La giuria della corte suprema di San Francisco (California),
a seguito di un processo durato circa 8 mesi, ha condannato la
statunitense Monsanto, uno dei
colossi tra le lobby del settore agro-chimico, a risarcire con 289 milioni di
dollari Dewayne Johnson: contadino ammalatosi di un linfoma non-Hodgkin a causa
dell’esposizione al glifosato.
Johnson, ex responsabile del controllo dei parassiti presso un sistema
scolastico californiano, per anni ha trattato l’area interessata con circa 30
applicazioni quotidiane di Roundup e dell’erbicida generico Ranger
Pro, entrambi prodotti da Monsanto attraverso l’utilizzo del glifosato.
L’assenza totale di avvertenze da parte
dell’azienda sui rischi provocati dall’esposizione al glifosato, tra cui
indicazioni precise in merito alle precauzioni da osservare e l’equipaggiamento
da utilizzare, non è data dalla carenza di ricerche e informazioni, ma da
omissioni intenzionali.
Il processo in questione, uno dei 5.000 attualmente in corso per cause similari
alla luce delle circa 4.000 presunte vittime del glifosato nei soli Stati
Uniti, si basa sulla desecretazione dei Monsanto
Papers.
Si tratta di centinaia di registri contraffatti, scritti da dipendenti Monsanto e firmati da scienziati al soldo della multinazionale che per anni hanno avuto lo scopo di mascherare la reale tossicità del glifosato: principio attivo del Roundup, del Dicamba e di altri 750 prodotti utilizzati in oltre 140 paesi in tutto il mondo.
La sentenza della California crea un precedente storico, un grande risultato e
una questione di principio per Johnson (a cui i medici però hanno dato
un’aspettativa di vita che non va oltre il 2020), ma di fatto non muta il corso
degli eventi e non intacca la stabilità di una multinazionale per la quale
questa sanzione rappresenta non più di una multa per divieto di sosta.
L’esito di questo processo in realtà mostra ancora una volta la morbidezza,
spesso sostituita da pura complicità, con cui le istituzioni affrontano un
problema che ha superato ormai da tempo i livelli di guardia.
Indicato nel 2015 dall’OMS (Organizzazione mondiale della
sanità) come probabile cancerogeno, nulla è stato fatto
in seguito per arrestare la diffusione del glifosato, con la complicità delle
agenzie europee ECHA (Agenzia europea delle
sostanze chimiche) ed EFSA(Autorità europea per
la sicurezza alimentare) che, alla pari degli amministratori delegati di
Monsanto, negano la pericolosità dell’erbicida decretando delle percentuali
massime di assunzione giornaliera.
In questo lasso di tempo, intanto, il glifosato è entrato sempre di più a far
parte del quotidiano, non più impiegato solo su monocolture geneticamente
modificate come la qualità di soia Roundup
Ready (sempre prodotta da Monsanto), ma abitualmente e quotidianamente utilizzato
per trattare giardini, campi sportivi e tutte quelle aree urbane dove barlumi
di verde resistono ancora al cemento.
Il problema in questo caso non è alla base, ma al vertice, alla dipendenza
della società dalle decisioni elargite dall'alto, quando invece basterebbe
osservare i fatti ormai noti da diversi anni.
Dalla pubblicazione nel 2015 del report Il Costo Umano dei Pesticidi,
dalla testimonianza di Fabián Tomasi a quella di Ludmila Terreno, la bambina col glifosato nel sangue, e di quella
rappresentata da un paese intero, l’Argentina, dove già da anni sono ben
visibili i danni provocati dall’esposizione al glifosato.
Esposizione,
nel senso che a rischio non sono solo gli addetti all’erogazione dell’erbicida
(i così detti fumigadores), ma
chiunque entri in contatto con un’area trattata da un prodotto a base di
glifosato: un altro aspetto della storia mistificato dagli organi competenti i
quali affiggono avvisi, ma senza fornire i dettagli delle sostanze chimiche
impiegate.
Nel 2016 la multinazionale petrolifera britannica BP viene condannata a
pagare 20 miliardi di dollari per il disastro della piattaforma Deepwater
Horizon, la cui esplosione
nel 2010 provocò uno sversamento di petrolio nel Golfo del Messico tale da
generare una marea nera della durata di 3 mesi, oltre alla morte di 11 operai.
La BP ad oggi continua ad essere uno dei colossi del settore
petrolchimico.
Questo per dire che non saranno le sanzioni, zuccherini del
sistema che nutrono la fallimentare politica dei “piccoli passi”, ad arrestare
l’operato di queste multinazionali, ma una disobbedienza civile frutto della
consapevolezza che non esiste vera libertà su una Terra avvelenata: Malvinas insegna!