Messico: Las Abejas di Acteal. Davanti alla violenza, esempio di organizzazione, amore e dignità.

20 / 1 / 2018

«A vent’anni dal massacro che sterminó 45 persone, l’organizzazione civile autonoma “Las Abejas de Acteal” (“Le Api di Acteal”) continua ad essere oggetto di pressioni e abusi di potere da parte delle autoritá del “mal gobierno” e dei suoi alleati paramilitari. La risposta davanti a questi ripetuti atti di violenza continua ad essere organizzazione pacifica e lotta per l’autonomia, degna e ribelle». Testo di Fabio Gatti e Mauricio Centurion, “Red de Solidaridad con Chiapas - Buenos Aires” (Argentina). Foto: Mauricio Centurion.

In un angolo del sud-est messicano, nello stato del Chiapas, municipio di Chenalhó, si trova la comunitá di Acteal, abitata da circa 500 persone in maggioranza di etnia tsotsil, una delle etnie maya che attualmente popolano le montagne e la selva di questa parte di Messico.

Il ruolo che questa comunitá ricopre all’interno dell’immaginario e delle lotte di resistenza delle comunitá indigene del Chiapas é stata sottolineato recentemente dal Subcomandante Insurgente Galeano durante il suo primo intervento nei giorni del ConCiencias, il festival zapatista sulle scienze. [1]

Citando le parole del poeta Juan Buñuelos durante un omaggio in suo onore nel 2007, all’incontro dei poeti del mondo latino, Galeano ha ricordato uno dei fatti piú tragici, e ancora senza giustizia, della storia recente del Chiapas: la strage di Acteal [2,3].

 

«[...] concretamente, vado a quanto segue: il 22 dicembre 1997 si è perpetrato l’assassinio di 45 indigeni nella comunità di Acteal, che si trova nel municipio di San Pedro Chenalhó, nello stato del Chiapas. La più sanguinaria delle molte aggressioni che hanno subito: l’accanimento con cui donne, bambini e uomini sono stati assassinati da gruppi paramilitari. Il governo volle spiegare che si trattava di “lotte intertribali”. Non è un caso, inoltre, che la maggioranza dei morti siano state donne né che la violenza sessuale commessa dai gruppi paramilitari fosse per seminare il terrore nelle comunità e per attaccare i progetti autonomisti.

[...]

Il giorno dopo il 22 dicembre 1997 fui inviato ad Acteal come membro della Conai (Commissione Nazionale di Intermediazione per la Pace) per indagare su quanto era successo. L’impressione fu spaventosa: trovammo abiti insanguinati di bambini e donne tra gli arbusti e in una grotta dove avevano cercato di nascondersi. Alcuni dei sopravvissuti fornirono la loro testimonianza raccontando i particolari di come furono massacrate alcune donne sventrate (quattro erano incinta) per estrarre i loro feti con un tale accanimento che sintetizza una politica di sterminio.

Micaela, una bimba di 11 anni, ha molta paura. Ci racconta che da molto presto era con sua mamma a pregare e giocare con i suoi fratelli affinché non disturbassero. C’erano diverse donne nella cappella. Alle 11 del mattino è iniziata la sparatoria, i bambini hanno cominciato a piangere, uomini e donne a correre, ed altri erano già raggiunti dai proiettili; un proiettile ha colpito alla schiena la mamma di Micaela. L’hanno trovata per il pianto dei due bambini che poi sono stati assassinati. Micaela si è salvata perché la credettero morta. Aveva molta paura ed era corsa a nascondersi sulla riva del ruscello. Da lì vide i paramilitari tornare con i machete in mano; ridevano, facevano chiasso, hanno denudato le donne morte e tagliato loro i seni. Ad una hanno inserito un bastone tra le gambe e a quelle incinta hanno aperto il ventre e tirato fuori i figli e giocato con questi: se li lanciavano da machete a machete. Poi i tipi se ne sono andati gridando, gridando e gridando. Micaela è stata presa per mano da suo zio Antonio per andare a cercare i cugini o gente conosciuta che potesse ancora essere viva tra i morti. Lei continua a raccontare: “abbiamo trovato due ragazzini che stavano vicino alla loro madre morta; il bambino aveva la gamba a brandelli, l’altra bambina aveva il cranio spaccato e cercava di aggrapparsi alla vita. Dopo il genocidio molti non sono riusciti a sconfiggere la tristezza: Marcela e Juana hanno perso la ragione, non parlano più, emettono solo monosillabi quando sentono il rumore degli elicotteri militari che sorvolano la comunità».

Acteal 2

Coloro che persero la vita erano membri della “Societá Civile Le Api di Acteal”, un movimento sociale pacifista che lotta per la rivendicazione e il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene, nato il 10 dicembre del 1992 a seguito di un conflitto familiare evolutosi in conflitto politico interno alla comunitá [4]. Attualmente, formano parte del Consiglio Nazionale Indigeno (CNI) e del Consiglio Indigeno di Governo (CIG), le due istituzoni che rappresentano tutti i popoli originari in atto di resistenza contro il “mal gobierno”, il cattivo governo dello stato messicano e dei suoi amministratori.

