Mexico querido

Nei giorni della lotta dei maestri contro la Riforma Educativa, dell'approvazione della Riforma Energetica e della guerra dei narcos

28 / 8 / 2013

Da più di dieci giorni occupano lo Zocalo di Città del Messico. Hanno bloccato la sede del Governo e del Senato, che è stato costretto a svolgere le riunioni presso il centro congressi della sede Banamex . Il blocco ha fatto sì che da lunedì siano iniziati una serie di incontri con i partiti al governo. Ieri hanno bloccato le televisioni per andare in diretta e dire perchè protestano, dopo che lo scorso fine settimana avevano bloccato l'aereoporto centrale.

Chi sono ? Sono i mastri della Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación (CNTE), giunti da tutto il paese nella capitale per protestare contro l'approvazione di tre leggi che complessivamente cambiano e peggiorano la già devastata educazione messicana.

Nei mesi scorsi i maestri avevano dato vita a ben 10 diversi forum regionali di discussione per presentare alcune loro proposte generali sul sistema educativo secondario, ma il tutto era sparito dalla discussione parlamentare. Erano rimaste le tre leggi proposte dal governo di Pena Nieto da discutere peraltro in seduta speciale in Parlamento. Di fronte a questo vergognosa scelta del governo, i maestri hanno deciso di mobilitarsi per bloccare la riforma educativa.

Il presidio nello Zocalo si è andato man mano ingrossando, così come il blocco del parlamento e le altre iniziative anche fuori dalla capitale. Dopo alcune giornate di tensione, il Parlamento ha approvato solo due delle tre proposte, lasciando ancora in discussione la Ley General de servicio Professional Docente, che rende ancora più precario il lavoro docente.

In queste ore i maestri, che continuano la mobilitazione, hanno ottenuto di incontrarsi con i parlamentari per esporre le proprie proposte educative. Il governo sembra però deciso ad andare avanti con la riforma complessiva dell'istruzione.

Non è questa l'unica riforma che fa discutere in Messico. Non c'è giorno in cui non appaiano interventi sulla Riforma Energetica, ovvero l'apertura ancora maggiore, ai privati nella gestione energetica ed in particolare della Pemex (compagnia petrolifera di stato). Ben al di là dell'importanza economica, la vicenda ha a che fare con qualcosa, la gestione del proprio petrolio, che per i messicani rimanda al tema della sovranità nazionale. Chi è contrario alla Riforma inalbera cartelli che dicono "La patria non se vende. Pemex es de Mexico".

Dietro la Riforma ci sta la continuazione delle politiche proposte dal governo del PRI di Pena Nieto, ammantate dall'approvazione nel dicembre del 2012 del Pacto para Mexico, un'agenda firmata da tutti i principali partiti che, in nome della rinascita del paese, apre la strada alle riforme, come quella educativa, energetica, istituzionale etc.. 

Pare che anche a queste latitudini vada alla grande l'accordo tra tutti, fatto ovviamente per "salvare il paese".

La riforma energetica e l'azione massiccia dei privati nel settore si accompagnano alla politica che ha visto in questi anni il Messico, le cui finanze sono state tartassate dal calo delle rimesse dall'estero e dal trasferimento di molte company dalle maquilladoras verso i lidi asiatici, aprire una vera e propria svendita del proprio patrimonio di risorse..... Non possiamo più offrire mano d'opera da sfruttare a prezzi stracciati, perchè gli asiatici si fanno pagare ancora meno .. bene, mettiamo in vendita quel che possediamo: un intero paese, il suo ambiente, le sue coste, la sua terra.

Grandi dighe, estrazione mineraria, campi infiniti di produzione eolica, turismo di sfruttamento, agrobusiness.

Nei rapporti delle organizzazioni per la giustizia ambientale e sociale si parla di più di 300 conflitti per la difesa del territorio.

Un panorama devastante che in parte è stato denunciato proprio in questi giorni nell'incontro nazionale dei popoli indigeni svolto a San Cristobal, in Chiapas, promosso dall'EZLN e dal CNI.

