scandaloso. Si vedono dei video in rete di alcune feste private dove nei quartieri residenziali, abitati dai ricchi, presidiati da guardie del corpo, vengono vaccinate delle persone benestanti in un clima appunto di festa. Gli anziani invece arrivano a fare delle file che durano dieci ore, senza distanziamento sociale, una vera e propria barbarie.