da La Jornada del 2 dicembre 2014

Messico - Peña Nieto, tu non sei Ayotzinapa

Accada quel che accada, troveremo i 43, assicurano i genitori dei desaparecidos.

2 / 12 / 2014

Peña Nieto, tu non sei Ayotzinapa. Questo è stato il contundente messaggio che ieri migliaia di cittadini hanno lanciato al presidente, in una giornata in cui i manifestanti hanno di nuovo fatto loro le strade per esigere, ancora una volta, il ritorno dei 43 normalistas scomparsi due mesi fa ad Iguala, in Guerrero.

Quella di ieri è stata la sconfitta della paura. In migliaia sono scesi nelle strade, hanno riempito il centro storico ed alcune delle vie principali di Città del Messico. A nessuno è importato l'ultimo segnale dato dalle autorità durante la marcia del 20 novembre, ovvero le detenzioni arbitrarie, le cariche e il rapido sgombero dello Zocalo della città.

Questo non è importato. Oggi c'è un nuovo trionfo della cittadinanza, “gli spazi pubblici sono nostri, non loro” sono le frasi che si sentivano ieri tra i manifestanti. “Paura? Solo del silenzio”, riassumeva un giovane su un semplice cartello.

I genitori dei normalistas scomparsi sono tornati a prendere la parola per esigere che il presidente si faccia carico delle richieste dei messicani. “Peña Nieto, tu non sei Ayotzinapa. Non sei il popolo, non ci rappresenti”, hanno gridato dai gradini di Angel de la Independencia. Il monumento è stato illuminato di rosso sangue per accogliere i migliaia di cittadini che ieri hanno marciato per continuare ad esigere ciò che chiedono da due mesi: il ritorno degli studenti e le dimissioni del presidente.

Espressioni diverse

Il sentire cittadino è stato espresso in modi diversi: attraverso cartelli che portavano scritte come “Il Messico non ha un presidente, EPN, tu non sei Ayotzinapa, sei Atlacomulco”, “Cosa raccoglie un paese che semina corpi?”, e poi bandiere nazionali dipinte di nero, donne che con la pittura rossa simulavano ferite per evocare i desaparecidos, striscioni che recitavano “Non ne possiamo più”.

Studenti di diverse università pubbliche e private, professori, decine di ONG, sindacati e moltissimi cittadini indignati hanno marciato da vari punti del centro storico fino al Angel de la Independencia.

Dallo Zocalo, dal Hemiciclo a Juarez e al Monumento della Rivoluzione, per unirsi e inondare il Paseo de la Reforma in un grido permanente che con questo movimento ha preso forza: Peña Nieto vattene. In migliaia hanno attraversato la città: quando l'ultimo gruppo partiva dallo Zocalo, la testa arrivava all'incrocio tra Reforma e Juarez, poi quando i genitori dei normalistas sono arrivati all'Angel, la coda del corteo aveva appena passato l'Emiciclo.

Ogni volta che veniva nominato il presidente, un grido unanime rispondeva con prese in giro ed un altro slogan: lo Stato è il colpevole.

I genitori dei normalistas, accompagnati da un ampio gruppo di familiari di altre persone scomparse in tutto il paese, hanno guidato questa marcia che si è conclusa con un'assemblea pubblica dove Clemente Rodríguez, padre dello studente Cristian Rodríguez, ha sintetizzato il sentimento delle 43 famiglie: accada quel che accada, li troveremo.

Con voce rotta ha continuato: “abbiamo dovuto lasciare i nostri lavori, le nostre terre e le case per andare a cercare i nostri figli, perché il governo non lo fa”. Ha fatto sapere che l'ex governatore del Guerrero, Ángel Aguirre Rivero, ha offerto loro molto denaro affinché stessero zitti, “ma noi in risposta lo mandiamo molto, ma molto, a quel paese”.

Ha concluso con un messaggio diretto al Presidente: “Voglio dire a Peña Nieto che lui non è Ayotzinapa, noi sì invece abbiamo dignità”.

José Solano Ramírez, studente della Scuola Normale di Ayotzinapa, ha preso il microfono per denunciare che i suoi 43 compagni non sono le uniche vittime della sua scuola, perché ci sono stati altri studenti assassinati, perché “questa scuola è sempre stata in lotta permanente e lo Stato ha deciso di perseguitarci permanentemente”. Ha inoltre detto che il segretario dell'Educazione Pubblica, Emilio Chuayffet, è stato incaricato di infastidire le scuole normali rurali cercando di togliere iscritti, sostegno economico e personale scolastico, e adesso, in modo ipocrita, il presidente viene a dire che darà il suo supporto.

Molti cittadini hanno ricordato che la repressione durante le scorse manifestazioni è una strategia dello Stato per indebolire questa mobilitazione sociale, “ma non ce la faranno, perché c'è molta rabbia del popolo contro i tre poteri politici e contro i partiti”.

José Félix, abitante del municipio di Teconapa, in Guerrero, ha dichiarato che quello che succede in Guerrero, accade anche in molti altri stati, come nello Stato del Messico e in Michoacan: sparizioni forzate, esecuzioni e sequestri.

Il rappresentante dell'Assemblea Interuniversitaria ha segnalato che il decalogo dichiarato da Peña Nieto non è il modo adatto a ristrutturare tutto lo schema di sicurezza del paese. “E' come se Joaquín El Chapo Guzmán (leader narcotrafficante) presentasse un piano anti-narcos”.

“La politica neoliberista di questo governo”, ha aggiunto, “cerca di smantellare l'educazione e vuole mettere fine alle proteste con la legge del proiettile”.

Quando l'ultimo cittadino ha lasciato il microfono, i migliaia che si trovavano intorno alla colonna del Angel hanno intonato l'inno nazionale. Durante le ultime strofe si sono sentiti spari nelle strade limitrofe e poco dopo sono comparse centinaia di forze dell'ordine in assetto anti-sommossa.

Nonostante questo, è stato lanciato un appello per scendere nelle strade il 6 dicembre a prendersi la città, nel giorno in cui si commemorano i 100 anni dell'entrata dell'Esercito di Zapata e Villa nella capitale. Infine i manifestanti hanno contato fino a 43 per terminare con la già conosciuta richiesta popolare: GIUSTIZIA.

Emir Olivares, Patricia Muñoz y César Arellano

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