Nakba74: ripensare al Sionismo come un’impresa coloniale di genere

17 / 5 / 2022

Il Sionismo da sempre utilizza la violenza sessuale come strumento primario per l’eliminazione dei palestinesi indigeni, e per il mantenimento del regime di insediamento coloniale di Israele. Pubblichiamo alla vigilia della carovana "Road to Palestine" un articolo di Tamam Mohsen, pubblicato il 15 maggio 2022 sul sito di informazione ed opinione legate alla Palestina, a Israele e agli Stati Uniti Mondoweiss.net; tradotto per global project da Emma Purgato.

Ogni anno, dal 1948, nella Palestina storica e nella diaspora il 15 maggio si commemora la Nakba in corso (“catastrofe” in arabo), ricordando l’esodo forzato di 750.000 palestinesi indigeni dalle loro terre, e la pulizia etnica di città e villaggi messa in atto dalle forze Sioniste.

In un momento in cui i palestinesi si trovano ad affrontare campagne di delegittimazione della loro narrativa spietatamente feroci, atte a soffocare qualsiasi critica all’oppressione israeliana basandosi sulla premessa errata che confonde anti-Sionismo e antisemitismo, questo articolo prova a rivisitare la Nakba come punto di partenza, con l’obiettivo di decostruire il Sionismo e ridefinire il suo progetto coloniale di genere.

Pone le donne al centro di questa revisione, per mettere in luce le strategie sioniste che strumentalizzano la violenza sessuale come mezzo primario di eliminazione dei palestinesi indigeni, e di mantenimento del regime di insediamento coloniale di Israele.

Il Sionismo è un progetto di insediamento coloniale

Dalla metà degli anni 90, il paradigma di insediamento coloniale ha assunto rilevanza all’interno degli studi sulla Palestina. L’emergere di dibattiti (guidati da studiosi come Said, Ilan Pappe, Lorenzo Veracini, Kimmerling etc.) sulla validità e applicabilità di tale paradigma rispetto al contesto palestinese segna un cambiamento intellettuale ed epistemologico significativo. Secondo questa tesi, il Sionismo è visto come un movimento colonialista, strutturato su una logica di eliminazione della popolazione indigena, con lo scopo di costruire una colonia di insediamento a maggioranza ebrea sul territorio acquisito con la forza.

Storicamente, il Sionismo è emerso alla fine del 19esimo secolo, spinto dalla colonizzazione europea. Il movimento Sionista non solo si è alleato con l’imperialismo britannico per portare a compimento il suo piano di creazione di un nuovo stato ebraico in Palestina, ma si è presentato come un ulteriore alleato coinvolto nella colonizzazione. Nei fatti, il Sionismo si è esplicitamente dichiarato “un movimento ebreo per l’insediamento coloniale in Oriente”.

Come per la maggior parte delle imprese di insediamento coloniale, la conseguente espropriazione sionista delle terre palestinesi è stata, ed è, una conseguenza sistematica della logica di eliminazione che prevede la cancellazione della popolazione indigena “inferiore” (i palestinesi). Conseguentemente, i sionisti hanno condotto diverse guerre (a partire dalla guerra del 1948) contro i nativi palestinesi, che stanno tutt’ora subendo una continua campagna di pulizia etnica.

Prendere di mira le donne, “produttrici” delle nuove generazioni, è al centro della strategia di eliminazione sionista, nella quale la violenza sessuale e di genere contro le donne palestinesi viene usata come strumento per soggiogare e disfarsi dell’intera popolazione palestinese.

Violenza sessuale e di genere al servizio dell’insediamento coloniale

La colonizzazione, come sostiene il femminismo decoloniale, ha una caratterizzazione basata sul genere, ed è portata avanti dalla forza lavoro imperialista prevalentemente maschile. I colonizzatori utilizzano la violenza sessuale per penetrare, soggiogare, eliminare, e silenziare l’espropriazione dei nativi.

Le tracce della violenza sessuale contro le donne indigene si possono individuare chiaramente attraverso la storia del colonialismo negli Stati Uniti, in Canada, in Australia etc. Stupri, mutilazioni, uccisioni di massa, sterilizzazione, e brutalità sessuali sono solo alcuni esempi di azioni utilizzate in modo diffuso per distruggere le popolazioni native, e soffocare la loro capacità di resistere, preparando così il terreno per la conquista coloniale. Per esempio, Andrew Jackson, Presidente degli Stati Uniti dal 1829 al 1837, ha supervisionato la mutilazione di circa 800 indiani Creek. Lui e i suoi uomini hanno massacrato i corpi degli indiani, tagliando loro il naso per tenere il conto e come ricordo delle loro morti.

I colonizzatori prendono di mira le donne in quanto “produttrici” delle prossime generazioni, che quindi rappresenterebbero una “minaccia demografica” al dominio esclusivo dei colonialisti sul territorio espropriato. [1]

Allo stesso modo il Sionismo, in quanto progetto di insediamento coloniale, è intrinsecamente eliminatorio, e mira allo sterminio dei corpi dei nativi palestinesi, e all’espropriazione dei loro territori per ereggere al loro posto una nuova entità coloniale. Ciò non può essere considerato separato dalla “logica della violenza sessuale” coloniale contro le donne palestinesi indigene, e questa violenza non è, in nessun modo, un epifenomeno o una conseguenza accidentale dell’oppressione sionista. Al contrario, è intrinseca all’ideologia sionista, e un prodotto sistemico della mentalità colonialista e orientalista dei suoi progenitori.

