Marocco - Intervista a un militante del Rif

28 / 6 / 2017

Il movimento del Rif marocchino per la giustizia sociale continua da otto mesi [1]. In seguito alla brutale repressione delle manifestazioni di Al Hoceima nel giorno dell’Eid El Fitr [2], pubblichiamo la traduzione della prima parte di un’intervista a un attivista di sinistra dell’Hirak. L’intervista è stata pubblicata originariamente dal blog avalancheofdust [3].

Con 32 attivisti riffani colpiti dalle “vergognose” condanne del 13 giugno, e ulteriori arresti e processi a partire da quella data, le rivolte in città si fanno più intense e si ripetono ogni notte dalle dieci di sera a mezzanotte, dopo l’ultima adhan e prima del coprifuoco. Le camionette della polizia ammaccate dalle pietre sfrecciano rapide tra i quartieri popolari di Sidi Abed e Marmoucha.

Durante la sua visita in Marocco il 14 giugno, Emmanuel Macron ha assicurato che il re Mohammed VI appoggia il diritto costituzionale alla protesta, ma la rabbia contro le condanne al carcere e il fatto che il re abbia parlato al président prima che al Rif ha spinto per la prima volta dei manifestanti a dire “silmiyya, c’est fini”, è finito il pacifismo.

Mi trovavo nella zona di Al Hoceima, il centro urbano della regione del Rif nel nord-est del paese, quando ho parlato con un militante di sinistra del posto a proposito dell’Hirak, del re, del Rif, del Marocco e delle possibili traiettorie di un cambiamento politico. Questa è la prima parte.

Puoi spiegare come si è sviluppato l’Hirak?

Il movimento è cominciato l’anno scorso in ottobre, con l’omicidio di Mouhcine Fikri, un venditore di pesce che si trovava in possesso di una quantità significativa di pesce proibito in quella stagione. 

Ci sono due versioni dell’omicidio. La prima, la più ripetuta dai media, dice che la polizia gli ha chiesto una mazzetta, lui ha rifiutato e così gli hanno buttato il pesce nell’autocompattatore. Lui ha provato a entrare e un poliziotto ha detto “Tahan mu” (“Trita sua madre”). [L’autista ha così accesso la pressa schiacciando Fikri all’interno.] L’altra versione, che io ritengo più credibile, è che Fikri entrò nell’autocompattatore prima che ci mettessero il pesce, dicendo: “Io vivo di questo, dovete passare sul mio corpo”. Era un atto di resistenza.

L’espressione “Tahan mu” ha fatto infuriare la gente, stava a significare che le autorità se ne fregano dei cittadini. Possono schiacciare chi gli pare, uccidere chi vogliono. Per di più, si tratta di una lingua straniera [la prima lingua parlata nel Rif è l’amazigh e non il dialetto arabo marocchino]. La gente è molto sensibile rispetto agli abusi degli ufficiali marocchini.

Mouhcine Fikri è stato ucciso un venerdì sera e le proteste in Al Hoceima sono cominciate immediatamente. Il funerale è stato tenuto il sabato. Domenica ci sono state proteste a Rabat, Casablanca, Marrakech. Però mi sembra – non so se mi sbaglio – che le proteste sono declinate poco dopo.

Ci sono state manifestazioni di solidarietà in altre regioni del Marocco, ma le proteste sono finite in breve tempo, con l’eccezione del Rif stesso. Le proteste nel Rif erano diventate più piccole, ma la cosa si stava trasformando in un movimento. Nasser Zefzafi e il suo gruppo, altri attivisti, fecero il giro dei villaggi per parlare alla gente e discutere dei loro problemi. Per la prima volta, gli abitanti trovavano qualcuno con cui parlare, un sentimento di comunicazione reciproca e di comprensione. Il Makhzen [il regime] ha paura di questo perché non riesce a farlo, non riesce a ottenere la fiducia della gente. Zefzafi invece sì. Ogni villaggio in cui Zefzafi è andato a parlare oggi si sta mobilitando quotidianamente per la sua liberazione.

