Lo zapatismo, il vero focolare di resistenza al salinismo

26 / 10 / 2017

La storia dell’EZLN è lunga, ma possiamo soffermarci su alcuni momenti importanti che ci aiutano a sbrogliare l’intrico della propaganda nera contro gli zapatisti, sostenuta dalle dure parole di AMLO e di altri che non sostengono lo zapatismo: la calunnia di coloro che non sono altro che marionette manipolate da Salinas. (Di recente nelle loro insinuazioni di carattere razzista hanno sostenuto l’idea che sono mere marionette anche le migliaia di indigeni che la settimana scorsa hanno appoggiato la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno, Marichuy.)

Il primo di questi momenti è stato la rivolta del primo gennaio del 1994. Un evento che ha impedito a Salinas de Gortari di terminare trionfalmente i suoi sei anni di mandato, e che ha coinciso con l’entrata in vigore del NAFTA e un tipo di propaganda che pretendeva di presentarlo come un Gorbachov messicano. Con la sua dichiarazione di guerra, gli zapatisti fecero crollare l’immagine mediatica di Salinas e permisero di riprendere fiato al movimento antisalinista e alla sinistra, che aveva iniziato a scontrarsi contro la truffa che la pose ai margini della presidenza nel 1998, ma che aveva perso potere prima della spinta del gruppo neoliberale a Los Pinos (*residenza ufficiale del Presidente a Città del Messico) con la complicità panista.  

Salinas de Gortari e il suo gruppo (Colosio, assassinato dallo stesso sistema, Camacho Solís, poi assessore di AMLO, Aspe Armella, che ha ricoperto in varie occasioni il ruolo di assessore di un delfino di AMLO: Marcelo Ebrard (salinista del gruppo di Camacho), Ruiz Massieu, anche lui ucciso dallo stesso sistema che servì), alla fine dei sei anni di mandato, si aspettavano di governare per altri sei ma la rivolta zapatista fece crollare le loro speranze. Zedillo fu improvvisato come candidato priista e beneficiò del senso di colpa e della paura di una guerra che generò l’assassinio di Colosio, ma non riuscì a mantenere l’egemonia priista e di fronte all’insistenza del PRD di mantenere un candidato per sempre (Cuauhtémoc Cárdenas) coloro che trassero vantaggi dall’ “alternanza” furono i membri del PAN con Fox. 

Inizialmente l’immagine di Fox era quella dell’“eroe nazionale” che era riuscito a scacciare da Los Pinos il PRI. Il principio del suo crollo avvenne molto presto e coincise con la Marcia dei Colori della Terra con la quale gli zapatisti e il CNI esigevano che venissero rispettati gli Accordi di San Andrés. Gli indigeni furono traditi dall’alleanza tra Cevallos (PAN)- Ortega (PRD)- Bartlett (PRI) e questo spinse gli zapatisti a intraprendere la strada dell’autonomia nelle loro comunità e a schierarsi contro il capitalismo a livello globale e nazionale. 

La cessione del potere esecutivo del PRI al PAN (e nella capitale al PRD) fu dato non solo dal discredito del PRI (la cui cristallizzazione fu causata in misura maggiore dalla rivoluzione zapatista), ma anche da una riforma elettorale con la quale lo stato messicano incluse i partiti di opposizione come parte di un sistema politico (oggi una partitocrazia), che emerse prima della sfida lanciata dagli zapatisti: ne beneficiarono PAN e PRD, il primo con la presidenza della Repubblica (Fox e Calderón) e il secondo con il governo del DF (oggi CDMX: Cárdenas, Robles, Obrador, Encinas, Ebrard y Mancera). Le negoziazioni effettuate in via Barcelona, a città del Messico, furono realizzate, nel caso del PRD, inizialmente da Porfirio Muñoz Ledo e poi da López Obrador. I partiti raccolsero il frutto del sangue zapatista che portò all’apertura del sistema verso coloro che poterono vincere le elezioni ma che poi tradirono lo zapatismo rifiutando gli Accordi di San Andrés, i primi accordi in una strada verso la pace intrapresa dall’EZLN, e la cui negazione colpì molti altri indigeni in Messico e processo che dette il via alla creazione del Congresso Nazionale Indigeno, il CNI.

Gli zapatisti ruppero allora i rapporti con la classe politica e si dedicarono a costruire l’autonomia nei loro territori, nelle comunità e nei villaggi, concretizzando così gli Accordi di San Andrés. Questi processi di autonomia e autogoverno sono stati promossi da comunità e popoli indigeni in diversi territori messicani: sono forme di resistenza ma anche proposte per un Messico postcapitalista. L’autonomia delle comunità zapatiste è molto diversa da quella delle altre comunità indigene, ma possiede legami di fratellanza, espressi nella lotta congiunta come CNI. Gli indigeni messicani non propongono una loro separazione dal Messico, la loro forma di autonomia è differente da quella catalana o dal quella mapuche (non diciamo migliore o peggiore, ma diversa). Per di più hanno avanzato una proposta di potere popolare autorganizzato dal basso che non pretende affermarsi come una comunità utopica locale o regionale, ma che sfida il sistema capitalista e lo stato messicano con un modo alternativo di produrre la sua vita e il suo mondo. Questa sfida è rimasta una costante all’interno dell’EZLN, ma di tutti gli attori che si sono mantenuti vicini, sono stati gli indigeni coloro che hanno maggiormente sostenuto un processo di autorganizzazione come forma di resistenza e di lotta. Loro sono il nucleo intorno al quale è nata la proposta di lotta attuale. 

