Siria - Una corrispondenza dal sangue

Mediazione russa per evitare l'attacco USA mentre la morte è in agguato nel cielo, all'angolo della strada, alla finestra

9 / 9 / 2013

Gabriele Del Grande è un amico, sensibile ed attento, che dal suo blog ha raccontato le vite dei migranti e fatto riflettere su quanto avviene nel bacino del mar Mediterraneo, ora è in Siria e noi siamo felici ed orgogliosi di far rimbalzare i suoi scritti che ci parlano di come si vive e si muore nelle città e nei villaggi sconvolti e travolti dalla guerra.

Oggi, mentre Obama e Kerry, con l'assist di Putin, ingranavano la retromarcia offrendo a se stessi e ad el Assad una possibile soluzione senza che nessuno ci perda la faccia, è ritornato Domenico Quirico, sequestrato per 5 mesi dalle milizie ribelli siriane. Invece da circa una settimana è entrato in Siria Gabriele Del Grande, che non è una classica grande firma del giornalismo mainstream, ma lavora per la stampa estera. Qui vi proponiamo degli stralci in ordine cronologico, dal più recente all'anteriore anche se lì in Siria il tempo è sospeso solo tra la vita e la morte.

Le corrispondenze complete è possibile leggerle sulla sua pagina Facebook

... quando Nour, un ragazzo di quattordici anni, si è presentato a mezzanotte con in mano un vestito bianco da sposa, non ho capito bene cosa avesse in mente. Ho pensato a uno scherzo, quando però ha cominciato a tagliarlo a strisce con un coltellaccio da cucina, mi sono ricordato che quelle bende bianche ricamate le avevo già viste oggi strette sulla fronte dei ragazzi delle brigate del quartiere: è un segnale di riconoscimento. I medici dell'ospedale clandestino sono stati categorici: senza la striscia bianca non vi muovete da qui; così abbiamo stretto il nodo dietro la testa e ci siamo tuffati nel buio della notte per tornare a casa, dopo 12 ore bloccati in un appartamento sul fronte, sotto il fuoco incessante dell'artiglieria del regime e delle forze curde lealiste del Pkk. Attraversare una città nel buio più totale è una strana sensazione. In cielo ho subito riconosciuto il toro, poi le pleaidi, poi un esplosione pazzesca nella strada a fianco, un cancello da scavalcare, un altro, il fiato corto, un giardino, un altro botto, macchine che corrono a fari spenti, e una raffica di colpi. L'ennesima. Stavolta però erano colpi delle brigate dell'esercito libero, che dal nostro quartiere rispondevano al fuoco nemico...

... un bel piatto di penne al pomodoro ad Aleppo non ha eguali; soprattutto se in bocca hai ancora forte il sapore di anice... e nelle orecchie le chiacchiere con l'unico sparuto gruppo di partigiani di sinistra dell'esercito libero, anche se poi il loro pessimismo ti spiazza. "morirò nei prossimi mesi per dare un futuro migliore a mio figlio - mi ha detto Bassam in lacrime - ma mio figlio per vendicarmi si arruolerà con gli estremisti e tra qualche anno verrà a farsi esplodere in Italia contro i vostri figli.. e gli unici responsabili sarete voi che per due anni siete rimasti immobili di fronte al massacro del nostro popolo, voi che non avete sostenuto il fronte laico e liberale dell'opposizione, voi che avete lasciato che gli unici a prendere il sopravvento fossero gli islamisti radicali"...

