Venerdì (8 feb) abbiamo attaccato ancora le barriere della polizia.
Dico “noi”, ma non ero lì. “Noi” è ciò che io chiamo i miei compagni, la mia crew. E dico “noi”
anche perché
condividiamo tutti la responsabilità di tutto, come deve essere. Venerdì ero ad una assemblea sulle
mobilitazioni Europee per i common days
of action di Marzo, a pensarvi e a pensare alle possibili convergenze.
Stavo pensando a come parlare del contesto Europeo con un clima simile, mentre
i miei compagni erano contro le barriere che la polizia aveva eretto intorno al
parlamento.
In quell'occasione non c'ero a causa di quella riunione, ma anche perché mal sopportavo tutti quegli
intellettuali, quegli appartenenti in generale al “mondo della cultura”, che non fanno altro che scaricarci,
tentare di relegarci ai margini e gridare a gran voce che dovremmo essere
lasciati fuori dalle proteste.
Loro vorrebbero restaurare la “nostra” Slovenia attraverso una rifondazione morale. Ma io dico che
quella loro Slovenia morale fu costruita sulla ruberia a milioni di persone
della ex-Yugoslovaia, la cancellazione di 25mila migranti e uno stato
legalitariamente etno-centrico. Io dico
che quella loro Slovenia se la possono inculare, non è il posto dove io vivo.
Intanto, almeno, siamo tutti d'accordo che questa élite
politica con le sue misure di austerity,
deve andarsene. È
questo il motivo per cui loro fanno performances
in strada e noi attacchiamo barriere e transenne.
Non credo di avere idee brillanti su come spingere oltre il nostro movimento in una qualche particolare direzione, non sono nemmeno particolarmente bravo ad articolare in modo netto e critico la nostra strategia politica. In ogni caso la mia politicizzazione è solo agli inizi: di me intanto però posso dire che so riconoscere una buona idea politica da una cattiva.
È
chiaro che ce ne sono alcune di ovvie: il progetto culturale che sta tentando
di centralizzare la protesta è una di quelle cattive. Non solo spinge ai margini noi e
altri che agiscono in modo più diretto e radicale, ma anche puzza di nuovo partito
politico. Replica esattamente quelle relazioni di potere che stiamo combattendo
a livello statale, ma si ritrova senza nemmeno l'intelligenza di Syriza: sta
attivamente eradicando parte della sua base. Non sto dicendo che avremmo
bisogno qui di un'esperienza simile a Syriza, ma almeno loro comprendono che
nei processi è
necessario includere anche i movimenti; un partito semplicemente non è sufficiente e finirebbe per darci in
pasto ai leoni.
Quello che voglio dire è che
le nostre azioni sono politicamente brillanti, secondo me (è l'opinione di uno che ancora non si è lanciato contro le barriere della
polizia). Ma abbiamo completamente sbagliato nel non spiegarle pubblicamente!
Non un testo è uscito
per spiegare perché
facciamo ciò che
facciamo. E quindi veniamo visti da altri che protestano ma sono meno radicali
come ragazzi arrabbiati (e lo siamo) in cerca di emozioni il venerdi sera (cosa
che non è).
Persino fra noi ci chiediamo perché ci lanciamo contro le barriere, ma non ne discutiamo.
Allora vorrei dare il mio piccolo contributo su questo. Vorrei dire perché secondo me lo facciamo, sperando, come
spero, che qualcuno che c'era lo scriva.
Simbolicamente non servono molte spiegazioni per comprendere il senso delle
barriere, e non è
inutile sottolineare che molte delle barriere intorno al parlamenteo sono ora
fisse. Potete anche leggere l'eccellente piccolo pezzo “il
contesto delle barriere” sul blog “porte aperte” (http://www.rokpregelj.com/).
Personalmente, le trovo un
insulto. La sola cosa che hanno da dirmi è che lo stato non è interessato alla nostra
opinione. Mentre almeno 100mila persone si sono mobilitate in tutto il paese in
tre mesi, la classe politica protegge le porte e va avanti con il suo
programma.. Per essere sicuri di non essere interrotti, mettono delle barriere
e ci piazziano delle guardie titolate a bastonarci se abbiamo qualcosa da
obiettare.
Allora è ovvio, no? Le barriere sono una struttura palesemente
antidemocratica, letteralmente e simbolicamente, che dice “questo non è il vostro
parlamento. Appartiene alla élite politica e ai suoi sponsors, quindi cortesemente andate a farvi
fottere”.
In sostanza, le barriere devono sparire, devono sparire insieme a tutta l'élite politica, le dannate banche e le misure di austerity.
Quando ci arrampichiamo
sulle barriere, gli diamo fuoco, le prendiamo a calci, penso che stiamo dicendo
“no, andate voi a farvi fottere”. Questi sono le nostre
strade, i nostri palazzi, il nostro futuro, e quindi noi decidiamo quando ci
deve essere una barriera (sostanzialmente mai!). I nostri attacchi contro le
barriere sono un rifiuto della disciplina simbolica, e non solo, a cui i
profittatori vorrebbero sottoporci. Quelle barriere sono la manifestazione
fisica di tutte le barriere che l'austerity ci impone (basta pensare alle tasse
scolastiche, alle tasse, al costo della sanità, delle assicurazioni,
degli affitti).
Queste barriere devono essere abbattute perché ci impediscono l'accesso a
ciò di cui necessitiamo per vivere. Esattamente come devono essere
abbattute queste barriere che stanno privatizzando e controllando il nostro
spazio di incontro e democrazia (non che io consideri il parlamento come chissà che spazio di
democrazia, ma le piazze pubbliche e gli spazi spazi comuni lo sono).
E poi queste pratiche sono
liberatorie. Ci permettono di chiarire che tutto intorno a noi stanno crescendo
barriere, e che esse sono inevitabilmente prodromiche per l'indebitamento e
l'austerità.
Inoltre le nostre azioni dichiarano che lotteremo per abbattere queste
barriere, combatteremo per costruire un'alternativa comune. Magari nelle piazze
lo facciamo con i nostri corpi e un po' di fuochi d'artificio, ma nella vita
quotidiana lo facciamo tessendo un discorso pubblico e con pratiche di
sovversione.
Anche di quelli che ci chiamano provocatori violenti vorrei parlare, per dire non siamo rappresentati dalle loro forme di protesta, e quindi resistiamo al tentativo di centralizzare e controllare le dimostrazioni facendo le nostre proprie azioni. Vogliamo mantenere la nostra autonomia nel determinare quali sono le azioni migliori per noi.