Processo costituente in Cile: guerra di immaginari alle porte del referendum finale

26 / 7 / 2022

Il 4 settembre 2022, si terrà in Cile il referendum sul testo bozza della nuova costituzione, che se approvata sostituirà la costituzione neoliberista imposta nel 1980 dalla dittatura del generale Pinochet. Il processo costituente cileno è frutto della rivolta popolare del 2019 e dall’esito del referendum – al momento in bilico – dipende la possibilità di realizzare importanti rivendicazioni di quel ciclo di lotte (in passato, espansioni dei diritti sociali anche modeste sono state respinte dalla Corte Costituzionale). Con il termine dei lavori della Convenzione Costituzionale, è iniziata una campagna referendaria senza esclusione di colpi. In questo contesto, la stampa liberista occidentale si è schierata con la destra cilena nel tentativo di far leva sulla stanchezza verso un processo lungo ormai quasi tre anni per ribaltare un consenso per il cambiamento inizialmente molto solido. Su questo tema, proponiamo un contributo pubblicato originalmente da Tribune Mag. Traduzione di Lorenzo Feltrin.

L’Economist ha pubblicato un editoriale che invita i cileni a “rifiutare il testo bozza della nuova costituzione”. Nell’articolo, la testata britannica definisce il testo come “confusionario”, “pieno di termini fumosi” e “assurdamente lungo”. Qualificando la bozza come troppo progressista, il pezzo fa allusione ai temi delle culture war. A quanto pare, l’incapacità dell’Economist di capire la parola “genere”, che compare 36 volte nel testo, ha portato la rivista a mistificare la sostanza del documento. Ha dato così una rappresentazione falsata del processo, del contenuto e – per dirla tutta – del senso di una costituzione, che è cosa diversa dalle leggi che, più avanti, il potere legislativo approverà in parlamento. Cominciamo però dall’inizio.

Il testo bozza della costituzione cilena è il risultato di un processo democratico durato oltre due anni. È la prima volta nella storia del Cile che una costituzione viene scritta dal popolo invece che da una élite politica, economica o militare. Nel corso della rivolta sociale del 2019, i partiti politici raggiunsero l’“Accordo del 15 novembre” – altrimenti detto “Accordo per la pace sociale e la nuova costituzione” – che diede il via al processo per la scrittura di una nuova costituzione. L’accordo stabiliva che, previa approvazione tramite referendum popolare, il processo prendesse la forma di una Convezione Costituzionale eletta, indicando che questa doveva avere parità di genere, seggi riservati per i popoli indigeni e permettere la candidatura di liste indipendenti dai partiti. L’Accordo del 15 Novembre prevedeva inoltre che, una volta terminato il testo bozza, anche quest’ultimo dovesse essere sottoposto a referendum, cosa che accadrà il 4 settembre di quest’anno. L’Accordo fu convertito in legge nel dicembre 2019. In un anno di grandi tumulti politici, trovava risposta una delle rivendicazioni della rivolta, quella di rompere col passato dittatoriale cristallizzato nella costituzione degli anni ’80.

Nell’ottobre del 2020, il 79% dei votanti approvò la scrittura di una nuova costituzione attraverso una Convenzione Costituzionale eletta, con un tasso di partecipazione del 51%. Iniziò così la campagna elettorale per la Convenzione, i cui membri furono eletti nel maggio 2021. Il risultato fu un’ampia maggioranza progressista e diversificata, dal tradizionale centrosinistra, come il Partito socialista, ai movimenti sociali indipendenti. Furono eletti 155 costituenti in totale – 78 uomini e 79 donne, con 17 membri di gruppi indigeni. Il loro compito era quello di scrivere la nuova costituzione rinunciando a ogni incarico pubblico per due anni dopo il termine del processo. La composizione demografica della Convenzione rifletteva la diversità del Cile, rappresentando gruppi che di rado avevano partecipato alla decisione delle sorti del paese e dimostrando la natura democratica del processo. Per esempio, femministe con diverse storie politiche hanno avuto un peso determinante nella Convenzione, mostrando la connessione diretta tra l’ascesa del movimento femminista nel 2018 e le trasformazioni politiche che si sono viste nel paese.

