Revolution in our lifetime

4 / 6 / 2020

Un'approfondita intervista a Nicola Carella* sulla situazione in cui versano gli Stati Uniti, l'esplosione del Black Live Matter, e del trittico sempre più all'ordine del giorno di "Rights, riots and police brutality".

"Un nuovo mondo dalle ceneri del vecchio".

1. In molti hanno sottolineato il carattere meticcio di queste rivolte. Alcuni parlano addirittura di un mix tra il movimento “occupy” e le rivolte di Ferguson di alcuni anni dopo, da cui è nato Black Lives Matter. Qual è il portato storico e politico di questo metissage? Come si lega alla crisi sanitaria, economica e sociale che gli Stati Uniti stanno vivendo in maniera forse più forte e repentina rispetto al resto del mondo?

É molto difficile definire con chiarezza qualcosa che si dà con questa intensità e potenza in così poco tempo, in una fase storica, almeno per me, comunque inedita di suo. Posso provare però a condividere alcune impressioni, nella speranza che possano facilitare una riflessione collettiva.

Innanzitutto è meglio invertire l'ordine della domanda. Questo perché Black Lives Matter è centrale nel catalizzare, nel produrre un passaggio di fase tra la depressione dell'America, società infetta, ingiusta e gonfia di tensioni e l'esplosione gioiosa, solidale e liberatoria di quel meticciato di cui parli.

Fatte queste premesse proviamo a fermare l'America in quell'orribile istante in cui un poliziotto bianco, brutale, fascista, con i suoi complici ha ucciso George Floyd per una banconota falsa da 20 dollari. Nei limiti del possibile, ancora meglio, immergiamoci in quella Minneapolis, ancora progressista e meticcia ma inevitabilmente impoverita e disperata come tutta la nazione. Collochiamoci proprio lì, dove c'è un'epidemia di un virus sconosciuto con oltre 1.5 milioni di contagiati e 100 mila morti. Dove 40 milioni di persone hanno perso il lavoro nel giro di tre mesi. Non un “lavoro essenziale” che svolgevano e, quindi, non erano essenziali neanche loro. Lì ci toccherebbe intanto un bel debito di 15 mila dollari in banca. Se fossimo studenti rischieremmo di far parte di quel 60% che dovrà abbandonare gli studi per non fare altro debito. Del resto gli stimoli della FED sono già esauriti e sono andati per lo più nelle solite tasche, gonfie in misura oscena. 

Siamo nell'America del maggio 2020, tutto è fallito. Non lo vedono solo suprematisti e complottisti bianchi e armati che sfilano contro le misure di confinamento per il diritto allo shopping. 

Donald Trump, il Presidente, è in campagna elettorale permanente e non solo nega il contagio, passando sopra a tanti lutti e sofferenze, ma afferma - in più occasioni - persino che va tutto magnificamente. Ed è tanto spregevole da insultare, forte di una posizione di potere, chiunque osi dire che ci sarebbe qualche problema. In ultima istanza come un ragazzino scarica sugli altri ogni responsabilità del suo inevitabile ennesimo fallimento. Un sovrano narcisista grazie al quale il Ku Klux Klan non è più solo una lontana vergogna ma quasi la fantasia erotica, l'aspirazione di molti bianchi come quando uscì “Nascita di una Nazione”. Perché solo in quel passato così violento può sognare una redenzione eroica il patriarcato eterosessuale bianco e colonialista statunitense. 

Per tutti gli altri è evidente che la bolla del miracolo economico è esplosa mostrando le due tensioni opposte su cui si fondava. La prima tensione è un'accelerazione in senso monopolistico del Capitale, con le ovvie conseguenze in termini di disuguaglianza. Ma l'altra, ovviamente opposta, genera ovviamente una presa di coscienza sull'urgenza di farla finita col capitalismo. Consapevolezza inversamente proporzionale all'età visto che l'anno scorso la CIA scrisse che oltre il 50% degli under 30 statunitensi voleva il socialismo e gran parte degli altri odiava il capitalismo. Un ragazzo o una ragazza appena maggiorenni negli USA infatti difficilmente avrà una fascinazione per la Silicon Valley o le nevrosi tecnoentusiaste degli start uppers. Non guarderà a Musk, Bezos, Gates come modelli. Piuttosto a fatica, lottando, sopravviverà di Gig Economy, Working poor e precarietà. Insomma proprio quei lavori non essenziali durante il lockdown. L'espulsione dell'umanità in eccesso in America oggi è rapidissima e travolge innanzitutto gli under 30. Al punto che da tempo è diventato più sensato pensare di farla finita col capitalismo che sperare di riuscire a starci dentro. É questa l'evoluzione di classe e, conseguentemente, generazionale di Occupy secondo me. Grazie al sollevamento senza più mediazioni di Black Lives Matters moltissimi hanno colto un'opportunità. 

