Libia - Il riposizionamento delle potenze mondiali

Intervista a Giorgia Grifoni sull'attuale situazione libica: gestione dei pozzi petroliferi e accordo sui migranti che potrebbe creare un precedente per l’emergenza in Libia

3 / 5 / 2016

Al momento la Libia è divisa da una parte dal governo Serraj, insediatosi il mese scorso a Tripoli e sostenuto dalla comunità internazionale, dall'altra dall'assemblea parlamentare di Tobruk che è però, di fatto, controllata dal generale Khalifa Haftar, sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti e dall'Egitto, che impedisce da mesi la costituzione di un governo di unità nazionale. Le mosse del governo Serraj sono indirizzate al controllo e alla nazionalizzazione di diversi pozzi petroliferi presenti in tutto il paese, ed è proprio su questo nodo che nelle ultime settimane si sono acuite le tensioni e c'è stata una richiesta diretta di Serraj alla comunità internazionale di un intervento militare. Partendo da questi presupposti che scenari si prospettano in Libia sia rispetto agli equilibri interni, sia rispetto agli interessi strategici delle potenze straniere e delle multinazionali?

Ci sono da fare delle precisazioni. La prima, la più importante, è che il governo el-Sarraj non è il secondo governo insediatosi in Libia, ma il terzo. C'è quello di Tripoli, legittimo per il significato del termine (perché eletto), ma osteggiato dalla comunità internazionale perché troppo islamista;  c'è poi quello di Tobruk, formato da una parte dei transfughi di Tripoli e controllato sempre da Haftar, gradito dall'Occidente perché meno islamista (che lo ha riconosciuto in passato come legittimo rappresentante del popolo libico, nonostante i suoi deputati fossero stati eletti con un'affluenza del 18 per cento) e a un certo punto misteriosamente abbandonato dall'Occidente stesso. E poi c'è quello di al-Sarraj, che nessuno degli altri due Parlamenti riconosce come legittimo perché de facto costruito a tavolino dalla Comunità internazionale (QUI il report dalla Conferenza di Roma). Questo governo è stato studiato apposta per dare alla Comunità internazionale quello di cui ha bisogno: petrolio, che potrà essere procurato con le buone (se riesce a stabilizzare il paese con alleanze, ma per farlo dovrebbe essere un genio dei rapporti clientelari come lo era Gheddafi) o con le cattive (intervento esterno dietro minaccia islamista ai terminal petroliferi, e questo sarà possibile proprio perché è il governo "legittimo" - cioè messo su per permettere alla Nato di intervenire - a chiederlo).  Se Tobruk è stata abbandonata dall'Occidente ci sarà un motivo: troppe poche alleanze, distanza dai terminal più importanti (che si trovano in Tripolitania) o fermezza inaudita nel negoziare sul petrolio, che è l'unica cosa che interessa all'Occidente.
Quindi ora ci si riprova con un nuovo governo.

Fatte queste premesse, e dato soprattutto il fatto che Haftar è stato escluso dalla rosa ministeriale "legittima" e che questo gli brucia molto, mi vengono in mente due scenari: i primo è una nuova fase della guerra civile tra Tripoli e Tobruk, con quest'ultima che troverà un pretesto qualsiasi per agire e che verrà aiutata sul campo dall'Egitto con la scusa di "arginare la minaccia islamista". L'Egitto infastidisce non poco la comunità internazionale per la sua posizione a supporto di Tobruk, ma è anche vero che al-Sisi cerca di porsi continuamente come garante della lotta al jihadismo nell'area e a lui, come vediamo in questo periodo per il caso Regeni, difficilmente la Comunità internazionale è pronta a rinunciare. Se si dovesse risvegliare la guerra civile sarebbe un bel casino, perché le alleanze tribali si spaccherebbero ancora di più con un terzo governo in ballo e le milizie si moltiplicherebbero.

