Non chiamateli incidenti. Il MAB denuncia il sistema corrotto e criminale delle grandi dighe in Brasile

Intervista a Sabino, attivista MAB dello stato del Maranhão

7 / 4 / 2021

Lo scorso 25 marzo, proprio nel pieno del momento peggiore dell’ondata pandemica di Covid-19 in Brasile, si è verificato l’ennesimo incidente dovuto alla rottura di una diga. Questa volta a rompersi è stata una diga di scarti minerari d’oro nella città di Godofredo Viana, stato del Maranhão, appartente alla società mineraria Aurizona MASA, di proprietà della multinazionale canadese Equinox Gold. Il fango tossico contenente i detriti dell'attività mineraria ha inquinato il fiume Tromaí, lasciando 4.000 persone isolate e senza accesso all'acqua potabile per lungo tempo.

Non si tratta del primo incidente di questo tipo e probabilmente non sarà l’ultimo. Dagli anni ‘70 del secolo scorso, infatti, in Brasile sono stati fatti degli ingenti investimenti per la costruzione di dighe per l’energia idroelettrica e per l’estrattivismo minerario. Queste grandi opere hanno avuto un impatto disastroso sull’ecosistema e sulla popolazione indigena. Un esempio emblematico è quello della diga Itaipú, la cui realizzazione ha fatto sparire oltre 700 km quadrati di foreste pluviali; prosciugato le cascate Guairà, le più grandi al mondo per volume d’acqua; ucciso 145 persone in fase di costruzione; causato l’evacuazione di decine di villaggi indigeni e 8500 famiglie e l’estinzione di diverse specie animali autoctone.

Anche tra gli “incidenti” c’è un caso emblematico nella storia recente: quello del crollo della diga di Brumadinho il 25 gennaio 2019 - contenente gli scarti della miniera di ferro Corrego do Feijao della multinazionale VALE - che ha causato un disastro ambientale, oltre 300 morti, tolto l’accesso all’acqua a un milione di persone e oltre 14 milioni hanno sofferto gli effetti negativi della contaminazione dell’acqua.

Più che di disastri o incidenti sarebbe il caso di parlare di crimini contro la natura e l’umanità, come spiegano gli attivisti. Una percentuale significativa delle dighe esistenti non è mappata e non viene sottoposta a controlli, in un sistema corrotto dove “vale tudo por dinheiro”.

Gli abitanti delle zone interessate dalle dighe, su tutto il territorio del Brasile, dagli anni ’80 si sono autorganizzati nel MAB (Movimento dos Atingidos por Barragens) per denunciare e combattere le continue violazioni dei diritti umani e il terricidio messi in atto dai governi e dalle compagnie private. Proprio l’anno scorso, a seguito anche del protrarsi della criminalizzazione, della persecuzione e degli omicidi ai danni degli attivisti, una delegazione del MAB -che avevamo incontrato- era giunta in Europa per denunciare alle Nazioni Unite, alle istituzioni europee e alla societa' civile i crimini commessi dalle aziende come VALE e per ribadire che l’energia e le risorse naturali non sono merce ma diritti.

Abbiamo intervistato Sabino, attivista MAB dello Stato del Maranhão, il quale ci ha informati anche della raccolta fondi d’emergenza messa in atto per garantire l’assistenza immediata alla popolazione colpita lo scorso 25 marzo. I fondi raccolti serviranno a finanziare quattro mila kit igienici, due mila ceste alimentari e trecento sessanta mila litri di acqua potabile, sufficienti per il sostentamento delle comunità locali per un mese.

Quali sono le analogie tra questo incidente e quello avvenuto a Brumadinho nel gennaio del 2019?

«L’analogia principale è la diga stessa, come quella di Brumadinho o di Marianna. La diga che si è rotta qui è una diga minore, secondaria, che ci fa temere che anche altre, più grandi, si potranno rompere. Altra analogia è che la popolazione si è ritrovata senza acqua: a Brumadinho un milione di persone, qui a Aurizona quattro mila. Altra similitudine è il modello delle dighe qui in Brasile, un modello diseguale che non si preoccupa dell’ambiente e della popolazione. Qui a Godofredo Viana, i fiumi, i laghi sono tutti contaminati con i fanghi tossici della diga. Questa è una cosa comune a tutte le dighe, da Aurizona a Brumadinho, passando per tutte le altre».

È cambiato qualcosa dopo quel tragico incidente nelle politiche estrattiviste brasiliane, anche in termini di trasparenza e partecipazione?