 Il 22 dicembre di quest’anno si sono compiuti vent’anni dalla strage raccontata attraverso le parole di  Buñuelos, vent’anni da un crimine che continua ad essere commesso perché rimane ancora senza giustizia. 84 persone furono accusate di essere direttamente coinvolte nei fatti della strage, 58 finirono in carcere, ma oggi la maggior parte di loro cammina libera per le montagne del Chiapas e continua a partecipare alle operazioni dell’organizzazione paramilitare alleata del PRI, il Partito Rivoluzionario Istituzionale che governa in Messico quasi initerrottamente dal 1929, ricevendo premi e riconoscimenti anziché giudizio e castigo.

Acteal 3

Attualitá

 Abbiamo avuto l’opportunitá di visitare la comunitá di Acteal per alcuni giorni grazie al Centro per i Diritti Umani “Fray Bartolomé de Las Casas, A. C.” (Frayba), sperimentare il loro modo di organizzarsi pacificamente e camminare sul suolo sutto cui si trovano interrati i 45 martiri della strage, come nella comunitá chiamano coloro i quali vennero assassinat* durante il massacro. Oltre a ció, siamo stati testimoni di come alla pressione costante sui membri della comunitá dovuta alla recente liberazione dei paramilitari coinvolti nelle azioni di allora, si aggiungono piccole ma frequenti azioni mirate a indebolire e dividere la stessa comunitá. Quello che segue é un breve resoconto dei fatti di quei giorni.

Acteal 4

Il 5 di gennaio, poco dopo il nostro arrivo, veniva arrestato nella colonia Los Chorros José Vazquez Entzin, membro de Las Abejas e che secondo fonti ufficiali del governo “non aveva adempito ai compiti comunitari”. Consultando alcun* compagn* presenti nella comunitá e alcuni mezzi di comunicazione indipendenti ci rendiamo conto che una parte di questo inadempimiento era legato al fatto che il membro de Las Abejas, a causa del fango que aveva reso la strada di accesso al proprio terreno impraticabile, aveva lasciato un camion pieno di sabbia in una zona non autorizzata. In realtá, la situazione di conflitto risale a circa due anni prima, nel 2015, come puntualizza quello stesso giorno in un comunicato il Consiglio Nazionale Indigeno:

 «Il motivo dell’arresto del nostro compagno non é il camion di sabbia, piuttosto le ragioni si devono al fatto che i compagni José y Antonio Ramírez Pérez (Antonio), nell’anno 2015 si negarono ad accettare l’imposizione di un’opera pubblica di drenaggio per manifestare cosí la propria resistenza ai progetti del cattivo governo che non portano un reale beneficio per le comunitá, ma sono fatti per prendersi gioco della nostra dignitá oltre ad essere parte della strategia contro-insorgente del governo.

Questo atto di resistenza dei nostri compagni é costato loro molto, perché dal 30 novembre del 2015 gli furono tagliati i servizi di luce de acqua. Un anno dopo, l’11 aprile del 2017, i compagni provarono a riallacciarsi alla luce e all’acqua peró le autoritá della comunitá del “Río Jordán” non glielo permisero, tagliarono nuovamente tali servizi, e arrestarono 3 compagni della stessa comunitá per aver supportato il tentativo di riallaccio. In questo stesso anno, il giorno 10 di agosto, arrestarono un altro compagno per esprimere solidarietá con José e Antonio. Tutti questi fatti, al giorno d’oggi, sono rimasti nella totale impunitá.

Acteal 5

Il 6 gennaio alcuni membri dell’organizzazione civile, assieme ad alcuni promotori di salute e a sopravvisuti al massacro del ‘97 decidono di avvicinarsi al luogo nel quale era detenuto Entzin con l’obiettivo di solidarizzare con il detenuto, verificare il suo stato di salute e accompagnare con preghiere la detenzione. Otto di loro vengono, analogamente, arrestati senza una reale accusa.

Il CNI aggiunge, riferendosi a tali arresti:

 Come Consiglio Indigeno di Governo ci teniamo a chiarire che questa situazione non nasce oggi né ieri. Si tratta di un ulteriore passo nella strategia del sistema capitalista per indebolire il processo organizzativo dei popoli originari, con i suoi progetti di morte che cerca di imporre per mettere fine alla resistenza. É una situazione che nasce e che i popoli soffrono da tempo.

[…] Ripetiamo che come popoli originari del CNI non lasceremo solo il nostro compagno, perché questa repressione é un tentativo di indebolire il popolo, ma noi diciamo claramente che questo non ci indebolirá, anzi, ci fornisce un ulteriore motivo per andare avanti e rafforzarci ancor di piú nella nostra lotta organizzativa. I compagni e le compagne de Las Abejas non lottano da soli. Noi siamo con loro, se toccano uno toccano tutti.