Sul perché poi proprio Black Lives Matter e non altri tocca soffermarsi sul “trattamento speciale” riservato a chi è nera o nero dal paese delle libertà. Negli Usa, del maggio 2020, sul totale della popolazione carceraria un detenuto su tre è afroamericano. E nelle prigioni americane vivono (e spesso lavorano gratis) due milioni e 300 mila persone, il 25% della popolazione carceraria mondiale (a fronte del 5% di popolazione del pianeta). Ogni anno per il sadico piacere di un milioni di poliziotti, 10,5 milioni di americani vengono arrestati ma prima verosimilmente umiliati, picchiati, storditi col teaser o arrestati per “Jaywalking” cioè attraversamento fuori dalle strisce pedonali che è il maggior reato compiuto secondo le statistiche. Negli Stati Uniti d'America! 

Il 25 % dei detenuti è in carcere per futili reati, decisi da un poliziotto, spesso bianco, negli ultimi anni sempre più frequentemente elettore di Trump. E alla fine, sebbene gli afroamericani siano solo il 13% degli statunitensi, sono oltre il 40% dei detenuti. Se riesci ad uscirne tra le conseguenze della condanna avrai una sorta di “lettera scarlatta” a vita. Questa comporta l'aumento anche delle polizze delle assicurazioni sanitarie, fino a otto volte quelle normali. Per questo il 68% degli afroamericani non ha copertura medica. Per questo si ammala e per questo muore. Con l'epidemia di Covid-19 più di prima. 

Aggiungiamo che il 90% del personale ospedaliero, cioè il più esposto al contagio, è donna e nera e avremo un quadro di come vive la comunità afroamericana oggi. Una comunità che si ammala di Covid-19 sei volte più rispetto ai bianchi, dove il reddito lordo di una famiglia è un decimo di quello di una famiglia bianca media. Una comunità già a lutto per i recentissimi omicidi di Ahmaud Arbery e di Breonna Taylor. Che dopo cinque secoli di promesse mancate e ingiustizia ovunque, non poteva più tollerare altro. Per questo per quella comunità l'omicidio di George Floyd è stato il cerino che dà fuoco alla prateria. Quel video ha fatto scoppiare la rabbia di tutti gli afroamericani, dai commentatori CNN ai deputati, dai senza fissa dimora ai disoccupati, ai lavoratori. E il Black Lives Matter da sei anni organizza la solidarietà, l'empatia, la cura della comunità nera. Solidarietà, empatia e cura che sono l'antitesi dell'odierno sogno americano, dell'ethos di Trump e di Bezos. Quella rabbia si è allargata nelle città ma solo grazie all'aver mostrato in un paesaggio umano arido, spaventato, cattivo quei sentimenti politici di Black Lives Matter. Ciò che vive un afroamericano negli States infatti è fondamentalmente incomprensibile per il resto della società. E però ogni afroamericano può capire ciò che vive gran parte della società americana.

Dalla guerra civile alle leggi Jim Crow, alla repressione del movimento dei diritti civili, all'incarcerazione di massa alla “guerra alla droga”, alle politiche securitarie di Bill Clinton fino alla complicità di Trump con il suprematismo bianco, parliamo di una Guerra Civile mai finita che fanno la quotidianità dei neri americani. Una quotidianità che ha memoria solo di traumi di generazioni e generazioni. Una contro epopea americana fatta di famiglie distrutte, di affetti persi impunemente, di umiliazioni e ingiustizie. E ciononostante mai cinica al punto da fondarsi sulla cura, sulla solidarietà e sull'empatia per i fratelli e le sorelle. Ecco perché Trump è alla testa dell'odio e del disprezzo per i più giovani attivisti di Black Lives Matter. Perché il loro lessico, quella forma di vita, quella riflessione parlano a molta più gente e molto meglio della retorica da"Stay Hungry Stay Foolish" del capitalismo americano, del razzismo assertivo del Presidente o di qualche paranoica teoria del complotto. 