Le donne palestinesi sono state soggette alla sproporzionata violenza sionista che prende di mira i loro stessi corpi, sessualità e identità. Hanno portato il peso più grande della colonizzazione israeliana in corso, non solo per la loro identità di genere di donne, ma a causa della loro identità nazionale di membri della popolazione “demograficamente indesiderabile”.

I corpi delle donne sono quindi diventati un campo di battaglia su cui le forze sioniste hanno messo in atto una pulizia etnica degli indigeni palestinesi.

Stuprare la Palestina nel 1948, e l’invasione dei corpi delle donne

Durante e dopo la guerra del 1948, le forze sionista hanno messo in atto deliberati attacchi mirati a colpire le donne palestinesi, con lo scopo di intimidire e forzare la popolazione indigena a scappare.

I sionisti hanno sfruttato le visioni orientaliste sulla sessualità palestinese, come quelle legate al concetto dell’onore delle donne “Erd”, per spingere i palestinesi fuori dalle loro terre, e distruggere la loro capacità di resistere all’oppressione coloniale. 

Di conseguenza, molte famiglie palestinesi hanno lasciato le loro case principalmente per il timore che le loro donne venissero stuprate dalle forze sioniste. La diffusione in tutto il paese di storie orribili riguardanti gli stupri delle donne nei villaggi attaccati dai sionisti ha avuto un ruolo significativo nel terrorismo di massa, ed ha spinto gli uomini a dare priorità alla difesa dell’onore della popolazione femminile “Erd”, rispetto alla difesa della loro terra “Ard”, agevolando così i piani di pulizia etnica.

Un esempio lampante dello stupro come tattica sionista si vede nel noto massacro di Deir Yassin, nell’aprile 1948, dove sono stati uccisi circa 300 civili. La pulizia del paese era pianificata nel Piano Dalet (o Piano D, il nome del piano generale di operazioni militari nella guerra del 1948). Le milizie sioniste hanno attaccato il villaggio il 9 aprile, uccidendo una dozzina di abitanti, mentre gli altri sono successivamente stati raggruppati in un unico luogo e assassinati. Il massacro è stato associato ad atrocità con carattere esplicitamente di genere, come hanno riportato molte donne palestinesi, che hanno subito molestie e stupri per poi essere uccise. [2]

Dopo il massacro di Deir Yassin, un terrore di massa si è riversato sugli altri villaggi. I pochi sopravvissuti hanno riportato storie atroci, che hanno rivelato come i sionisti avessero deliberatamente preso di mira i corpi delle donne. Conseguentemente, sotto il peso della paura di un simile destino, e a causa del conflitto interiore che li spingeva a proteggere il loro onore, molti palestinesi dei villaggi vicini sono fuggiti spinti dal terrore.

Nonostante non ci siano ancora statistiche accurate per quanto riguarda i casi di stupro commessi durante la Nakba, le testimonianze sono numerose, riportate dalla Croce Rossa Internazionale, dalle confessioni degli stupratori, e dagli archivi di stato di Israele desecretati. [3] Donne e ragazze palestinesi sono state stuprate in villaggi e centri urbani attaccati dalle forze sioniste come Acre, Ramle, Deir Yassin, Tantura, e molti altri. Ad esempio, il primo Premier israeliano David Ben-Gurion nel suo diario parla apertamente dello stupro e dell’oppressione sessuale delle donne palestinesi durante il 1948. Gurion veniva informato di ogni caso, e lo riportava nel suo diario – benché alcuni casi siano stati censurati dai suoi editori, come per esempio il famoso stupro di gruppo dell’avamposto militare di Nirim, portato alla luce nell’ottobre 2003, quando il giornale israeliano Haaretz ha pubblicato i terribili dettagli, basandosi sulle testimonianze degli stessi stupratori.

Le atrocità e le violazioni dei corpi e delle sessualità delle donne non si sono fermate lì. E il deliberato attacco contro le donne palestinesi non è limitato alle atrocità commesse durante la guerra del 1948.

La violenza sessuale e di genere è onnipresente nelle politiche e nelle pratiche sponsorizzate dallo stato. Ai checkpoint sparano ancora alle donne, che vengono molestate verbalmente e sessualmente, arrestate, interrogate, terrorizzate, vedono il loro tessuto sociale venire distrutto, le loro case depredate di notte, o peggio, demolite, i loro diritti di riunificazione con i loro compagni e le loro famiglie negati, etc. Tutto ciò è finalmente mirato alla pulizia etnica dei palestinesi.

Conclusione

Riformulare il Sionismo come un’impresa coloniale di genere è cruciale per comprendere le circostanze storiche che hanno prodotto, e continuano a riprodurre, l’oppressione di genere contro le donne palestinesi. Oppressione che inevitabilmente si intreccia con le pratiche coloniali collettive di espropriazione, sfollamento, e pulizia etnica ai danni della popolazione palestinese nativa.

Il progetto di insediamento coloniale prospera e sostiene le sue politiche esogene grazie all’invasione dei corpi delle donne indigene. Perciò, distruggere tale struttura coloniale basata sul genere significa porre la liberazione delle donne indigene al centro, in quanto fattore chiave del processo di decolonizzazione.

Note

1. Smith, A. (2015) Conquest: Sexual Violence and American Indian Genocide, p.77.

2. Pappé, I. (2006) The Ethnic Cleansing of Palestine.

3. Sayigh, R. (2007) The Palestinians: From Peasants to Revolutionaries, 2nd Edition.