Come sono state elaborate le rivendicazioni?

C’è stato un lungo dibattito nei villaggi e su internet, di modo che ognuno potesse contribuire e discutere localmente le soluzioni ai propri problemi. Si facevano sessioni di “brainstorming”. Una piattaforma rivendicativa preliminare è stata pubblicata in novembre, e chiunque avesse aggiunte o modifiche da suggerire poteva contattare gli organizzatori.

La lista definitiva è stata dichiarata il 5 febbraio durante una manifestazione poi pesantemente repressa.  Le rivendicazioni sono state pubblicate un mese dopo, il 5 marzo. Il 5 febbraio è una data simbolica, quella della morte al Cairo di Abdelkrim Al-Khattabi [leader della resistenza anti-coloniale riffana]. Il tutto è stato molto carico di simbolismo. A ogni azione dello stato, il movimento risponde usando il passato, la storia.

I ministri sono stati ignorati quando hanno visitato Al Hoceima il 22 maggio. Solo una settimana prima avevano accusato l’Hirak di separatismo in un comunicato del Makhzen uscito il 14 maggio. Gli attivisti hanno risposto usando una frase di Al-Khattabi che, dopo le esecuzioni di massa e gli arresti del 1958 [in seguito alla Rivolta del Rif], domandò: “Siete un governo o una mafia?”.

In ottobre, le proteste erano contro la hogra (gli abusi delle autorità). Ma, dopo un periodo di discussioni, proteste e repressione, non si tratta più solo degli abusi delle autorità e la gente chiede quello che noi nel Regno Unito chiamiamo “servizi sociali”: sanità, scuole, ecc…

Sì, la gente sta lontana dalle rivendicazioni politiche, chiedono ospedali e scuole. Il governo dice che alcune di queste rivendicazioni sono già coperte dal piano “Al Hoceima, faro del mediterraneo”. Il piano è stato lanciato nel 2015 ma non se ne è visto niente.

I separatisti riffani – si auto-definiscono “repubblicani” e sono d’accordo con alcune loro idee – sostengono che c’è qualcosa di profondamente marcio nello stato marocchino, che non si può cambiare con il budget ma politicamente. Per ora l’Hirak non sta avanzando rivendicazioni politiche, ma spero che si evolva chiedendo un qualche tipo di autonomia e federalismo, perché i soldi non possono cambiare lo stato marocchino.

L’Hirak non ha espresso rivendicazioni esplicitamente costituzionali o territoriali, ma vuole importanti cambiamenti per la vita della popolazione. Mi colpisce come si tratti di rivendicazioni sociali che parlano ai riffani ma anche agli abitanti di tutto il paese. Sono specifiche e generali allo stesso tempo. Sembra una buona strategia.

Come dici, il movimento sta pensando strategicamente: “Chiediamo diritti che in ogni paese democratico sono il minimo”. Se avessero iniziato con rivendicazioni politiche come l’autonomia e il federalismo o qualche tipo di ridistribuzione dei poteri, avrebbero spaventato il regime. La repressione avrebbe colpito immediatamente, il giorno stesso della morte di Fikri. Si tratta di una strategia per dare tempo alle mobilitazioni.

In Marocco ci sono posti dove la gente sta peggio che nel Rif, dove si vive come nell’età della pietra, senza tracce di vita moderna. Lì hanno bisogno di servizi ancora più di noi. Questa era l’idea di Zefzafi. Credo che la mossa più importante del movimento sia stata quella di permettere a qualsiasi gruppo politico o sindacato di partecipare alle manifestazioni, impedendogli però di influenzarne la leadership. Alle manifestazioni si vedono si vedono islamisti e sinistra radicale di tutti i gruppi, ma sono lì come individui.

Quali sono le relazioni tra l’Hirak e gli altri gruppi politici? Mi hanno detto che non ci sono relazioni formali con altri gruppi, nemmeno le forze democratiche?

