E' difficile valutare quanto peserà questa vittoria sugli esiti della guerra civile. Di sicuro è una vittoria importante

Siria, Assad sucessore di se stesso?

La conquista di Ousayr crea nuovi scenari ed nuovi esodi di massa

di Bz
10 / 6 / 2013

La conquista di Ousayr , dopo 15 giorni di intensa guerriglia, condotta dall’Esercito regolare siriano, con l’appoggio determinante delle milizie degli Hezbollah libanesi, si sta dimostrando un passo in avanti decisivo per il regime di Assad verso una stabilizzazione dei rapporti di forza sul campo militare oltre che politico, così come si stavano delineando da alcuni mesi a questa parte. Da quando cioè la Coalizione Nazionale, pur riconosciuta ufficialmente come legittima rappresentanza politica degli insorti, non ha ottenuto il richiesto aiuto militare da parte delle forze afferenti alla Nato, non è riuscita a dar luogo alla prevista conferenza di pace a Ginevra, perché guardata con molto sospetto dagli osservatori internazionali per la fortissima e predominante presenza di esponenti politici legati alle fazioni islamiche jihadiste, operanti in Siria, le uniche che hanno imposto nei territori del Sud Est del paese un organizzazione politico militare e religiosa, tale da prefigurarsi come alternativa reale.

Una alternativa islamica radicale, temuta come la peste, soprattutto a ridosso di Israele e del Mediterraneo. Una realtà islamista che, potenzialmente sostitutiva del regime di Assad, avrebbe potuto rompere definitivamente i fragili equilibri politico militari dell’intera area geopolitica. Con la regione di Qusayr nelle sue mani, l'Esercito potrà controllare i traffici di armi destinati ai ribelli e puntare alla cattura degli ultimi quartieri di Homs ancora nella mani degli oppositori. L’offensiva dell’Esercito regolare siriano ha portato indirettamente alla possibile ‘liberazione’ di Domenico Quirico, giornalista della Stampa, che, appunto, si trovava in quei territori per un reportage da dietro le linee. Senza sottovalutare che per Homs e Qusayr devono passare per forza il petrolio e il gas delle regioni orientali del Paese cadute nei mesi scorsi nelle mani dei ribelli.


Potrebbe significare anche poco se l'Esercito di Bashar Assad non avrà presto la forza di combattere da solo. E' evidente che i recenti successi dei militari governativi sono stati dovuti in buona parte all'aiuto di Hezbollah. Il movimento sciita starebbe ora ammassando guerriglieri - ben addestrati - insieme a civili armati dei comitati popolari filo governativi nella provincia di Aleppo, per aiutare l'Esercito a riprendere la parte della città catturata dai ribelli un anno fa. Il movimento sciita però non potrà rimanere all'infinito in territorio siriano. La sua scelta, politica e militare, di scendere in campo a favore di Bashar Assad, sta generando grande fermento tra i sunniti radicali in Libano, posto lo sconfinamento dei combattimenti fino nella valle della Bekaa e, pertanto, deve tenere conto dei fragili equilibri interni al Paese dei Cedri.

Una situazione, quella odierna, che Assad vorrà, presto, capitalizzare per ottenere quello status quo, che gli può far assumere la funzione di garante di fragili equilibri che, però, permettono di allontanare una saldatura, nell’area mediterranea e vicino orientale, tra movimenti islamici estremisti, fortemente antioccidentali ed anti israeliani, che ovviamente è di vitale interesse per la Nato ma la tempo stesso è utile alle potenze dell’area, quali l’Iran e la Turchia, che da un colassamento dello Stato siriano verrebbero pesantemente coinvolti.

