Simmetrismi e di-simmetrie

Come la distruzione del Califfato potrebbe ridefinire la strategia del terrore dello Stato Islamico

24 / 11 / 2015

Il giorno prima degli attacchi di Parigi, lo Stato Islamico ha perso il controllo della città di Sinjar e della fondamentale strada che collega le due roccaforti del Califfato, Mosul e Raqqa. Il dato della perdità di questa città è stato, per lo Stato Islamico, sicuramente negativo, sia dal punto di vista militare ma soprattutto dal punto di vista della propaganda. Infatti con questa disfatta si è minata l'immagine di nemico indistruttibile e invincibile che i mujaheddin si erano cuciti addosso con i successi iniziali della loro campagna militare.

Negli stessi giorni l'Esercito Siriano, insieme ai raid russi e alla presenza sul campo di Hezbollah e Quds Forces iraniane, è riuscito a rompere l'assedio della base aerea di Kweires, riconsegnando un fondamentale avamposto nel nord del paese all'esercito di Assad. Le forze iraqene invece stanno ammassando uomini e mezzi nei dintorni di Ramadi in vista di un'operazione che ha come obiettivo la riconquista della città, distante solo cento km da Baghdad. Ancora, i raid della Coalizione a guida Usa hanno distrutto oltre cento autocisterne per il trasporto di petrolio, mettendo in crisi la principale fonte di guadagno dello Stato Islamico, attraverso il suo contrabbando.

Questi fatti ci comunicano, senza alcun dubbio, come lo Stato Islamico stia affrontando una pressione militare su tutti i fronti senza precedenti nei suoi territori. In contemporanea però i suoi “soldati” hanno dato il via alla carneficina di Parigi mostrandoci così sia una capacità di reazione immediata sia un potenziale cambio di strategia per i vertici del Califfato che, fino ad ora, salvo rare eccezioni, si erano concentrati con azioni nei territori mediorientali.

Inizialmente la strategia dell’Is era quello di spaventare l'Occidente con video di minacce e atrocità commesse in Medio Oriente e in Nord Africa, rivolgendo l'attenzione soprattutto nelle aree dove possiede un controllo territoriale effettivo e, soprattutto, un'influenza ideologica sulle popolazioni locali per il semplice motivo che il Califfato, come istituzione politica, è sempre stato al centro della loro folle propaganda. Dopodiché con l’ultimo attacco di Parigi il principale obiettivo politico è diventato sempre più cercare di cavalcare le linee di frattura politiche, sociali ed economiche della regione, riuscendo poi a modellarle a proprio piacimento per instaurare sempre più un regime basato sulla paura.

L'abilità dello Stato Islamico di muoversi verso nuovi territori è stata una delle chiavi per alimentare sia il conflitto sul campo in Siria e Iraq sia sua divulgazione, mostrando un cambiamento radicale nell'idea che l'Occidente aveva di terrorismo islamico, ovvero quello legato ad Al-Qaida. L'esistenza di un Stato è stata fin da subito importante per l'appeal ideologico che l'Is ha nel mondo: eliminando il loro Stato, essi perderebbero un enorme potenziale di reclutamento, soprattutto nelle regioni lontane dal Califfato.

Gli attacchi di Parigi e la bomba sull'aereo russo esploso nel Sinai sono allora da leggere in un'ottica diversa, ragionata e non governata dalla paura. Questi attacchi sono avvenuti quando l'espansione territoriale del Califfato è stata arrestata e in alcuni casi rovesciata. Le azioni suicide e gli attacchi in Europa possono e devono essere visti quindi come una dimostrazione di forza, come un nuovo metodo di reclutamento per coloro che vedono nell'orrore e nella paura il loro “habitat” ma, allo stesso tempo, anche come una dimostrazione che l'Is ha le capacità e le abilità materiali di punire i paesi che cercano di distruggere l'autoproclamato Stato Islamico. Questa lettura suggerisce il fatto che d'ora in poi il Califfato, come entità politico-religiosa, non sarà più un'entità unica concentrata in Medio Oriente, ma potrebbe invece ridefinirsi e riorganizzarsi a macchia di leopardo.

L'auspicabile collasso dello Stato Islamico però non distruggerà l'ideologia del gruppo o metterà a tacere le cellule di combattenti: questi ultimi continueranno a perseguire l'obiettivo dell'instaurazione del Califfato e, in più, l'assenza di uno Stato per cui combattere sulle prime linee, potrebbe far sì che diventino ancora più pericolosi per le nazioni occidentali e per coloro che lo hanno combattuto effettivamente sul campo.

Cosa possono fare i paesi occidentali in questa situazione?

Forse invece che collaboratori indiretti di questa guerra dovrebbero porsi il problema di come rimanere uniti e combattere culturalmente, dalle periferie ai banchi di scuola, l'ideologia dello Stato Islamico e, inoltre, supportare con ogni mezzo chi lo Stato Islamico lo combatte sul campo tutti i giorni.