È ironico che vengano rivolte delle insinuazioni nei confronti degli zapatisti da parte di coloro che hanno beneficiato della loro lotta e dei loro morti: per prima cosa il vento nuovo per la sinistra che stava in ombra in Messico dalla frode del 1998 e dal crollo del muro di Berlino del 1989; poi con la riforma elettorale che le aprì la strada per governare Città del Messico, dove i governi di sinistra si sono rivelati efficienti amministratori del neoliberismo a favore di impresari del salinismo come Carlos Slim.

Ironico anche che i sostenitori di AMLO accusino di salinismo o di priismo gli zapatisti, che in realtà hanno proposto candidati e votato una gran quantità di priisti, molti di loro salinisti o zedillisti, come  Cuauhtémoc Cárdenas, López Obrador, Marcelo Ebrard, Juan Sabines, Ángel Aguirre Rivero (le cui mani sono macchiate del sangue dei normalisti già quando AMLO lo appoggiò come governatore del Guerrero), Gabino Cue, Lázaro Cárdenas Batel, Narciso Agúndez y Leonel Cota Montaño, Manuel Bartlett, Dante Delgado, Ricardo Monreal. Sono anche responsabili di aver portato al potere altri politici di estrazione non priista ma il cui pensiero era favorevole al priismo, come Miguel Ángel Mancera e Rosario Robles.

I diffamatori dell’EZLN li accusano di complicità nelle frodi elettorali del 2006, ma tutto ciò è falso. Al contrario, coloro che lo attuarono, del gruppo di Elba Esther Gordillo, erano alleati di Morena nella più recente elezione avvenuta nell’Estado de México e non si esclude che lo saranno anche per le elezioni presidenziali del 2018. López Obrador ha detto rispetto a Gordillo che “non si deve fare legna dell’albero caduto”. Altri continuano a sostenere la menzogna secondo la quale gli zapatisti spinsero le persone a non andare a votare nel 2006 e nel 2012, ma anche questo è falso. L’EZLN non ha mai detto di non andare a votare. Ha rivolto delle forti critiche nel 2005 e nel 2006 (anche prima e dopo) al PRD e a López Obrador, critiche che nel tempo hanno dato ragione agli zapatisti. 

Attualmente il Congresso Nazionale Indigeno (di cui l’EZLN fa parte) ha costituito un Consiglio Indigeno di Governo (la cui portavoce è María de Jesús Patricio Martínez) che propone di fare un passo avanti nell’organizzazione e nella lotta anticapitalista in Messico e nel mondo. Partendo dallo stesso López Obrador, i calunniatori hanno resuscitato il vecchio argomento secondo il quale tutto ciò serve per togliere voti e alcuni tra i più fanatici seguaci dell’eterno candidato si sono uniti ad una campagna razzista, misogina e di disprezzo classista contro la portavoce del CIG, un’attivista sociale da tutta la vita, un’indigena nahua.  

Ironicamente, il vero erede del liberismo sociale che auspicò Salinas de Gortari è López Obrador (vari connotati salinisti si sono rivelati vicini alle idee sostenute dal candidato di Morena) e, in recenti proposte, nel tentativo di opporsi a Trump, Obrador ha rivendicato l’importanza del NAFTA, massima opera di Carlos Salinas de Gortari, e ha proposto di dare maggiori concessioni alle compagnie minerarie canadesi, la cui politica criminale distrugge le comunità e i territori in diverse regioni geografiche messicane. 

È chiaro che, per qualsiasi persona che si informi da fonti verificate e giudichi in buona fede le cose, lo zapatismo e i suoi alleati rappresentano il maggior numero di oppositori al neoliberismo salinista e ai suoi progetti di devastazione sociale e ambientale.

Al contrario, Obrador, più che usare la bandiera nazionalista (il petrolio, per esempio), è stato il promotore delle candidature ben riuscite di molti che hanno realizzato opere di devastazione sociale e ambientale in Messico. Niente ci dice che AMLO cambierà le cose mentre i suoi seguaci continuano a diffamare in maniera sistematica.

Mostrare come realmente stanno le cose è parte di un sano esercizio di memoria e di capacità critica.
E’ necessario, tra le altre cose, perché questa sinistra neoliberale nata dal PRD e ora supportata da Morena, non rappresenterà mai gli interessi di coloro che difendono il territorio dalla devastazione capitalista. Per questi c’è la proposta differente rappresentata dal Consiglio Indigeno di Governo e dalla sua portavoce Marichuy, sostenuto dal Congresso Nazionale Indigeno e dallo stesso Consiglio Indigeno di Governo.

Tutte le informazioni raccolte in questo articolo possono essere analizzate e verificate, se si ha la pazienta di recarsi presso gli archivi emerografici, alcuni nati prima di quelli online. Scoprire la verità e non permettere che venga cambiata con falsità utili alla propaganda è un necessario atto di coscienza.