Polveriera Kashmir

Come le tensioni legate ad una scelta del governo di New Delhi sull’autonomia della regione contesa con il Pakistan possono far esplodere un nuovo conflitto tra le due potenze nucleari.

22 / 8 / 2019

La tensione tra India e Pakistan è nuovamente alle stelle in seguito dell’annuncio del governo di New Delhi di voler cambiare lo status amministrativo della contesa regione del Jammu e Kashmir, contesa da decenni dalle due potenze nucleari e al centro di numerosi conflitti fra le stesse.

Lunedì scorso, il governo indiano ha annunciato la volontà di modificare la Costituzione, in particolare gli articoli che disciplinano e garantiscono la legislazione speciale dello Stato del Kashmir. Tale regione, nella sua totale integrità è reclamata da India e Pakistan sin dall’indipendenza dagli inglesi del 1947.

Nel 1947, dopo la concessione dell’indipendenza dal dominio coloniale britannico, il Paese fu suddiviso in due stati, India e Pakistan. Questa partizione portò ad un esodo nel quale milioni di mussulmani e indù si trovarono a doversi spostare da una parte o dall’altra del neonato confine, seguendo la regola secondo la quale le aree a maggioranza mussulmana sarebbero finite all’interno dei confini del neonato Pakistan, mentre quelle a maggioranza indù sarebbe rientrate nei confini dell’India.

Il Kashmir rimase tuttavia una questione spinosa perché già nel mandato britannico possedeva un’amministrazione particolare, in quanto governata da un principe (Maharaja) e di fatto, i principati, nel dominio coloniale non sono mai stati pienamente sotto il controllo della Corona, in quanto mantenevano delle libertà decisionali in alcuni ambiti sia politici che amministrativi.

In questa situazione, ovvero nel totale caos del passaggio dalla colonizzazione alla creazione di nuove forme di autorità politica, il principe di Jammu e Kashmir nel 1947, coltivando la speranza di ottenere il controllo di una regione totalmente indipendente (tecnica ampiamente usata dagli inglesi, n.d.r.), non scelse se unirsi all’India o al Pakistan, nonostante la maggioranza della popolazione fosse comunque mussulmana. Una rivolta dei capi tribù mussulmani, portatori dell’idea che l’unione con il Pakistan fosse la via migliore per il futuro della regione, fece sì che il debole principe del Kashmir scelse, per paura di perdere il potere, a chiedere aiuto al governo indiano e, in poco tempo, ad unire la regione alla neonata India, ponendo così le basi politiche per un conflitto armato che prontamente poi scoppiò e che si trascina fino ai giorni nostri.

Questo conflitto, dal 1947, è esploso in due vere e proprie guerre combattute da India e Pakistan nel 1947 appunto e nel 1965, nonostante poi gli scontri non siano più sfociati in guerra aperta, le tensione nel Kashmir hanno continuato a produrre morte, con più di 50.000 vite dal 1989.

Queste violenze, oltreché dagli eserciti regolari, sono compiute perlopiù da bande paramilitari composte da estremisti religiosi e finanziate direttamente dai governi, che hanno come obiettivo preferito i civili.

Allo status quo dei fatti, l’India controlla il 45% del Jammu e Kashmir, il Pakistan il 35% e la Cina il 20%.

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Il riaccendersi delle tensioni, come detto, è dovuto alla volontà del governo di New Delhi di cambiare lo status politico-amministrativo del Kashmir. L’articolo 370 della Costituzione post coloniale, in essere dal 1949, garantisce al governo regionale il potere di avere una propria carta costituzionale, una propria bandiera e un’ampia automi politica su molte materie, ad eccezione degli affari esteri e della difesa, che vengono amministrati dal governo centrale.

L’abrogazione dell’articolo 370, la quale disciplina è al centro della politica indiana da molti anni, è una delle promesse elettorali del Primo Ministro Narendra Modi e del suo partito BJP ma secondo alcuni analisti di politica indiana porterà conseguenze gravi nella regione del Kashmir, tra le quali un sostenuto cambiamento demografico nell’unica regione a maggioranza mussulmana di uno stato a maggioranza indù. Infatti l’articolo 370 garantisce ai residenti l’acquisto esclusivo delle proprietà, l’accesso alle borse di studio e la ricerca di lavoro che sono riservate ai mussulmani.

Il governo indiano ha giustificato la volontà di rimozione dello status speciale con il bisogno disperato della regione di riforme economiche. Il Premier Modi ha inoltre aggiunto che con questa mossa il Kashmir verrà di fatto “liberato” dal terrorismo separatista. La reazione di Islamabad, per bocca del Primo Ministro Imran Khan, non si è fatta attendere: egli accusa direttamente il governo indiano di volontà di pulizia etnica e minaccia ritorsioni, anche paventando l’uso della forza, contro una scelta considerata scellerata.

Nel frattempo il Kashmir è sotto coprifuoco: le autorità indiane e le forze di sicurezza hanno imposto il blackout delle comunicazioni verso l’esterno, sospendendo internet e la interrompendo la rete telefonica. A questa mossa segue quella del dispiegamento di decine di migliaia di uomini di esercito e polizia, unitesi alle già consistenti forze presenti sul campo. Numerosi politici locali sono inoltre posti agli arresti domiciliari. Sembra chiaro che queste mosse preludano una possibilità di rivolta mussulmana e che le autorità indiane stiano agendo per farsi trovare pronte nel caso che questa rivolta si materializzi.

La motivazione politica di tale situazione potenzialmente esplosiva risiede nel cuore del nazionalismo indù, ovvero nell’idea di “civiltà ferita”, punto focale del discorso politico del Premier Modì e del suo partito nazionalista. E’ altresì noto che ogni movimento nazionalista coltiva le proprie radici nel vittimismo ed è proprio secondo quest’idea che i nazionalisti indù vedono da sempre come un’insulto il fatto che una regione a maggioranza mussulmana, all’interno di un paese a maggioranza indù, goda di diritti politici particolari.

Secondo alcuni analisti le rivolte in Kashmir riprenderanno forza, facendo in modo che il Pakistan si senta in dovere di intervenire ufficialmente a sostegno della popolazione mussulmana; l’India di conseguenza non indietreggerà un metro e tenterà di andare fino in fondo alla questione, concludendo le sue riforme. La possibilità di un conflitto, quindi, rimane reale e in tal caso si vedrà se la reciproca deterrenza nucleare farà in modo che entrambi i paesi misurino il loro intervento.

Non resta che attenderà le prossime mosse lungo la Linea di Separazione, già definito come il confine più caldo al mondo, sperando che la situazione rimanga tale e non si incendi ulteriormente.