Il secondo scenario che vedo è un intervento Nato su richiesta di al-Sarraj, come si vocifera in questi giorni, con gravi conseguenze non solo per gli Stati che vi prenderanno parte, ma anche per la popolazione civile tanto ignorata dai grandi strateghi che si troverà nel fuoco incrociato di milizie e contingenti stranieri. Figlio di questo scenario, a Libia definitivamente devastata, sarà la tanto sognata ripartizione in tre nuove colonie: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, con le tre potenze "mandatarie" Italia, GB e Francia che faranno i loro allegri comodi con il petrolio. Come vediamo in questi giorni, l'ipotesi intervento straniero non è poi così concreta: si è visto dalla freddezza della risposta del G5 alla richiesta di Sarraj, perché sanno bene che non è facile delineare un intervento in Libia (un mandato Onu non sarebbe possibile, la Russia metterebbe il veto; il mandato Nato ricorda tanto il disastro dell'intervento contro Gheddafi).

All'ultimo G5 di Hannover le varie potenze mondiali ( Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia) che  hanno avuto un mandato dall'ONU per risolvere la crisi libica, si sono accordate sul sostegno al governo Sarraj: sia rispetto alla possibilità di creare un governo di unità nazionale (dopo il fallimento della trattativa dello scorso dicembre), sia sulla costituzione di un dispositivo militare di monitoraggio sulle coste libiche che riduca il flusso dei migranti sulla costa verso l'Europa . Rispetto a quest'ultima attività è la NATO a garantire la presenza di navi militari che garantiscano la continuità dell'operazione. Quali sono i reali obiettivi della NATO e delle potenze che la sostengono, sia rispetto al monitoraggio delle coste, sia in generale rispetto ad un eventuale intervento militare internazionale in territorio libico?

Il meccanismo è sempre lo stesso: anche per questa operazione, come per tutte le altre, la Nato dovrebbe rapportarsi con uno Stato (forze dell'ordine, istituzioni ecc) che la Libia non è. Ci sono milizie frammentate e parlamenti belligeranti ed è molto probabile che l'operazione si trasformi subito in un pantano. Avvicinarsi troppo alla costa per beccare i trafficanti è rischioso, soprattutto in un paese sminuzzato. Mi chiedi se penso che l'operazione anti-migranti sia una scusa per un intervento? Beh, dal momento che i flussi migratori sembrano essersi spostati all'est e che questa rotta non è più quella principale, sembra proprio di sì. O almeno sarà un'operazione di "ricognizione".

Il 17 febbraio Wikileaks ha reso pubblico il documento che aprirebbe ad una nuova operazione occidentale. Il rapporto tratta dell’invio di truppe in Libia all’interno dell’Operazione Sophia, operazione dell’Unione Europea contro i trafficanti di rifugiati a cui prendono parte 22 membri Ue e 1.300 uomini.

Dopo un lungo elenco di statistiche sugli arrivi di migranti, le rotte seguite e gli arresti di trafficanti compiuti, il rapporto presenta le fasi che Sophia dovrebbe perseguire e che si intrecciano agli sviluppi politici in Libia. Ovvero alla realizzazione dell’accordo siglato a dicembre in Marocco tra i due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk. Obiettivo europeo diventa quindi l’implementazione dell’accordo, «la creazione di un governo [di unità nazionale] su cui fare affidamento, che in cambio ‘inviti’ le forze europee a operare all’interno delle acque territoriali (Fase 2B) e dopo dia il permesso ad estendere le operazioni militari europee lungo la costa (Fase 3)».

A distanza di qualche mese, mentre il neonato governo Al-Serraj fatica a imporre la propria autorità politica ed economica su buona parte della Libia, un accordo sui migranti tra Bruxelles e Tripoli, seguendo il modello stabilito a marzo da UE e Turchia, sembra più prossimo della stessa unità nazionale libica. Questo comporterebbe due conseguenze:  da un lato l’accordo tra UE e Turchia rappresenta il primo passo di politica comune europea in materia d’immigrazione e quindi da riproporre; dall’altro si replicherebbe a Tripoli il sistema dei respingimenti verso un paese terzo.

I continui riferimenti ad un accordo con la Libia, partendo dal precedente turco, denotano una situazione poco chiara, sia sulla questione dei rimpatri, sia sul ruolo giocato da Tripoli. La decisione statunitense di affiancare le navi europee nelle acque libiche – come già accade nel Mar Egeo – in vista di un possibile blocco navale attivo da quest’estate, non fa che confondere ancora di più gli equilibri. Soprattutto di fronte a un governo che vive unicamente del sostegno esterno e che è pronto a chiedere all’Europa qualsiasi cosa questa gli suggerisca di chiedere. Da un intervento armato contro l’Isis a un’intesa sull’immigrazione.