Le pratiche che abbiamo visto effettivamente rimandano ad altri movimenti ma sono innanzitutto il processo evolutivo di un'intelligenza di massa dei subalterni statunitensi. Un'evoluzione che è stata necessaria per sopravvivere. Ecco perché si è subito allargata alla vasta sensibilità “anarchica” collettivista o “anarco” sindacalista. Perché proprio quell'aria sperimenta, impara, elabora un modo per sopravvivere in modo solidale senza cedere al sovrano Capitale. Per questo durante la pandemia ha diffuso un programma in cinque punti che riecheggia in quello odierno del movimento. Il tema della casa, con lo storico successo dello sciopero degli affitti, il tema dell'abolizione delle carceri, di un reddito universale incondizionato, del mutualismo e della cooperazione, praticato dal basso riguardano tra i tanti anche gli afroamericani e per le ragioni su esposte oggi tutti (o quasi)gli afroamericani.

C'è una quarta importante anima nelle strade che abbiamo visto. Nella sua evoluzione può semplicisticamente ricordare quella del punk inglese appena nato negli anni '70. Una sottocultura che si faceva pratica e teoria politica e infine radicale identità militante. Sono i famigerati collettivi Antifa. Nelle curve di calcio un tempo vuote e ora caso di studio mondiale, nella scena musicale che moltiplica produzione indipendente in controtendenza al monopolio delle Major che continuamente annunciano fusioni. Ma soprattutto la militanza degli Antifa è nel tutelare i vulnerabili delle comunità dall'odio omicida dell'Alt Right. Molti bianchi over 30 hanno utilizzato la propria condizione di privilegio ribaltandola contro chi difendeva la stessa condizione loro. E l'hanno fatto cogliendo fino in fondo quanto quello stato di cose fosse ingiusto. Con l'elezione di Trump ma soprattutto dopo Charlotteville, la scena Antifa, diffusa e fatta di innumerevoli gruppi e collettivi spuri, è diventata l'incubo principale dei suprematisti. Non è casuale l'ossessione di Trump contro una presunta organizzazione terroristica “Antifa”. La loro sola esistenza solidale e la capacità di mettersi a servizio dei più deboli polverizza tutte le ragioni per cui esiste l'estrema destra statunitense.

Ricapitolando l'avanguardia di Black Lives Matter circondata da una generazione cacciata dalla società. Un millieu in cui nelle communities si diluiscono le istanze anticapitaliste dell'anarchismo collettivista americano e la contro-cultura Antifa. E col passare del tempo questa mezcla si allarga grazie alla cura, all'ascolto, alla radicalità di un'incompatibilità sistemica. In piazza, nelle strade ognuno mette ciò che può, conoscendo quali sono ruoli utili, ascoltando e dando consigli, condividendo informazioni, tecnologie, ideologie, sentimenti. Prendendosi cura della vulnerabilità, della paura, della fragilità di chi si ha accanto. 

Ecco il mix che tutta l'America ha guardato quando la caserma del distretto 3 di Minneapolis è andata a fuoco. Un sentimento così assente da sembrare nuovo per chi non è afroamericano innanzitutto. E allora li si è prodotto l'effetto palla di neve attraverso tutti gli Stati Uniti, con le manifestazioni fuori dal Minnesota. E oggi da Hong Kong arrivano documenti, consigli, tutto il loro know how di piazza, su come usare Telegram o i device per comunicare, organizzare, informare, persino decidere. Lo stesso dal Libano. Dalla Francia alla Turchia, dalla Nuova Zelanda alla Germania, dal Brasile al Giappone. E ogni luogo che si solleva fa emergere una parte propria dell'ingiustizia che vivono gli afroamericani statunitensi. Condividendo il massimo disprezzo per gli assassini in divisa. E' straordinario così tanto in così poco, almeno a mia memoria.

2. Un’altra differenza rispetto ad altre rivolte passate è il fatto che la mobilitazione si sia diffusa rapidamente in tutto il Paese, assumendo forme similari in contesti urbani e periurbani molto diversi da loro. Quali sono le principali ragioni di questa diffusione? Che impatto può avere tutto questo sul mondo politico statunitense nel breve e medio periodo?