Su questo sfondo non sorprende il fallimento dell'incontro avuto ieri da diplomatici americani, russi e dell'Onu a Ginevra per la prima riunione preparatoria alla conferenza di pace che vorrebbe mettere fine al conflitto: da definire sono sempre agenda e lista dei partecipanti. Sulla presenza dell'Iran si è bloccato tutto. I rappresentanti delle tre parti torneranno a vedersi il 25 giugno ma il loro compito è tutto in salita e la conferenza data per certa già a fine maggio, ieri è stata rinviata a luglio. Dove un Assad consolidato potrà proporsi come il successore di se stesso per una Siria cantonizzata su base etnico religiosa, in perenne instabile equilibrio.

qui di seguito proponiamo stralci di

un intervento di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia che denuncia la gravissima situzazione delle vittime civili in particolare dei bambini

Sullo sfondo, ci sono gli interessi delle grandi potenze. A cominciare dalla Russia, che vede nella caduta di Assad un pericolo per i propri interessi geopolitici in tutto il Medio Oriente. Mosca fornisce da sempre armi e energia alla Siria ed ha installato a Tartus, sulla costa siriana, la sua principale base navale nel Mediterraneo. Gli Stati Uniti hanno assunto una condotta di politica estera molto diversa dal passato. Già con l’intervento in Libia, Washington ha chiarito che non si impegnerà più in guerre su larga scala, che sono troppo costose in termini di bilancio pubblico e di vite umane.

Nei giorni più caldi del conflitto libico, l’America ha fornito supporto e armi ai ribelli della Cirenaica e appoggio logistico e strategico agli aerei francesi, olandesi, inglesi e italiani impegnati nelle operazioni militari. Questa strategia del “guidare da dietro” è ancora più evidente in Siria. Obama ha più volte ribadito la sua totale cautela su quel fronte, per il pericolo che le armi fornite ai ribelli possano cadere nella mani sbagliate, quelle dei gruppi terroristici legati ad al-Qaeda.
Oggi è sicuramente troppo tardi per intervenire militarmente e troppo presto per immaginare una soluzione diplomatica rapida.

Le formazioni dei ribelli sono estremamente divise al proprio interno, non dispongono di una rappresentanza politica e militare unitaria. Assad punta a mantenere il controllo dell’area a maggioranza alawita del Paese, presidiando la capitale Damasco e le aree sulla costa. Gli interessi strategici sono tanti e tali che difficilmente si potrà decidere per un intervento internazionale. Non resta quindi che una de-escalation del conflitto verso il binario diplomatico, quello che le parti in causa proveranno a percorrere a Ginevra ma che rischia di essere un binario morto.
Il tempo è scaduto, soprattutto per la drammatica emergenza umanitaria che ormai si propaga per tutta la regione.

I numeri di questa guerra sono davvero impressionanti: un milione e mezzo di rifugiati, più di quattro milioni di sfollati, quasi sette milioni di persone colpite in vario modo dal conflitto. A farne le spese, come sempre capita nei conflitti, soprattutto i bambini. Più di tre milioni stanno soffrendo le conseguenze e gli effetti della guerra siriana, che segnerà per sempre le loro vite.

L’Unicef  ha dispiegato in quell’area un impegno senza precedenti. Le dimensioni regionali dell’emergenza hanno imposto un intervento su più fronti e un’attività che spazia dall’assistenza per la fornitura di acqua potabile e cibo fino alla protezione dei bambini più vulnerabili e all’istruzione. I campi attrezzati per ospitare i profughi siriani in Giordania, Turchia, Libano e Iraq forniscono un’assistenza costante ai bambini e alle famiglie che fuggono dalla guerra. Ma il loro numero aumenta di giorno in giorno.

Le possibilità d’intervento in territorio siriano restano limitate dalle condizioni di sicurezza, dalle difficoltà di movimento e anche dalla mancanza di carburante. L’Unicef cerca in ogni modo di raggiungere le popolazioni più a rischio, anche attraverso il supporto a team medici di emergenza nelle aree dove i combattimenti sono più aspri.

I tempi della diplomazia sono necessari ma non più compatibili con la portata dell’emergenza umanitaria. Occorre quindi che la comunità internazionale nel suo complesso, inclusi quei paesi che dimostrano prudenza e perplessità sull’ipotesi di un allontanamento di Assad dalla Siria, si attivino per uno sforzo maggiore. Non è solo in gioco la vita di milioni di esseri umani e di più di tre milioni di bambini ma anche il pericolo che il conflitto si allarghi a macchia d’olio nei prossimi mesi in tutta la regione, trascinando con sé dinamiche e forze ben più distruttive.