Dopo la morte di Fikri, Zefzafi ha detto che non dovevamo lavorare con i partiti. Li chiamava “dakakin siasa” (“negozi di politica”). Voleva che il movimento fosse completamente indipendente da qualsiasi cosa avesse a che fare con lo stato. Questa ossessione per l’autonomia organizzativa è causata dal fatto che il Rif è stato truffato, ingannato, molte volte nella storia. Alcuni hanno dichiarato di difendere gli interessi della popolazione ma hanno solo perseguito i loro. Dopo il terremoto del 2004, dei notabili locali formarono un comitato per supervisionare la ricostruzione. Il comitato si presentò come un organo indipendente creato per il bene comune e ottenne l’approvazione del governo. Ma la ricostruzione fu piena di irregolarità e malversazioni. In seguito, emerse un’associazione mirante a fare pressione sul comitato. Il leader dell’associazione era un radicale, un comunista, che aveva il sostegno della popolazione. Ma alla fine si vendette anche lui. Queste delusioni e altre simili hanno reso la popolazione riffana scettica nei confronti degli individui e dei gruppi che dicono di servire il bene comune. 

L’Hirak ha fatto appello affinché organizzazioni di base simili emergano dappertutto nel paese. Queste ultime potranno formulare le proprie rivendicazioni sulla base dei loro bisogni. Per esempio, nel Rif abbiamo bisogno di ospedali per il trattamento del cancro, di un istituto di sismologia (perché la zona è a rischio sismico), ecc. L’idea è che in Marocco si diffondano molti movimenti simili all’Hirak, con le loro rivendicazioni locali.

Le donne, e le rivendicazioni per i diritti delle donne, sono state vitali per la crescita dell’Hirak. Puoi spiegare meglio?

La società riffana è un po’ conservatrice. Di solito le donne non sono coinvolte nella politica. Quindi il fatto che le donne abbiano domandato gli stessi diritti degli uomini è stato un messaggio molto forte. Tra i leader più forti e influenti ci sono anche donne. Per esempio Nawal Ben Aissa, che prima dell’Hirak aiutava le donne con il cancro soprattutto nelle zone rurali. Era un attivista anche prima dell’Hirak. Sono rimasto molto sorpreso dal fatto che le donne abbiano partecipato in modo tanto forte. Cioè, le donne hanno sempre fatto parte di alcuni aspetti minori della politica, ma non sono mai emerse in modo così forte. È una specie di cambiamento sociale.

(A questo punto, mostro al mio amico la foto di un gruppo di donne che chiedono a dei giovani uomini di smettere di tirare pietre alla polizia.)

Sì, chiaro. Sanno che la polizia colpirà prima loro.

I leader dell’Hirak sono tutti lavoratori. Zefzafi era un tassista e via dicendo. Al Shabab (la gioventù), quelli che protestano ogni notte, sono tutti lavoratori poveri, quasi tutti giovani sottoccupati o disoccupati. Giocoforza il patrimonialismo del Makhzen esclude o ostacola anche alcuni capitalisti. Ci sono dei capitalisti riffani che sostengono l’Hirak?

Ti sbagli. Non c’è parte sostanziale del capitale che non sia leale al regime. Durante il Movimento 20 Febbraio, il milionario Karim Tazi aiutava il movimento con donazioni per stampare materiale ecc. Così gli fecero un controllo fiscale e scoprirono che doveva milioni allo stato. Chiunque abbia un’azienda in Marocco viola alcune leggi. Se sei con l’Hirak, lo stato verrà a prenderti.

[1] Leggi gli approfondimenti già pubblicati su globalproject.info QuiQui, e Qui.

[2] https://ledesk.ma/2017/06/26/al-hoceima-et-sa-region-en-etat-de-siege/

[3] https://avalancheofdust.wordpress.com/2017/06/18/moving-where-an-interview-with-an-al-hirak-activist-part-one/