Anche qui, proverò a semplificare. Come dicevo, c'è stata una rottura degli argini e un'esondazione di tutta la comunità nera ma l'intervento dei poliziotti, dei suprematisti, di Trump hanno prodotto intorno al quarto giorno una generalizzazione tale che ha superato lo schema metropoli, campagna o stati costieri, fly over state, o “blu” o “rossi”, per citare altri “classici” con cui raccontiamo gli States. Mi pare sia stato possibile anche perché i nemici rappresentano ingiustizie sempre immanenti nell'orizzonte americano. Sono orrori deterritorializzati e radicali, “sistemici” sentiamo ripetere sempre più spesso. La polizia, Trump, i suprematisti, il cinico capitalismo della catastrofe e la violenza dell'economia estrattiva non sono “pezzi della macchina”, ma la macchina! 

Gli Stati Uniti funzionano perché uccidono, spaventano, sfruttano da secoli i neri, i giovani, i migranti. Se ci sono 140 città che manifestano verosimilmente avremo in ognuna almeno una delle fratture insanabili tra le mille. Parlo di soggetti reali, di vite, di corpi. E vale a New York City come a Des Moines. Inoltre esiste un precedente importantissimo: la “calda estate” del 1967.. Quei riot, con saccheggi e distruzione, così fondamentali per l'immaginario di generazioni di afroamericani hanno elementi incredibilmente simili a quello che stiamo vedendo per estensione territoriale e carica di rabbia. Allora raggiunsero 100 diverse città, sconvolgendo Johnson al punto che tra i diversi esiti ci fu la fine della segregazione e delle leggi Jim Crow. Insomma l'unico riconoscimento vero avuto dagli afroamericani in USA dalla fine della Guerra Civile è arrivato grazie all'unica insurrezione per vastità e violenza realmente assimilabile a questa. Ma Trump non è Johnson e le richieste di BLM dopo 40 anni di menzogne sembrano utopistiche persino per gli oppositori politici del Presidente.

3. Come sta reagendo la parte più progressista dei democratici di fronte a quello che sta accadendo? Quali possibili alleanze e saldature si possono creare in questa fase così delicata?

Chi? Scherzo. Non ci sono, credo. La saldatura più significativa ad oggi mi pare sia quella della figlia di De Blasio durante i saccheggi a New York. Se non fosse che il padre “orgoglioso di sua figlia che combatte per un mondo più giusto” ha subito ribadito: “chi colpisce la polizia colpisce tutti noi”. Dove per “noi” per tutti i manifestanti suonava come “noi liberal bianchi e benestanti”. E De Blasio era una delle principali figure dem che aveva fatto un endorsment per Bernie Sanders alle primarie. Oppure pensiamo a Ilhan Omar. Dopo i primi due giorni ha invitato a fermare i saccheggi a Minneapolis. C'è da dire che lei è proprio del Minnesota e la sua posizione deve aver lasciato sgomenti diversi suoi supportes. Tanto che dopo le critiche ha preferito rendersi utile alla sua comunità impegnandosi nella raccolta di fondi per la cassa di solidarietà per gli arrestati e sta svolgendo un'importante opera di monitoraggio sulle indagini sull'omicidio.

La sconfitta di Sanders alle primarie può essere stata poi una condizione necessaria (ovviamente non sufficiente) per ciò che stiamo vedendo. Una parte di chi oggi manifesta riponeva in Sanders l'ultima residua speranza per rovesciare Trump e il trumpismo. 

