L’Egitto vuole riconquistare il posto di potenza regionale.

Dietro alla tregua di Gaza e alla guerra civile libica emerge il ruolo di pacificatore armato del ex generale Al Sisi.

di Bz
28 / 8 / 2014

Al Sisi, acclamato dai partiti laici egiziani come il ‘salvatore’ dell’Egitto dalla deriva islamista impressa dal, 'democraticamente’ eletto, presidente Morsi, ora, il generale golpista, dopo aver massacrato migliaia di ‘terroristi’ riconducibili ai Fratelli Mussulmani, dopo aver messo fuori legge le organizzazioni riconducibili, appunto, alla Fratellanza Mussulmana, dopo aver ‘sbaragliato’ gli avversari nelle elezioni presidenziali, è riuscito ad accreditarsi sul piano internazionale come il ‘paciere’ su cui contare per guadagnare un possibile equilibrio instabile nell’area geopolitica a cavallo tra Mediterraneo e Medio Oriente, muovendosi spregiudicatamente a 360 gradi, trattando con ‘nemici’ giurati come i leader di Hamas ed Erdogan, tirando per la giacchetta gli USA di Obama, restii a rinnovargli gli aiuti promessi, a causa dei contratti di fornitura militare sottoscritti dal Egitto con la Russia.

L’Egitto, forzatamente pacificato da Al Sisi, si ripresenta, dunque, sulla scena politica internazionale con forza e determinazione, come la potenza regionale, in concorrenza con Turchia e Iran, quale possibile alleato e garante dell’ordine internazionale costituito, dentro lo scombussolamento del quel quadrante geopolitico in atto da almeno 3 anni, dall’avvio delle primavere arabe, e che ora minaccia di collassare con effetti sociali e politici difficilmente contenibili in questo o quel paese. I risultati ottenuti nella guerra di Gaza e l’ingerenza nelle vicende libiche ne sono un riflesso.

Sulla sponda del Mediterraneo alla sua destra il generale presidente Al Sisi, ha, con un sotterraneo lavorio politico, costretto alla trattativa Hamas, la formazione politica che lo stesso ex generale ha osteggiato politicamente e militarmente, tagliando i rifornimenti e il retroterra nel Sinai, perché Hamas ha avuto ed ha forti legami coi Fratelli Mussulmani, suoi antagonisti interni, e Israele.

Un accordo per una tregua di lungo periodo, infatti, sembra essere stato raggiunto, tale da porre fine a questa fase del conflitto israeliano – palestinese per il controllo della striscia di Gaza. Un accordo, il condizionale è d’obbligo, che dovrebbe prevedere l’apertura dei valichi di frontiera con Egitto e Israele sotto controllo dell’Autorità palestinese e dell’esercito egiziano, il rilascio [scambio] di un numero indefinito di prigionieri, l’allargamento delle acque territoriali per la pesca di fronte a Gaza in cambio dell’impegno a desistere nei combattimenti da parte delle milizie di Hamas. Un accordo salutato come una vittoria della resistenza palestinese, così come ugualmente viene valutato dal Governo di Netanyahu per il semplice fatto di aver eliminato 1000 ‘terroristi’ e decine di tunnel; ancora una volta le parti in causa si emulano, sorvolando sugli oltre 2400 morti palestinesi e 80 israeliani, sugli innumerevoli feriti, sui danni psicofisici della guerra sulle popolazioni civili, sulle distruzione di interi quartieri di Gaza, con centinaia di migliaia di sfollati.

Una devastazione sociale e una insanabile ferita sociale, destinate a perpetuare una situazione di conflitto tra le parti, dentro cui radicare ancora più profondamente un odio che diventa linfa vitale per l’impossibile estremismo politico di tutti coloro che pretendono l’eliminazione la negazione dell’esistenza dell’altro, israeliano o palestinese che sia.

Sul lato sinistro del Mediterraneo l’aviazione di Al Sisi è intervenuta con i suoi cacciabombardieri in Libia, dove si sta consumando una lotta per bande – chi le monitora ne ha contato 1700 – che si è trascinata dall’eliminazione di Gheddafi senza soluzione di continuità, nonostante ripetute elezioni, accordi, alleanze garantite dai rappresentanti gli interessi europei ed internazionali, tra cui  L’Italia. L’Egitto è seriamente preoccupato del consolidamento dell’alleanza tra le milizie islamiche jihadiste e dell’arretramento militare di quelle legate all’ex generale ‘laico’ Haftar, dell’anarchia istituzionale con la presenza di 2 parlamenti, uno a Tobruk ai confini con l’Egitto e l’altro a Tripoli, con il paese diviso chiaramente tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Ha, quindi, inviato i suoi bombardieri in soccorso all’alleanza delle milizie pro Haftar per contenere il dilagare degli estremisti islamici, che in alcune aree del paese hanno proclamato imposizione della sharia e del nuovo Califfato, in sintonia ed emulazione con quanto è avvenuto tra Iraq e Siria.

Una ingerenza militare egiziana che non può essere avvenuta senza il placet dei paesi europei, degli Usa e della stessa Algeria che assistono, impietriti, all’avanzata nel Mediterraneo delle bandiere nere del Califfato del XXI secolo, una sorta di medioevo tecnologico prossimo venturo.