Non bisogna permettere alle multinazionali di decidere sul piano della sicurezza per le fabbriche in Bangladesh

Le Corporation statunitensi non sembrano voler firmare neanche il protocollo per le aziende che hanno ordini nelle fabbriche tessili del Bangladesh e lo sfruttamento disumano continua.

18 / 5 / 2013

di Elizabeth Cline *

E' stata una settimana di attesa per i consumatori americani per vedere quale sarebbe stata la risposta dei marchi della moda, che hanno le commesse in Bangladesh, dopo il crollo di fine aprile dell'edificio del Rana Plaza con più di 1.100 lavoratori tessili morti .

Aziende di abbigliamento e corporations sono stati occupati nella sottoscrizione di un rigoroso protocollo sulle norme antincendio e di sicurezza, che stabilisce ispezioni indipendenti nelle fabbriche del paese. Un protocollo giuridicamente vincolante per il miglioramento della sicurezza dei siti e che prevede che eventuali adeguamenti siano parzialmente finanziati dai marchi della moda, nel paese dove hanno le commesse.

Dopo la tragica vicenda, si evidenzia un problema di fondo per la responsabilità delle imprese, in particolare di quelle con sede legale negli Stati Uniti: la scelta di sottoscrivere la convenzione di sicurezza per le fabbriche del Bangladesh è totalmente volontaria.

I giganti dell'abbigliamento degli Stati Uniti si sono dimostrati incuranti di fronte a quello che è successo. Mentre le imprese europee, tra cui H & M, Tesco, Primark, Benetton, Mango e altre hanno firmato rapidamente il protocollo all'inizio di questa settimana.

Walmart ha dichiarato di voler sviluppare un proprio piano per il controllo dei rapporti con i fornitori provenienti dal Bangladesh. Questo, dopo che è stato rivelato che il gigante dei jeans a basso costo aveva fatto un ordine da un fornitore che era nel Plaza Rana. La risposta è stato quella di escludere dalle commesse il fornitore, la Fame Jeans.

Anche Sears ha deciso di andare per la propria strada, Target ha rifiutato di commentare l'accordo e JC Penney sta ancora esaminando il piano. Un probabile segnale positivo potrebbe venire dalla Gap, che possiede Old Navy e Banana Republic, e che dovrebbe firmare nei prossimi giorni.

La giustificazione fornita per la divisione tra produttori europei e americani è che, per un portavoce dalla Gap, l'America è troppo "litigiosa." In altre parole, il protocollo potrebbe effettivamente rappresentare una concreta minaccia per le forme di contratto in merito alle  commessa di lavoro.

Nel 2009, la Nona Corte di Appello Federale ha stabilito che i lavoratori impiegati nelle fabbriche estere che forniscono la Walmart non possono ritenere questa società responsabile per le loro condizioni di lavoro, nonostante secondo il codice di condotta sottoscritto dal fornitore le imprese dovrebbero essere in condizioni di lavoro decenti.

La mancanza di responsabilità è la libertà apprezzata da tutti i marchi che utilizzano fabbriche a contratto, fabbriche che essi non possiedono. E' questa scappatoia, quella che distanzia legalmente aziende tessili dalle stesse persone che in realtà producono i capi d'abbigliamento, che ha sempre storicamente generato disastri e tragedie umane.

Data la natura di sfruttamento intensivo della manodopera e l'alta  competitivà del settore della moda, sembra giunto il tempo e la necessità di norme più severe. Ora è il momento di intervenire. Gli operai di fabbriche di abbigliamento per conto terzi devono vedere riconosciuti i loro diritti fondamentali. Attualmente, il governo degli Stati Uniti ed i nostri tribunali non fanno niente per controllare e sanzionare il comportamento delle aziende di moda “nelle fabbriche d'oltremare”.

Il disastro del Rana Plaza è una questione di interesse internazionale.

Il tempo è maturo per i rappresentanti del nostro governo di intervenire, valutare la situazione e forzare la mano alle Corporation e al mercato.

In caso contrario, i marchi di abbigliamento continueranno a non prendersi la responsabilità di queste tragedie; le tragedie continueranno ad accadere e i consumatori americani si sentiranno impotenti e senza la speranza di avere la possibilità di cambiare tutto questo.

* Elizabeth Cline è autrice di "Overdressed: The Shocklingly High Cost of Cheap Fashion"

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