Tramontata questa, con i Democratici che hanno giocato sporchissimo, i percorsi in questo si sono divisi. Per dirne una. Ricordi Amy Klobuchar? La senatrice candidata alle ultime primarie è stata fondamentale per l'esito ed è stata la prima a fare endorsement per Joe Biden. Lei dal 1998 al 2006 è stata Procuratrice in Minnesota. E le sue decisioni hanno salvato Chauvin, l'assassino di George Floyd, da 12 indagini per violenze e abusi in divisa. Compreso nel 2005 un caso in cui sono morte 3 persone. E Joe Biden stesso che si è auto definito candidato della comunità nera in quanto Vice di Obama è semplicemente imbarazzante. Effettivamente ha ottenuto il suo risultato, neanche eclatante, alle primarie grazie al voto di molti elettori neri. Ma parliamo dell'elettorato democratico, non della società americana. E parliamo dell'elettorato nero negli stati del Sud cioè quelli che vivono le condizioni più disperate in termini di violenze poliziesche. Difficile pensare adesso che preferiscano affidarsi alle elezioni di Novembre e non ai movimenti ad Atlanta, Louisville o New Orleans. Nelle ultime due settimane Biden ha rilasciato in tutto tre dichiarazioni. Due di queste sono state sconcertanti. La prima è stata quando ha detto a un intervistatore afroamericano che se non votava per lui “non era nero” e la seconda in cui ha spiegato in modo inconsapevole cosa significa il “male minore”: addestrare i poliziotti “a sparare alle gambe e non al cuore” durante gli arresti. Infine, ha tenuto una conferenza stampa a Philadelphia in cui ha promesso di chiedere al Congresso generiche riforme sulla polizia, ha relativizzato le responsabilità dell'indifendibile Donald Trump accostando sempre a “manifestanti” l'aggettivo “pacifici”. Il che per chiunque guardi la TV o legga i giornali mainstream è evidentemente il riferimento alla narrazione “buoni e cattivi” che si prova a far passare. È straordinario come l'establishment progressista statunitense sia talmente intimamente razzista e mediocre da pensare che chi manifesta sia stupido. Eppure il caso di Hillary Clinton e degli attivisti di Black Lives Matter sotto il palco elettorale dove parlava il marito Bill nel 2016 dovrebbe fare scuola. E la legge che contestavano, “Tre colpi e se fuori” (dopo tre reati hai automaticamente l'ergastolo), fu promossa proprio da Joe Biden! Anche la famiglia Obama è coerente con la linea di Biden, sebbene con ben altra autorevolezza e, soprattutto, da afroamericani. 

Quando l'ex Presidente ha detto che serviva la piazza (senza distinzioni tra manifestanti buoni e no) ma anche il voto è stato sommerso da commenti che gli ricordavano che lui, invece che risolvere problemi strutturali e antichi, preferì nel 2015 pronunciarsi sui riots dopo l'ennesimo omicidio di un ragazzo nero a Baltimora dicendo che non “aveva simpatia per chi stava manifestando violentemente e saccheggiando negozi per avere un ritorno dalla protesta” e che secondo lui andavano “trattati da criminali comuni”.Che. seguendo gli standard in uso alla polizia. non è così lontano da Trump che chiede alla Guardia Nazionale di sparare. Per avere la dimensione di quanto distanti siano la politica e la società basti citare un sondaggio della prestigiosa MonmouthPoll in cui, dopo una settimana di proteste, il 78 % (contro il 18%) trovava la rabbia dei manifestanti “giustificata” e il 54% esprimeva soddisfazione per il rogo della stazione di polizia del 3 distretto di Minneapolis.

Tuttavia se per “parte più progressista” intendi proprio Bernie Sanders è bene sottolineare che in questo panorama lui non solo non si è mai dissociato da alcun atto dei manifestanti ma ne ha sostenuto senza se e senza ma le ragioni. Però è difficile pensare che “Crazy Bernie” abbia oggi alcuna velleità elettorale nel farlo. Unica eccezione è Alejandra Ocasio Cortez. Posta immagini di supporto alle proteste o con lei nelle proteste. Ha diffuso un kit per scendere in piazza e l'impressione è che ci sarebbe stata indipendentemente se fosse stata eletta o meno nel 2018. Del resto rappresenta il suo territorio: il Queens che è tra quelli che in modo più numeroso e radicale sta manifestando. 

L'unica possibile saldatura passa da lei, un po' poco e un po' troppo leaderistico come approccio considerando che si parla di un movimento che rifiuta leadership (anche per la sorte che toccava ai leader dei movimenti neri nella storia americana). Anche se ovviamente penso che i democratici inseguiranno il movimento. Che è dotato di sufficiente memoria e intelligenza da non inseguire i democratici. Poi i cinque punti redatti da Black Lives Matter contro il razzismo sistemico sono incompatibili con le regole del gioco della “democrazia” americana. Non ci sono Stati Uniti d'America senza la polizia assassina, il carcere, l'estrazione di profitto, la distruzione ambientale, la violenza di genere. 