Chi non è in crisi è il narcos: le enormi finanze che muove l'ipocrito circuito del proibizionismo sulle droghe, nel suo muoversi verso la frontiera americana e a livello internazionale.

Lo scorso presidente messicano, Felipe Calderon, aveva inaugurato, accompagnato dai vertici militari, la guerra al narcos, ormai 7 anni fa.

Da allora oltre a crescere i patrimoni legati ai cartelli sono cresciuti, giorno dopo giorno, i morti, i desaparecidos in una situazione complessiva di militarizzazione della società.

Una situazione di insicurezza sociale che in molti dicono ha giocato un ruolo non indifferente nel ritorno al potere del PRI, un anno fa: "meglio tornare al passato, a chi con i narcos aveva trovato una sorte di equilibrio" sembra sia stata questa una delle motivazioni elettorali.

Oggi i morti continuano a crescere, l'unica differenza è che non se parla, se non nei laconici trafiletti quotidiani che parlano di "una sparatoria nel tal paese, alcuni decapitati trovati nel tal altro luogo, scoperta una fossa comune in un'altra località". Oppure, sempre più spesso, per far vedere che i morti calano si truccano i numeri e le statistiche.

E' una guerra a tutto campo, trasversale, tra apparati. Ognuno con i propri legami e i propri territori da controllare: cartelli, esercito, marina, polizia.

I libri che si trovano in vendita di alcuni coraggiosi giornalisti raccontano i legami politici, le reti che fondono narcos e apparati istituzionali, la presa sociale verso i giovani disoccupati e senza lavoro che i narcos hanno offrendo "un lavoro che non manca mai", come c'era scritto in striscioni appesi in Yucatan o nel nord del paese.

Zetas, cartello del Golfo, cartello di Sinaloa, la Familla, i Templari etc .., nomi che racchiudono reti di potere armato, colluso con i poteri ufficiali.

A morire non sono solo i narcos negli scontri tra bande o con l'esercito e le varie polizie. C'è chi sparisce nelle retate delle forze dell'ordine ufficiali. Chi scompare nel nulla perchè ha chiesto di ritrovare suo figlio o sua figlia spariti nel niente. Dentro questa infinita lista di nomi ci sono militanti politici, attivisti, giornalisti. Come se questa guerra non dichiarata fosse un'oscura nebbia dove sparisce una parte del paese.

Una situazione di insicurezza generale che ha portato in 14 stati messicani alla creazione di gruppi di autodifesa.

Una parte nasce da esperienze comunitarie che cercano di difendersi autorganizzandosi, come la Polizia Comunitaria in Guerrero oppure l'esperienza di Cheran in Michoacan.

Altri gruppi richiamano più alla mente esperienze paramilitari, come la recrudescenza di questi giorni in Chiapas oppure sono formati dagli stessi narcos "per mantenere l'ordine".

C'è chi dice che il governo di Pena Nieto abbia scelto nella guerra dei cartelli, quello di El Chapo (l'uomo super-ricercato, che Forbes nel 2009 inseriva nella lista degli uomini più ricchi del mondo), che si muove tra Asia-Pacifico-Messico-Stati Uniti, con il controllo delle metanfetamine e che ci sia in corso una "guerra di assestamento": Certo che bastano pochi giorni in Messico per capire che non può esistere un potere politico non colluso con i narcos e i loro capitali finanziari.

In questo contesto non mancano le mobilitazioni sociali, come quella che ricordavamo dei maestri all'inizio dell'articolo oppure di chi lotta per difendere la propria terra e il proprio futuro, con tutto quello che oggi significa in Messico.

E' in questo paese in cui nelle scorse settimane si è svolta l'escuelita zapatista e l'incontro nazionale dei popoli indigeni Catedra Tata Juan Chavez Alonso.

Mentre l'aereo lascia le luci infinite di Città del Messico non si può fare a meno di pensare che il Messico è un paese che ha bisogno di un cambiamento radicale, costruito da molti, insieme, in grado di dissolvere le nebbie che lo soffocano.