Sullo sfondo, ci sono gli interessi delle grandi potenze. A cominciare dalla Russia, che vede nella caduta di Assad un pericolo per i propri interessi geopolitici in tutto il Medio Oriente. Mosca fornisce da sempre armi e energia alla Siria ed ha installato a Tartus, sulla costa siriana, la sua principale base navale nel Mediterraneo. Gli Stati Uniti hanno assunto una condotta di politica estera molto diversa dal passato. Già con l’intervento in Libia, Washington ha chiarito che non si impegnerà più in guerre su larga scala, che sono troppo costose in termini di bilancio pubblico e di vite umane.

Nei giorni più caldi del conflitto libico, l’America ha fornito supporto e armi ai ribelli della Cirenaica e appoggio logistico e strategico agli aerei francesi, olandesi, inglesi e italiani impegnati nelle operazioni militari. Questa strategia del “guidare da dietro” è ancora più evidente in Siria. Obama ha più volte ribadito la sua totale cautela su quel fronte, per il pericolo che le armi fornite ai ribelli possano cadere nella mani sbagliate, quelle dei gruppi terroristici legati ad al-Qaeda.
Oggi è sicuramente troppo tardi per intervenire militarmente e troppo presto per immaginare una soluzione diplomatica rapida.

Le formazioni dei ribelli sono estremamente divise al proprio interno, non dispongono di una rappresentanza politica e militare unitaria. Assad punta a mantenere il controllo dell’area a maggioranza alawita del Paese, presidiando la capitale Damasco e le aree sulla costa. Gli interessi strategici sono tanti e tali che difficilmente si potrà decidere per un intervento internazionale. Non resta quindi che una de-escalation del conflitto verso il binario diplomatico, quello che le parti in causa proveranno a percorrere a Ginevra ma che rischia di essere un binario morto.
Il tempo è scaduto, soprattutto per la drammatica emergenza umanitaria che ormai si propaga per tutta la regione.

I numeri di questa guerra sono davvero impressionanti: un milione e mezzo di rifugiati, più di quattro milioni di sfollati, quasi sette milioni di persone colpite in vario modo dal conflitto. A farne le spese, come sempre capita nei conflitti, soprattutto i bambini. Più di tre milioni stanno soffrendo le conseguenze e gli effetti della guerra siriana, che segnerà per sempre le loro vite.

L’Unicef  ha dispiegato in quell’area un impegno senza precedenti. Le dimensioni regionali dell’emergenza hanno imposto un intervento su più fronti e un’attività che spazia dall’assistenza per la fornitura di acqua potabile e cibo fino alla protezione dei bambini più vulnerabili e all’istruzione. I campi attrezzati per ospitare i profughi siriani in Giordania, Turchia, Libano e Iraq forniscono un’assistenza costante ai bambini e alle famiglie che fuggono dalla guerra. Ma il loro numero aumenta di giorno in giorno.

Le possibilità d’intervento in territorio siriano restano limitate dalle condizioni di sicurezza, dalle difficoltà di movimento e anche dalla mancanza di carburante. L’Unicef cerca in ogni modo di raggiungere le popolazioni più a rischio, anche attraverso il supporto a team medici di emergenza nelle aree dove i combattimenti sono più aspri.

I tempi della diplomazia sono necessari ma non più compatibili con la portata dell’emergenza umanitaria. Occorre quindi che la comunità internazionale nel suo complesso, inclusi quei paesi che dimostrano prudenza e perplessità sull’ipotesi di un allontanamento di Assad dalla Siria, si attivino per uno sforzo maggiore. Non è solo in gioco la vita di milioni di esseri umani e di più di tre milioni di bambini ma anche il pericolo che il conflitto si allarghi a macchia d’olio nei prossimi mesi in tutta la regione, trascinando con sé dinamiche e forze ben più distruttive.

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