In questo momento il dittatore Issaias Afewerki gode di un rinnovato riconoscimento internazionale: di fatto è sempre stato un soggetto comodo per mantenere l’area in una paradossale stabilità per favorire una tranquillità soprattutto nei trasporti commerciali marittimi nel Mar Rosso (basti pensare all’ossessione mediatica per i “pirati somali” agli inizi del 2000).
Il Processo di Khartoum - l’accordo firmato a
Roma il 28 Novembre 2014 che prevedeva l’accordo con governi più o meno
dittatoriali dell’Africa centro-orientale allo scopo di controllo delle
migrazioni – fu in effetti un momento cruciale in questo tipo di riconoscimento.
È tuttavia nella fase attuale che si è trasformato in un interlocutore
dell’occidente, soprattutto dopo la “pace” siglata nell’agosto 2018 (e i nuovi
buoni rapporti con Somalia e Djibouti).
L’Eritrea è stata fatta entrare nella Commissione Diritti Umani delle Nazioni
Unite e sono sparite le sanzioni internazionali, che significa: libertà di
movimento per i politici eritrei e libertà di commercio (armi comprese) da e
per l’Eritrea.
La “pace” tra Eritrea ed Etiopia, tuttavia, somiglia molto più a un processo di distensione favorevole alla circolazione e all’accumulazione di merci e capitali che una apertura delle frontiere per la libera circolazione delle popolazioni locali e per il miglioramento dell’esistenza dei cittadini eritrei.
La conclusione non deriva da una mera impostazione ideologica, ma da diverse inchieste che, negli ultimi 15 anni, hanno messo a nudo una serie di relazioni di interessi tra settori dell’imprenditoria italiana e il regime di Afewerki.
Alcuni nomi e situazioni possono chiarire la portata del possibile giro di affari:
Michele Fasulo è un nome che dice poco a
molti: ex presidente della Banca di Credito Cooperativo del Garigliano,
promotore del Consorzio Riviera Domizia e presidente del Lions Club di Sessa
Aurunca. In sintesi, poco più che un consulente commerciale operante tra la
Campania e il basso Lazio. Fasulo è stato nominato console onorario
dell’Eritrea dall’ex ambasciatore in Italia, Zemede Tekle, e nel 2008
organizzatore di una ambigua visita di Issaias Afewerki. Il fulcro degli
interessi comuni è lo skycar, un aereo multifunzione, interessante
(ufficialmente) per il collegamento tra la terraferma e le isole Dahlak. Facile
intuire che gli interessi in gioco sullo skycar fossero ben altri: qualche anno
dopo l’esponente di Alleanza Nazionale Gianluigi Prosperini fu condannato per
traffico d’armi verso l’ex colonia italiana, soggetta a embargo militare.
Il rapporto commerciale si fa così fitto – paradossale per un paese sotto
embargo e di fatto considerato una feroce dittatura – che l’università Federico
II di Napoli promuove nel 2010 uno strano meeting [1], spacciato come convegno sulla
“cooperazione internazionale”. La locandina del convegno reca in alto i loghi:
nell’ordine, 150enario dell’Unità d’Italia, Repubblica italiana – Ministero per
gli affari esteri, Università Federico II di Napoli, The State of Eritrea –
Ministry of Foreign Affairs, University of Asmara, Regione Campania, Consorzio
Riviera Domizia, Banca del Credito Cooperativo del Garigliano e il circolo
Lions di Sessa Aurunca (sic!). Tutte realtà rappresentate nel convegno, una su tutte
la presenza di Zemede Tekle tra i relatori.
Strane coincidenze: chi lo avrebbe mai immaginato che il circolo Lions del
piccolo comune di Sessa Aurunca fosse un perno chiave dei rapporti commerciali
e politici tra Italia e Corno d’Africa? Senza voler generalizzare, occorre
anche comprendere la natura dei circoli Lions: secondo un Gran Maestro della
Massoneria Regolare, Fabio Venzi, il Lions, in alcune realtà calabresi, sarebbe
un luogo dove massoni regolari e irregolari si intrecciano con settori centrali
della criminalità organizzata [2]. L’intreccio tra università,
istituzioni, regime eritreo e canali imprenditoriali, in odor di illegalità, a
livello internazionale risulta quantomeno stupefacente. Troppo poco per
concludere nulla, abbastanza per concludere che la “questione eritrea” non sia
una vicenda locale, né un problema che riguarda solo “le politiche migratorie”,
ma un affare che riguarda la natura e la struttura del capitalismo
globalizzato.
In questo schema si inserisce la “pace” tra Etiopia ed Eritrea dell’agosto
2018, e la successiva visita del premier Conte, che con la promessa tacita di
non concedere più l’asilo politico ai dissidenti eritrei che fuggono dal
servizio militare, punta a salvaguardare gli interessi degli investitori
italiani ed internazionali. Una su tutte la costruzione della ferrovia Addis
Abeba-Massawa, un progetto già scartato decenni fa, sul quale l’imprenditoria
italiana prova a mettere le mani.
I marxisti leninisti eritrei e la destra italiana
I
rapporti di Afewerki con l’Italia sono anche più strutturati, e, per la verità,
piuttosto trasversali a livello politico: alcune aree di Rifondazione Comunista
risultano più volte in contatto con il regime. Paradossalmente, tuttavia, il
leader "marxista" dell’Eritrea sembra più in contatto con le destre:
Berlusconi era interessato agli affari in Eritrea, per alcuni investimenti del
fratello Paolo, che alla fine sembra non si siano realizzati. Fini gli
stringerà la mano in una nota fotografia.