 

Donne organizzate per la liberazione

Il 9 dicembre, 22 donne della Societá Civile Las Abejas di Acteal realizzano quindi una azione pacifica con l’obiettivo di ottenere la liberazione dei compagni ingiustamente tenuti in stato di arresto da quattro giorni nella colonia Los Chorros. Fanno una processione fino alla comunitá del “Río Jordán” con in mano candele, uno stendardo della vergine di Guadalupe, una bandiera della pace e uno striscione con il quale esigono la liberazione degli incarcerati.

 Alla guida della manifestazione c’é Guadalupe, detta Lupita, che il giorno della strage aveva 10 anni e oggi é consigliera del Consiglio Indigeno di Governo e accompagna la portavoce Marichuy nella sua carovana messicana raccontando la sua storia. Lupita é il chiaro esempio della rinascita costante de Las Abejas, essendo uno di quei semi di speranza che il governo non poté eliminare e che oggi convertono il proprio dolore di allora in lotta e organizzazione.

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Dopo 5 ore di attesa nel freddo, l’assenza di risposte concrete e diverse minacce ricevute, le compagne rimanevano unite, pregando. La risposta delle autoritá, quando arriva, esige una multa di 5mila pesos messicani per la liberazione di ciascuno dei detenuti. Oltre a ció,  alcuni abitanti della comunitá “Rio Jordan” minacciano che, se anche si fossero pagati i 5 mila pesos per detenuto, José Vásquez Entzin y de Antonio Ramírez Pérez sarebbero stati espulsi dalla comunitá e gli sarebbe stata bruciata la casa.

Las Abejas rispondono quindi con organizzazione e diffusione a livello internazionale, grazie all’appoggio e al supporto di diversi media indipendenti e di diverse organizzazioni che solidarizzano con la causa e rapidamente riescono a diffondere l’informazione e l’appoggio alla loro lotta. Grazie alle pressioni esercitate e ai riflettori globali accesi sulla situazione, le autoritá decidono quindi di liberare gli arrestati, non prima però di trasferirli nel municipio di Chenalhó: tutto lascia pensare che l’intenzione fosse ottenere una fotografia con il governatore del municipio, membro del PRI, Rosa Perez Perez, in modo da poter speculare sulla situazione con scopi elettorali, viste le elezioni imminenti.

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Al rendersi conto di tali intenzioni, la risposta de Las Abejas é organizzata ed efficate: tutta la comunitá si riunisce, si scambiano alcune parole in tsotsil e tutt* salgono i 50 metri di scalinata che unisce la comunitá con la strada provinciale. Quindi si corre senza sosta i 2 chilometri che separano Acteal dalla strada che unisce Chenalhó con Rio Jordan e si blocca la strada aspettando che arrivino i furgoni con i detenuti, forzando in questo modo le autoritá a liberarli in quel momento e a consegnarli ai membri della comunitá lí confluiti. Viene richiesto ache l’impegno a formare un tavolo di confronto per risolvere la questione in maniera consensuale.

 Tale tavolo di mediazione, in realtá e nonostante le dichiarazioni di Gustavo Moscoso Zenteno, coordinatore e portavoce della Segreteria di Governo del Chiapas, non é mai arrivato a formarsi. Non solo: in tali dichiarazioni, rilasciate a 3 giorni dalla liberazione dei membri dell’organizzazione, si minimizza la gravitá dei fatti, si tergiversa sulle cause del conflitto, si menziona un supposto accordo raggiunto e si ignora lo sfondo paramilitare che fa da contorno a tutta la situazione. In risposta a ció. In risposta a ció, il 13 gennaio la Societá Civile Las Abejas ha diffuso il seguente comunicato (in spagnolo) nel quale si torna a chiarire e denunciare i gravi fatti dei giorno precedenti, e che crediamo opportuno condividere integralmente (vedi qui).

La situazione è attualmente ancora senza reale risoluzione all'orizzonte.

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Per l’ennesima volta, l’organizzazione e la mobilitazione collettiva da una lezione ai giochi sporchi dei cattivi governi. Chiudiamo con le parole di “Radio Zapatista”, un mezzo di comunicazione indipendente che ha seguito la vicenda di quei giorni con particolare zelo e dedizione:

«Ad Acteal, quella notte, lo spirito collettivo aveva sconfitto la violenza. Con la loro dignitá, la loro organizzazione e il loro valore, le donne di Acteal ci stavano insegnando che é possibile affrontare l’odio, la violenza e il terrore non con altro odio e altra violenza, ma con organizzazione, amore e dignitá».

Riferimenti:

 [1] http://www.globalproject.info/it/mondi/le-scienze-di-fronte-al-muro-gli-zapatisti-e-il-secondo-incontro-conciencias-por-la-humanidad/21231

[2] http://www.globalproject.info/it/mondi/a-ventanni-dal-massacro-di-acteal-qualcuno-ricorda-ancora-il-conflitto-in-chiapas-e-i-diritti-indigeni-negati-in-messico/21185

 [3] https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/01/02/intervento-della-commissione-sexta-del-27-dicembre-2017-al-coscienze-per-lumanita-supgaleano-dipende/

[4] http://acteal.blogspot.mx/p/historia-de-las-abejas.html