Scoppia la rivolta in Bosnia

Scontri con la polizia e palazzi governativi in fiamme contro il malessere sociale e la povertà dilagante

8 / 2 / 2014

La Bosnia Erzegovina è attraversata da un'ondata di proteste senza precedenti dalla fine della Guerra dei Balcani. Tutto è cominciato mercoledì 5 febbraio quando migliaia di lavoratori, studenti, disoccupati, pensionati sono scesi in piazza a Tuzla, terza città del paese, contro la chiusura a seguito della privatizzazione di importanti aziende del territorio come Dita, Konjuh, Guming, Polihem.

I manifestanti sono arrivati davanti alla sede del governo cantonale e hanno tirato sassi contro il palazzo danneggiando alcune finestre. La reazione della polizia è stata violentissima con pesanti cariche e lancio di lacrimogeni che ha portato a un centinaio di feriti e 27 arresti.

La notizia ha fatto immediatamente il giro del paese e la protesta si è diffusa a macchia d'olio in un batter d'occhio. La popolazione aspettava solo un pretesto per mobilitarsi contro la povertà dilagante, la corruzione che pervade le istituzioni di ogni ordine e grado, la disoccupazione che ormai ha superato il 30% mentre quella giovanile tocca addirittura il 60%. Contro una classe politica, rimasta pressoché immutata dalla fine della guerra che persegue solamente i propri interessi.

Nel giro di nemmeno 24 ore migliaia di cittadini hanno invaso le strade e le piazze di tutte le città, piccole e grandi. Nella capitale Sarajevo, tra giovedì e venerdì ci sono stati pesantissimi scontri tra polizia e manifestanti, con lanci di lacrimogeni e proiettili di gomma da una parte e sassi e molotov dall'altra. I manifestanti, dopo ore di battaglia per le strade della città sono riusciti ad entrare all'interno del palazzo del governo cantonale e l'hanno dato alle fiamme. Il palazzo è stato completamente distrutto dal fuoco, ci sono state diverse macchine bruciate e vetrine di banche e negozi distrutte. A Bihac, Zenica, Banja Luka e in tante altre città continuano tutt'ora gli scontri con la polizia mentre i feriti dall'una e dall'altra parte sono centinaia. Anche a Doboj e Mostar gli edifici governativi sono stati occupati da centinaia di persone e dati alle fiamme. In tante città del paese le sedi istituzionali sono state incendiate oppure distrutte dalla furia dei manifestanti.

A Tuzla, dove tutto è cominciato, si racconta che di fronte all'assalto di migliaia di cittadini la polizia non è stata più in grado di difendere il palazzo del governo cantonale e ha deciso di rassegnarsi deponendo gli scudi e i manganelli. Una rivolta che ha messo a ferro e fuoco l'intera nazione, questo è quello che sta accadendo in queste ore in Bosnia. Gli slogan che accompagnano i cortei sono “Ladri venite fuori” oppure “Siete tutti banditi”, riferendosi all'intera classe politica sia di destra che di sinistra. “Siamo stanchi della situazione nel nostro paese, bisogna fermare la corruzione e l'oppressione dei cittadini”, ha detto una delle manifestanti di Sarajevo. La protesta degli operai di Tuzla è stata la scintilla che ha provocato una mobilitazione di massa contro il malessere generalizzato in un paese dove “la gente non ha più da mangiare, non c'è l'assicurazione sanitaria, ai cittadini non sono garantiti i diritti elementari”, come ha dichiarato un ragazzo.

La composizione è variegata, ci sono state infiltrazione anche di bande di hooligans locali ma la maggior parte sono cittadini non legati a particolari organizzazioni e giovani tra i 15 e i 25 anni. Il dato più interessante è l'assenza di distinzioni etniche e l'unità tra croati, serbi e musulmani. Addirittura su alcuni muri sono comparse scritte “ Morte al nazionalismo”, un dato nuovo e non scontato per un paese che si porta ancora gli strascichi della guerra.

I manifestanti hanno diverse richieste: il rilascio immediato degli arrestati durante il primo giorno di scontri a Tuzla, trasparenza nell'uso di soldi pubblici, abolizione di auto blu, diminuzione di stipendi dei politici ritenuti troppo elevati rispetto al resto della popolazione bosniaca. Il presidente Niksic ha dichiarato di stare dalla parte dei lavoratori che manifestano pacificamente per i loro diritti e ha condannato l'uso della violenza. Non ha parlato però della brutalità della polizia che ha arrestato, picchiato e spaccato le ossa a uno dei leader della protesta bosniaca, Aldin Siranovic. Il governo crede che con le minacce e la repressione farà spaventare i cittadini e farli tornare nelle loro case. Questo al contrario, non fa altro che dimostrare come la classe politica sia distante anni luce dalla gente che dovrebbe rappresentare. Essa non capisce i motivi scatenanti di questa rivolta, cerca di mantenere in tutti i modi lo status quo nel quale possa continuare a conservare il potere e la ricchezza accumulate in questi anni. Il popolo però ha sopportato troppo a lungo questa situazione e ora ha perso la pazienza.

Si è arrivati probabilmente al punto di non ritorno, a una primavera bosniaca che potrebbe portare il vento del cambiamento nel cuore dei Balcani.

Palazzo governativo in fiamme

Scontri a Sarajevo

Manifestazione a Tuzla