E però, sempre richiamandomi ai riots del 1967, è importante sapere che all'epoca quei moti produssero l'emersione di una nuova forma di organizzazione e pratica politica ancora oggi fondamentale per la comunità afroamericana: le Pantere Nere. Il movimento per i diritti civili, esattamente come Black Lives Matter esisteva già da diversi anni ma, nonostante gli sforzi di Martin Luther King e altri, non aveva ottenuto alcun miglioramento concreto. In quel movimento però, da appena un anno, era nato un gruppo molto giovane, a Oackland, erano le future Black Panthers. All'indomani del 1967 e grazie al 1967 iniziò la loro epopea nazionale e divennero famose nel mondo come il principale rappresentante politico delle istanze degli afroamericani. Non escludo possa accadere qualcosa di simile in termini di soggettivazione politica.

4. Qual è e come si potrebbero posizionare i media in questo contesto?

Su questa domanda ho maggiori certezze. Del resto riporto esclusivamente le indicazioni che provengono proprio dagli insorti, diffuse in modo virale in diverse grafiche, catene Telegram, Wathsapp e gruppi sui social network. Oggi sono media profili “privati” dei social come per i canali di informazione e notizie online o le redazioni tradizionali. E per questo più che dire come si potrebbero posizionare penso sia corretto condividere una linea militante di azione nell'info sfera. Bisogna, con più cura che certezze, essere solidali e complici con le proteste, ascoltare e amplificare la voce che proviene direttamente dalle strade. L'Alt Right americana ha dimostrato ampiamente di essere abilissima nell'uso dei media almeno quanto Zuckemberg e simili irrimediabilmente funzionali con le loro piattaforme alle pulsioni più reazionarie della società. E adesso più che mai è prevedibile l'estrema destra americana utilizzi tutte le proprie capacità contro le rivolte in un terreno che le è noto e favorevole. Questo impone consapevolezza e il massimo del rigore possibile o in, alternativa, meglio evitare di comunicare. Verificare le notizie prima di diffonderle e un atteggiamento da debunker come promozione di ogni approfondimento è importantissimo. Cercare canali fidati e verificati (o verificabili) per avere novità è l'unica scelta possibile per qualunque media che non voglia essere smentito in due giorni giacché è una rivolta impermeabile alle retoriche dell'alto che stabilisce autonomamente cosa e come comunicare. Informarsi e informare in modo critico sempre prendendosi il tempo necessario per capire e approfondire prima di condividere una notizia, una campagna, un'informazione significa non essere gli utili idioti dei suprematisti. 

Del resto non c'è bisogno di avere fretta di “stare sul pezzo”, basta stare al passo delle piazze e dei manifestanti. Mi sento di consigliare, sempre verificando non si tratti di troll o profili fake o black flag dell'informazione, gli approfondimenti e le riflessioni di chi in prima persona affronta l'Alt Right americana: i collettivi, i blog, i siti antifascisti. La loro analisi del discorso pubblico, delle teorie del complotto e della funzione di alcune campagne virali e apparentemente ignote oltre a essere interessantissima e avanzatissima da anni dimostra di essere l'unica in grado di turbare i sonni dei Neo-confederali.

Nel caso si parli di qualcosa di più di una persona col suo account personale anche tradurre i testi, le notizie, o gli approfondimenti tematici che provengono dai siti del movimento è un'azione solidale importante. E ovviamente, come in una società razzista non è sufficiente non essere razzisti ma bisogna essere attivamente anti razzisti condizione minima è sforzarsi a decostruire qualunque discorso, opinione o giudizio che possa delegittimare le proteste o semplificarle o ridurla in un recinto distante, limitato quasi che non ci riguardi. La repressione contro l'insurrezione statunitense può avvenire sia con l'hard power poliziesco che con il soft power. E il soft power riguarda principalmente i media e l'informazione. 

Interrogarsi su questo e trarne le conseguenze è importante quanto respirare, oggi più che mai..

* Nicola Carella è ingegnere e attivista. Dal 2012 vive a Berlino occupandosi di welfare, precarietà, immigrazione, macroeconomia e antifascismo. Ha collaborato con il parlamento europeo sulle strategie economiche di Amazon e Ali Babà. Scrive pigramente su diversi siti di informazione raccontando la politica dal punto di vista dei movimenti tedeschi con gli occhi di un militante italiano. Da un po' offre supporto solidale a Berlino per italiani, e non solo, immigrati su welfare, lavoro e altro.

** Pic Credit: Reuters