Queste sono vicende note e vecchie, testimoniate in Italia solo da Fabrizio
Gatti con alcune inchieste sull’Espresso e pochissimi altri. Più interessanti
sono le saldature che vengono a crearsi tra le posizioni governative eritree e
il neofascismo italiano. Pochi anni fa, nel 2015, sul “primato nazionale”, blog
del sovranismo di estrema destra, emerge una posizione di incrocio tra le
retoriche antimperialiste del regime di Asmara e i discorsi
“antimmigrazionisti” delle destre. L’articolo millanta di cooperazioni
internazionali (e abbiamo visto con Fasulo cosa essi significano) richieste dai
ministri eritrei sulla base di “legami” tra i due paesi, occultando il fatto
che il “legame”, cioè il colonialismo, è stato stupro, tortura, sopraffazione,
sfruttamento e violenza generalizzata.
L’amicizia di convenienza tra gli eritrei e le posizioni dell’estrema destra si
salda su un punto: questo tipo di operazioni “commerciali” sarebbero alla base
di un possibile blocco del flusso di migranti, dei tanto odiati migranti, verso
l’Europa. In molte delle parole della destra italiana risuonano le parole di
Prosperini, nel famoso documentario di Fabrizio Gatti “l’amico Issaias”, sui
giovani eritrei in fuga dal servizio militare: “traditori” e disertori, per
loro come per il regime eritreo che in questo modo li definisce (e per questo
li perseguita, spesso anche all’estero).
In questo sottobosco si intrecciano i profili social di esponenti dell’estrema
destra e del neofascismo con quelli di alcuni eritrei, tra cui molti legati al
movimento dello Young PFDJ.
Quest’ultimo è l’ala del partito al potere in Eritrea composta da alcuni
giovani di seconda generazione che vivono al di fuori dell’Eritrea. Un movimento
piuttosto pericoloso, soprattutto per l’inconsapevolezza della realtà delle
cose che spinge questi giovani ad una adesione assolutamente fideistica e
spesso basata sulle proiezioni del sogno rivoluzionario dei genitori che
rappresenta per loro un tentativo di radicamento identitario. Sono infatti i
figli di quella generazione emigrata tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta
del Novecento, fortemente impegnata nel sostenere la guerra di liberazione
dell’Eritrea mediante le rimesse.
La radice tossica di questa situazione è l’impatto italiano nell’area: prima
della formazione della colonia italiana, l’Eritrea non esisteva come entità
politica unitaria. L’Italia post-unitaria riunisce infatti province e
popolazione molto diverse tra loro sul piano dell’organizzazione sociale, le
forme di parentela, il credo religioso e la lingua. Tutte inserite sotto il
potere italiano che definisce l’area “Eritrea”, inventando finanche il nome
preso a prestito dall’antica denominazione greca del Mar Rosso.
Il punto è che l’intervento italiano riuscì a costruire una differenza
identitaria e sociale tra le aree dell’altopiano eritreo e quelle
dell’altopiano etiopico, da sempre connesse tra loro, non solo da questioni
culturali, linguistiche e religiose, ma anche sotto il profilo politico. I
“tigrini eritrei” erano infatti in continuità culturale con i tigrini
dell’altopiano etiopico e in contatto con le popolazioni Amhara dell’Etiopia.
Di fatto, sebbene con molte distinzioni dovute al carattere particolare delle
entità politiche locali, l’altopiano dell’Eritrea era molto legato a livello
politico con l’impero etiopico, l’entità statuale erede dell’antico Regno di
Aksum.
L’Italia attraverso l’arruolamento coatto degli eritrei nell’esercito
coloniale, le politiche scolastiche e religiose, riuscì ad imporre un
sentimento di “diversità dagli etiopici” che giocherà un ruolo primario nelle
vicende del dopo guerra.
L’Eritrea creata dal colonialismo italiano alla fine della seconda guerra
mondiale, infatti, era stata dapprima affidata ad un protettorato inglese e poi
annessa come regione autonoma dello Stato federale etiopico. L’autonomia nel
1961 fu violata e il Fronte di Liberazione dell’Eritrea (FLE) diede vita alla
lotta armata, continuata, dal 1974, dal Fronte Popolare di Liberazione
dell’Eritrea (FPLE), che aveva sconfitto il FLE in una guerra civile negli anni
Ottanta. Entrambe avevano connotato la lotta antietiopica in chiave
anticoloniale ed antimperialista, con sfumature più o meno marcate nell’uno e
nell’altro fronte di marxismo-leninismo.
Quando nel 1991 il paese ottenne l’indipendenza, il sogno rivoluzionario era
compiuto e negli anni successivi la costruzione dello Stato-nazione passò
soprattutto per la cacciata delle grandi istituzioni sovranazionali (FMI e
Banca Mondiale) che altrove avevano reintrodotto il colonialismo con altri
mezzi. Sogni e speranze affogatesi nella dittatura, nel servizio
militare/civile obbligatorio e nella repressione costante, scattate
all’indomani della guerra con l’Etiopia del 1998-2000.
Oggi gran parte di quella rivoluzione si è frantumata in interessi
internazionali discussi all’interno di un club Lions di Sessa Aurunca, piccolo
centro abitato poco al di sotto del Garigliano.
Note
[1] http://www.centrocabral.com/adon/files/eritrea.pdf
[2] http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/02/10/news/aboliamo-la-massoneria-1.295252