Le decisioni democratiche e collettive di questo processo hanno conferito trasparenza e legittimità al testo bozza della costituzione. È vero che la maggior parte della Convezione era composta da partiti progressisti, organizzazioni di sinistra e movimenti sociali, ma ciò non è avvenuto né per caso né per imposizione – a differenza di quanto sembra suggerire l’Economist. I candidati di centro e di destra avevano le stesse possibilità di fare campagna per essere eletti e – anche se in minoranza – sono comunque stati parte della Convenzione. Non è colpa delle sinistre se i tradizionali partiti neoliberisti e conservatori non sono riusciti a convincere l’elettorato, è piuttosto causa di decenni d’inefficacia politica e distacco dalla realtà in cui vive la maggioranza del popolo cileno. Le loro promesse di cambiare il paese con una serie di “riforme” non hanno risuonato con il desiderio di tanti e tante di “rifondare il Cile” – un sentimento emerso chiaramente nella rivolta sociale del 2019.

Il lavoro della Convenzione, iniziato nel luglio 2021, è stato indipendente dalle altre sfere politiche, come il governo e il parlamento. La Convenzione ha stabilito le proprie regole e organizzato le proprie commissioni tematiche. Tutte le discussioni sono state rese pubbliche tramite streaming in diretta, allargando i canali della partecipazione democratica. La caratteristica più interessante del processo è stata l’inclusione delle iniziative popolari, un meccanismo tramite cui le cittadine e i cittadini potevano proporre norme da discutere nella Convenzione. Le proposte venivano consegnate online e potevano essere votate da ogni persona col diritto di voto. Ogni individuo poteva proporre o appoggiare fino a sette iniziative e quelle che ottenevano più di 15.000 firme da almeno quattro regioni diverse venivano discusse e votate nella Convenzione. Molti articoli del testo bozza derivano da o prendono in considerazione queste iniziative.

L’Economist ha liquidato la bozza come “eccessivamente progressista” – espressione poi a quanto pare sostituita con “a tratti eccentrica” – ma la rivista tace sul fatto che le idee progressiste contenute nel testo non sono lì per le imposizioni o le manipolazioni di un gruppo minoritario ma per un processo coerente, trasparente e democratico, senza esclusione alcuna. L’Economist sembra perplesso dal fatto che la società cilena si stia spostando a sinistra e che la gente sia disillusa rispetto all’imposizione di lungo corso di quelle riforme neoliberiste che hanno resto il Cile il paese più diseguale dell’America del Sud. Nell’immaginario liberale dell’Economist, il Cile era un successo del libero mercato. Ma questo immaginario non ha nulla a che vedere con l’esperienza di tante e tanti che in Cile ci sono cresciuti. Per decenni, il popolo cileno ha sognato un altro paese con priorità diverse. È per questo che le iniziative popolari più votate sono state quelle che avevano a che vedere con il diritto a una pensione degna, all’istruzione gratuita, a un sistema sanitario universale e con il riconoscimento dei diritti della natura. Necessariamente il testo bozza doveva riflettere queste iniziative per costruire le fondamenta di un nuovo patto sociale basato sull’uguaglianza, la solidarietà, la giustizia – cose che forse l’immaginario liberale nemmeno può comprendere.

L’Economist si concentra sull’argomentazione che l’inclusione dei diritti sociali, politici e lavorativi nella costituzione farebbe “esplodere il budget” ma dimentica o ignora che il budget in ogni caso non lo fa la costituzione ma il parlamento. La costituzione, se sarà approvata in settembre, diventerà una mappa per la trasformazione del paese, permettendo di avanzare nello sviluppo di quei diritti sociali di base che per cinquant’anni sono stati strappati via dalle cilene e dai cileni. Cosa anche più importante, la costituzione sarà il risultato di un processo democratico popolare, il primo in Cile dopo la fine della dittatura. È di questo potere dal basso che gli opinionisti dell’Economist hanno paura, come ne hanno paura le élite cilene. La possibile approvazione del testo bozza potrebbe consolidare infatti il risveglio di quel popolo che per primo è stato vittima dell’esperimento neoliberista.