«In verità quasi nulla. Le imprese minerarie cercano sempre di comprare gli organi dello Stato e diminuire così i problemi e questa ormai è una prassi assodata, è questo il modello che si è installato in Brasile: i padroni delle dighe riescono a ottenere l’immunità e questo non è normale perché così facendo riescono a non farsi incriminare per i crimini che commettono. Per capirci, le imprese minerarie non riconoscono la rottura, non solo qui ma in tutto il Brasile, e tentano di nascondere i danni, anche manomettendo i cantieri. Quindi il sistema non cambia, a cambiare è la paura delle persone che vivono vicino alle dighe, che hanno sempre più paura di essere colpiti dai danni collaterali provocati dalle dighe stesse».

Quali sono le ripercussioni sulla popolazione locale interessata dall’inquinamento dell’acqua del fiume Tromaì, soprattutto in questo periodo di pandemia, in una regione già pesantemente colpita dal covid quale è Maranhao?

«Le persone di Aurizona sono molto preoccupate perché avevano un’unica fonte di acqua. Dove vanno a bere ora? Tutto è stato è stato inquinato dal fango tossico. La televisione e i giornali non parlano di questo, anzi, in tutti i giornali della capitale dello Stato si parla di una laguna che ha tracimato, ma è una menzogna, perché ciò che è successo è la rottura di una diga. Ora l’Agência Nacional de Mineração concorda che c’è stata una rottura della diga e il riconoscimento della rottura è una piccola e significativa vittoria. La popolazione ha chiesto all’impresa mineraria di inviare l’acqua ma questa lo sta facendo in maniera insufficiente per una popolazione di 4 mila persone».

Dall’ultimo report sulla messa in sicurezza delle dighe del colosso minerario VALE, emerge che in Brasile su 104 delle dighe gestite da quest’ultimo, 29 sono dichiarate in regime di emergenza per possibili cedimenti. Quali sono gli organismi di controllo che vigilano sugli impianti dei grandi colossi minerari e qual è la situazione percepita dagli abitanti delle aree a rischio?

«Come ho detto prima il problema è il sistema corrotto: le imprese minerarie pagano le imprese che dovrebbero controllarle e vigilare sulle loro attività e questo è molto preoccupante perché vuol dire che le imprese sanno che i loro crimini sono protetti dallo Stato brasiliano. Inoltre, ci sono 29 dighe dichiarate sotto emergenza ma ne esistono molte altre di cui non conosciamo il loro stato. Per esempio, questa di Aurizona non era in quella lista. Era una diga utilizzata dall’impresa mineraria e non era finita sotto osservazione, non esisteva nella mappa, solamente chi viveva qui sapeva della sua esistenza. Gli abitanti hanno molta paura, una paura costante, di tutto: di veder finire l’acqua, di morire, di essere perseguito per l’impegno politico o anche solo personale per protestare e per opporsi alle dighe».

Abbiamo saputo che è stata lanciata una campagna di solidarietà per le circa 40 000 persone danneggiate dalla rottura della diga. Ci racconti di cosa si tratta e come possiamo aiutare?

«Sì, abbiamo iniziato una campagna di solidarietà lanciando un appello a tutti i popoli del mondo ad aiutare la popolazione di Aurizona: sono persone che hanno bisogno urgentemente di acqua potabile, acqua minerale, acqua che possano bere senza paura. Si tratta di una campagna che si può trovare nel sito del MAB e nelle nostre reti sociali, sia donando acqua, sia facendo una donazione».

MAB Brasile

A quali conquiste ha portato la lotta del movimento MAB negli ultimi anni e quali sono le battaglie ancora in corso?

«Il MAB ha ottenuto diverse vittorie. L’ultima che stiamo festeggiando in questo periodo è il nostro 30° anniversario. Trent’anni di un’organizzazione politica nazionale, di tutti coloro che si riconoscono come vittime delle dighe e soggetti di diritto. E questo è molto importante, perché le imprese minerarie non vogliono riconoscerci come soggetti di diritto. Al contrario, omettono i diritti che abbiamo. Altre lotte che abbiamo vinto, per esempio, sono state quella per il nuovo stanziamento delle persone vittime delle dighe: quando si rompe una diga è importante che le persone abbandonino i luoghi colpiti per altri più sicuri e questa possibilità è una gran conquista del MAB. Altra grande conquista del MAB è la lotta per la casa: le persone hanno diritto a un posto dove vivere, non c’è solamente il territorio da difendere, c’è anche la casa. Infine, la compensazione economica, perché molte persone hanno perso tutto, altre addirittura la vita per i crimini dell’imprese minerarie ed è importante che venga garantito il risarcimento alle vittime. Altra battaglia molto importante riguarda l’emanazione di una legge che garantisca i diritti. Negli ultimi trent’anni il MAB ha lottato perché venga emanata una legge che difenda le vittime delle dighe. Ora questa legge si trova bloccata nel Senato Federale dopo essere stata approvata dalla Camera dei Deputati. Dobbiamo continuare a lottare perché questa legge venga approvata e garantisca a tutti la difesa dalle imprese. È questo che vogliamo!»