Siria: la popolazione trasformata in profughi

centinaia di morti civili nelle periferie di Aleppo e Damasco

27 / 12 / 2013

Continuamente ci giungono dalla Siria brevi notizie di scontri, combattimenti, attentati, incursioni aeree che segnalano decine, centinaia di morti civili. Recentemente l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani ha concluso una inchiesta in cui si afferma che le persone uccise sono state almeno 125.835, più di un terzo delle quali sono civili. L’Agenzia Umanitaria dell’ONU (OCHA) dice che milioni di siriani sono in stato di bisogno, e che questa cifra arriverà a 9,3 milioni per la fine del prossimo anno.

Attualmente ci sono 2,4 milioni di profughi siriani che vivono in Libano, in Giordania, in Turchia, in Iraq e in Egitto. La cifra probabilmente raddoppierà alla fine del prossimo anno. Considerando la radicalizzazione politica e militare crescente tra le fazioni coinvolte nel conflitto, e i loro sostenitori regionali e internazionali, c’è poca speranza che il conflitto andrà scemando nel prossimo futuro.

Il resoconto di un conflitto tra un governo centrale e un’opposizione non è più appropriato, dal momento che l’opposizione stessa è frammentata in molti partiti, alcuni con programmi sociali legati all’islam salafita ed alqaedista. Anche il precedente discorso che ha accompagnato lo sviluppo iniziale del conflitto siriano, quello sulla libertà, delle democrazia, e simili, è di poca rilevanza, considerando il livello delle brutalità e i molteplici obiettivi dichiarati dalle varie forze combattenti. Per la popolazione civile siriana, però, è una situazione in cui tutti gli esiti sono tragici. I siriani coinvolti in questa guerra capiscono bene che una guerra civile prolungata significa che il paese è davanti al rischio concreto di un crollo completo, e che c’è in vista uno scenario simile a quello della Somalia o dell’Afghanistan. Poi pochi si preoccuperebbero di ricordare i motivi originari del perché la guerra è iniziata, in primo luogo, dato che generazioni di rifugiati siriani sarebbero destinati a vivere con lo stesso destino senza fine che sperimentano i profughi palestinesi.

C’è tuttavia un barlume di speranza. Lo storico patto firmato di recente tra l’Iran e altri sei paesi – Stati Uniti,  Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germani – potrebbe in realtà fare entrare almeno la possibilità di ricorrere al dialogo per risolvere la crisi in Siria. E’ vero, il patto era relativo al programma nucleare dell’Iran, ma dal momento che tutti questi paesi sono implicati nella guerra siriana, con molta influenza sulle parti in lotta, il loro consenso sarebbe utile affinché un futuro dialogo tra Damasco e l’opposizione dia dei risultati.

Il quesito che rimane aperto è: quanto un futuro accordo con l’attuale regime di Bashar al-Assad e l’opposizione accreditata potrà avere una qualche rilevanza su le altre forze islamiche salafite ed alqaediste che combattono per la costruzione di un califfato in Siria? Molto probabilmente l’intera area è destinata a rimanere destabilizzata per un lungo periodo, dove è molto influente quello che avverrà in Libano, Turchia, Iraq, insomma tutta l’area medio orientale.