... Hammada è un avvocato e dopo due anni di sangue non crede più alle favole. in piazza dalle prime manifestazioni, non ha mai preso le armi, e oggi è vice presidente di un consiglio di quartiere nelle zone liberate di Aleppo. ecco cosa pensa dell'intervento americano:
“Se gli americani bombardano, lo fanno per i loro obiettivi, non certo per il bene del popolo siriano. Il mondo ha abbandonato la Siria. Centomila morti e non si è mosso nessuno. Tutto il mondo complotta alle nostre spalle. Persino gli Stati del Golfo che dicono di appoggiare la rivoluzione, lo fanno perché hanno un loro progetto in Siria. Non ci aspettiamo niente dal mondo. Non sono neanche convinto che gli americani bombarderanno per davvero alla fine. Se la rivoluzione vincerà o no, dipende soltanto da noi. Se non riusciamo ad essere uniti, non vinceremo. Non si può pensare solo alla fine del regime se poi non abbiamo obiettivi dopo la liberazione. Invece siamo divisi: alcuni combattono, altri fanno il lavoro umanitario, e l'opposizione all'estero a fare le conferenze negli Sheraton. Non sono più credibili. Qui la gente muore ogni giorno sotto le bombe e loro negli alberghi a cinque stelle a spese del Qatar. Ma in Siria non ci mettono piede. La gente non si fida di loro, non ci rappresentano. Se prenderanno il potere sarà solo con la forza. Magari con le bombe americane o con i soldi dei Paesi del Golfo”...

... Da tre giorni, il quartiere di Ashrafiya è teatro di pesanti scontri tra le brigate dell'opposizione e l'esercito del regime. Per uscire c'è una sola strada e passa sotto il tiro dei cecchini del Pkk, gli indipendentisti curdi che ad Aleppo stanno con il regime. Stamattina decidiamo finalmente di provarci. Sarà che dopo tre giorni impari a correre forte mentre attraversi le strade, per non dare il tempo ai cecchini di prendere bene la mira. O sarà che dopo tre giorni ti abitui al sibilo delle pallottole sopra la testa. E a un certo punto non ci pensi più. Sul rimorchio del camion saliamo con altri sei passeggeri, tutti civili, abitanti del quartiere, che ogni giorno fanno questo tragitto anche solo per andare a fare la spesa. Nonostante la ruggine e il grasso, ci sdraiamo nel cassone, appiattendoci sulla schiena il più possibile, perché le sponde di ferro ci proteggano. E così, con gli occhi immersi nella luce bianca del cielo di mezzogiorno, partiamo a tutta velocità sulle buche della strada sterrata ...

... Mahmud guarda la guerra dalla finestra. È un bambino di Bani Zeyd. Stanotte si è fermato qui ad Ashrafiya a dormire. Sotto il balcone, sfilano i corpi insanguinati dei feriti e dei morti. Li portano a braccio i loro compagni di armi verso l'ospedale clandestino nell'appartamento di sotto. Poco più in là, un gruppo di ragazzini siedono in cerchio intorno a un barile di benzina e una tanica d'olio per motori. Ognuno ha in mano una bottiglia di vetro e la riempie con dei pezzettini di polistirolo. Poi un ufficiale disertore dell'aeronautica ci versa sopra olio e benzina e prepara la miccia. Sono l'ultimo rimedio contro i cecchini di Aleppo. I ragazzi più coraggiosi li portano fino ai vicoli adiacenti i palazzi dei cecchini e poi li lanciano dalle finestre. Il coktail bruciando produce una coltre di fumo nero. Ed è come un muro, al di là del quale i cecchini non possono vedere, e dietro al quale gli uomini dell'esercito libero possono aprire il fuoco delle mitragliatrici e provare a ammazzarli. Mamhud guarda la guerra dalla finestra. E io guardo Mahmud e mi domando quando sia finita la sua infanzia ...

... La notte di Aleppo ha il rumore di un capodanno a Napoli. Ma sono bombe e non fuochi d'artificio. Sono tornato in Siria. Di nuovo. Stavolta però senza militari: né del regime, né dell'opposizione. Sono ospite di un coordinamento di attivisti. Tutti civili. Arabi e curdi, musulmani e cristiani. Gli stessi che tre anni fa organizzarono le prime manifestazioni ad Aleppo contro la dittatura. Allora le piazze erano piene di manifestanti, oggi sono cumuli di macerie. Ma loro sono ancora qua. In un quartiere dove la vita va avanti, con un misto di fatalismo e ironia, come se le bombe non esplodessero nella strada a fianco. Della guerra di Obama non si parla granché in giro, se non dei suoi effetti collaterali. La gente sa che gli Usa non vogliono abbattere il regime, perché Israele teme gli islamisti dell'opposizione più di Assad. ..

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