Relocate The Race, boicottare il Giro e ciò che rappresenta

Tutte le info sulla campagna di Bds le puoi trovare nel blog dell'Associazione Ya Basta! Êdî Bese!

24 / 11 / 2017

Chissà se, come sostiene l’ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti, il povero Gino Bartali sarebbe orgoglioso di sapere che “il Giro d’Italia sta conoscendo una fama senza precedenti” grazie alla partenza da Gerusalemme nel 2018. Chissà se sarebbe davvero orgoglioso di sentirsi usato così sfacciatamente, lui, Giusto tra le Nazioni, da uno Stato che fa dell’oppressione e della violenza contro un intero popolo il suo marchio di fabbrica.

Che cosa avrebbe pensato Bartali nessuno può dirlo e nessuno dovrebbe avere l’ardire di usare una tale mancanza di rispetto verso un uomo che, nel silenzio e a rischio della propria vita è rimasto umano di fronte alla catastrofe del nazifascismo. Di certo il campione toscano scelse di stare dalla parte degli oppressi, non degli oppressori.

RCS Sport, organizzatore del Giro d’Italia, invece ha scelto di stare con lo stato di Israele, con chi opprime il popolo palestinese, con chi ha occupato Gerusalemme Est e numerosi altri territori palestinesi; ha scelto di stare con chi viola quotidianamente le risoluzioni dell’ONU e i diritti umani, con chi usa la violenza per dirimere questioni politiche. La Grande Partenza del Giro d’Italia, costata a Israele un investimento di oltre 12 milioni di euro, rappresenta e legittima tutto questo.

E allora vien da chiedersi cosa rimane di quel ciclismo eroico di cui Bartali è stato un superbo interprete. Dove sono finiti i valori di cui il ciclismo si faceva vanto, quel sacrificio, quell’umanità, quella generosità simbolicamente rappresentata dal famoso scambio di borraccia tra il Campionissimo Fausto Coppi e l’acerrimo rivale Gino Bartali?

coppi_bartali

Quel ciclismo, lo sappiamo ormai bene tutti è andato e non ritornerà. Nel momento stesso in cui hanno cominciato a girare soldi, il ciclismo ha cominciato a perdersi. Già negli anni ‘60 ai tempi del Cannibale Merckx le prime voci di doping comparvero a turbare l’ambiente. Un sistema che si impose durante l’era Moser e che divenne problema conclamato dagli anni ‘90, quando abbiamo smesso di contare campioni, campionissimi e coéquipier caduti nella rete del doping. Ma poi non è solo questo: la passione di milioni di tifosi in tutto il mondo era data, principalmente per quei corridori che mettevano in campo l’audacia, la grinta, il coraggio, la generosità e la pazzia, costruendo le imprese più improbabili a costo di una fatica impensabile e del rischio di perdere la corsa. Tutto questo ha lasciato spazio ormai a una tattica sfrenata che devitalizza e rende insipide anche le tappe potenzialmente più emozionanti e questo perché dietro al campione di turno c’è sempre un grande sponsor che non può permettersi la sconfitta.

La tattica esasperata ha fatto perdere la passione e l’irrisolvibile truffa doping ha fatto perdere credibilità al ciclismo; ora questa sciagurata decisione potrebbe far perdere ulteriore appeal a tutto l’ambiente: sportivamente parlando infatti, non ha nessun motivo pratico la partenza da Israele, non è stata decisa per omaggiare Bartali, tanto meno per celebrare la pace in Medio Oriente. Si tratta di affari, il Giro è un (grande) evento in crescita che, secondo le mire di Urbano Cairo, patron di RCS, può ambire a diventare grande quanto il Tour de France, il terzo grande evento più importante e seguito dopo le Olimpiadi e i Mondiali di calcio. Fatturato, di questo stiamo parlando, non di ciclismo eroico, non di atleti, non di sport.

Se da un lato c’è il business, la controparte, il Governo Israeliano, punta a vedere legittimato di fronte alla comunità internazionale il suo essere democratico e le sue politiche fatte di muri dell’apartheid, di check point, di vessazioni e repressione verso il popolo palestinese, di occupazioni di terre e di Gerusalemme Est, il tutto per celebrare il 70° anniversario della nascita dello stato di Israele, che per inciso per i palestinesi significa invece la commemorazione della Nakba, la pulizia etnica perpetrata da Israele che ha prodotto 750 mila profughi e migliaia di morti tra i palestinesi.

palestina

La beffa finale sarà tra pochi giorni, il 29 novembre, quando sarà presentato ufficialmente l’intero percorso della corsa, nello stesso giorno in cui l’ONU ha indetto la Giornata Mondiale di solidarietà per il popolo palestinese. Fortunatamente, quest’azione di sport washing del Giro d’Italia non è sfuggita alle organizzazioni dei diritti umani che si occupano di Palestina. In particolare, il BDS (il movimento internazionale per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni per Israele), ha subito lanciato la campagna #relocatetherace, con la quale intende portare gli organizzatori a cambiare la sede di partenza. All’appello internazionale lanciato in queste ore hanno aderito oltre 120 gruppi di diritti umani e tra i firmatari ci sono Noam Chomsky, Moni Ovadia e gli europarlamentari Eleonora Forenza, Sergio Cofferati e Curzio Maltese. Hanno inoltre firmato l’appello la FIOM-CGIL, USB, Pax Christi e la Rete Ebrei Contro l’Occupazione. Il movimento ha inviato anche una lettera aperta a Papa Francesco, chiedendogli di non accettare l’invito a dare il via ufficiale alla corsa.

Inoltre, il 25 e 26 novembre in varie città italiane tra cui Bologna, Firenze, Follonica, Milano, Napoli e Udine sono state lanciate delle biciclettate con lo scopo di sensibilizzare il pubblico e chiedere lo spostamento della partenza. Le iniziative del fine settimana si preannunciano essere solo l’inizio di questa campagna dal momento che dai vertici di RCS non sembrano esserci ripensamenti di alcun tipo.

Se tra gli obiettivi c’era il ritorno di immagine, ci sono riusciti. L’immagine del Giro che ne esce però non è affatto quella positiva che pomposamente hanno annunciato RCS Sport, il Governo Italiano e Israeliano insieme: il Giro ha scelto di stare con gli oppressori.