Lula è di nuovo presidente, ma sul Brasile rimane l’incubo del bolsonarismo

31 / 10 / 2022

Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, è il nuovo presidente del Brasile per i prossimi quattro anni. Tirano un sospiro di sollievo le minoranze, le popolazioni indigene, i poveri e l’Amazzonia, che in questi quattro anni di presidenza Bolsonaro hanno subito ogni genere di attacco. Finisce l’era di Bolsonaro, ma il bolsonarismo rimane: queste elezioni infatti hanno dimostrato in maniera drammatica e inequivocabile il radicamento nella società brasiliana del bolsonarismo, un incubo di violenza, disuguaglianze, razzismo, ingiustizie odio e intolleranza che sarà difficile da estirpare.

Lula ha vinto con il 50,90% delle preferenze, che in termini di voti si tramuta in oltre 60 milioni. Per Bolsonaro hanno votato poco più di 58 milioni di cittadini, un risultato in linea con il secondo turno delle elezioni del 2018 dove aveva trionfato su Fernando Haddad del PT, anche se è il primo presidente della storia a non riuscire ad essere rieletto. Gli oltre 60 milioni di voti di preferenza, invece, rappresentano per Lula il miglior risultato di sempre alle elezioni presidenziali: Lula è il presidente più votato di sempre, un risultato che supera anche quelli degli anni d’oro dei primi due mandati vinti nel 2002 e 2006.

La giornata elettorale si è svolta in un clima di alta tensione: nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli atti di violenza di bolsonaristi nei confronti di elettori di Lula o semplicemente di persone afrodiscendenti o indigene. L’azione più eclatante è stata quella della deputata bolsonarista Clara Zambelli, ripresa mentre inseguiva con la pistola puntata e pronta a sparare un ragazzo afrodiscendente “colpevole” a suo dire (versione poi smentita) di averla offesa. Durante la stessa giornata elettorale numerose sono state le denunce di intimidazioni da parte di adepti di Bolsonaro nei confronti della popolazione, soprattutto indigena, che si stava recando ai seggi.

A complicare la situazione si è messa anche la PRF (Policia Rotoviaria Federal) che ha bloccato i mezzi pubblici messi a disposizione dei cittadini per recarsi ai seggi impedendo di fatto a migliaia di persone di esercitare il proprio diritto di voto. Secondo il sito Jornalistas Livres ci sono state 514 azioni della PRF volte ad impedire ai cittadini di recarsi al seggio elettorale, in particolare nelle regioni del nordest, che storicamente sono il maggior bacino elettorale del PT e di Lula. Sulla questione è intervenuto anche il direttore del TSE Alexandre de Moraes che ha smentito la notizia dichiarando che gli elettori non sono stati danneggiati dalle operazioni della PRF, poiché, secondo lui, i blitz hanno fermato gli autobus solo per 15 minuti. Tuttavia, quando un giornalista gli ha chiesto chi fosse la fonte di questa informazione, il direttore del TSE ha dichiarato che era lo stesso capo della PRF, Silvinei Vasques, un personaggio che proprio alla vigilia delle elezioni aveva dichiarato il proprio appoggio a Bolsonaro.

Fortunatamente i tentativi del clan Bolsonaro di manipolare le operazioni di voti non sono stati sufficienti a sconfiggere il rivale Lula. Come al primo turno, le veloci operazioni di scrutinio hanno dato in un primo momento come risultato un preoccupante vantaggio a Bolsonaro. Ma se al primo turno tale vantaggio era arrivato a quasi un milione e mezzo di voti, in questo ballottaggio, il vantaggio di Bolsonaro su Lula si è fermato sotto le 800 mila preferenze. Attorno alla metà dello spoglio è cominciata la lenta rimonta di Lula, con il sorpasso che si è concretizzato attorno al 70% dello spoglio, proprio come al primo turno. Da lì in avanti è stata una cavalcata vincente, terminata con circa due milioni di voti di vantaggio per Lula.

Nel suo lungo discorso per la vittoria, Lula ha iniziato facendo riferimento alle vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto negli anni scorsi (e che gli hanno impedito di candidarsi nel 2018) e alla “resurrezione” di oggi con la «vittoria della democrazia al di sopra dei partiti politici, degli interessi personali e delle ideologie». Per Lula, la vittoria non è stata contro un candidato ma contro l’apparato statale che ha cercato di favorire in tutti i modi Bolsonaro. Il nuovo presidente ha poi ricordato il suo impegno passato nella difesa dell’Amazzonia, dell’ambiente e delle popolazioni indigene, promettendo di continuare a difenderli e a combattere la fame. «È tempo di deporre le armi - ha continuato - che non avrebbero mai dovuto essere impugnate. Le pistole uccidono. E noi scegliamo la vita. Il popolo brasiliano vuole vivere bene. Vuole un buon lavoro, uno stipendio che sia sempre riadattato all'inflazione, vuole avere una sanità pubblica e un'istruzione di qualità. Vuole la libertà religiosa. Vuole libri invece di pistole. Il popolo brasiliano vuole ritrovare la speranza».

Speranza. Ora si apre finalmente una nuova era per il Brasile dopo il periodo buio di Bolsonaro. Con Lula certamente cambierà la narrazione del paese: al posto della violenza, delle umiliazioni, del negazionismo, delle devastazioni ambientali, nei discorsi ufficiali si farà di nuovo spazio la pace, la democrazia, la solidarietà, il rispetto delle minoranze e dell’ambiente. Tuttavia rimangono tanti dubbi sulla reale capacità (o possibilità) di Lula di toccare le fondamenta della violenza e delle disuguaglianze. Il suo rischia di essere un governo progressista nella teoria ma molto moderato nella pratica, e ciò è dovuto in parte alla rete di alleanze strette in campagna elettorale coi partiti di centro e centro destra e dall’altra parte alla debolezza nel Congresso dove Bolsonaro ha la maggioranza e certamente si opporrà alle politiche progressiste promosse da Lula.

Come ci hanno raccontato in queste settimane gli attivisti del MAB e del sindacato CSP-Conlutas, era fondamentale cacciare il fascista Bolsonaro dalle poltrone del potere, ma è altrettanto vero che con queste elezioni non terminerà la lotta degli oppressi che ora «dovranno vedersela con un nemico mascherato». Inoltre, per quanto si possa festeggiare lo scampato pericolo di una rielezione di Bolsonaro, non va assolutamente sottovalutato il radicamento nella società del bolsonarismo: un’ideologia violenta che non si fa nessuno scrupolo a rivendicare i propri atti antidemocratici e che certamente non avrà paura in futuro di utilizzare la violenza come strumento politico. Il futuro del Brasile ricomincia adesso, ma la strada rimane in salita...

Foto di copertina Midia Ninja.