Stati Uniti - Per Trayvon Martin, un lamento che diviene grido di battaglia.

Un ondata di sdegno e di manifestazioni attraversano le città degli Stati Uniti e mentre i media sperano in scontri razziali la vicenda legata al caso Trayvon Martin sta diventando una nuova battaglia per i diritti civili

17 / 7 / 2013

Le manifestazioni di protesta dopo l'assoluzione di George Zimmerman per l’omicidio dell’ adolescente Trayvon Martin continuato in tutto il paese, siamo alla terza notte consecutiva. Mentre i media, sembrano sperare ogni volta in scontri razziali, le manifestazioni sono molto determinate e consapevoli nella richiesta di giustizia e nel rivendicare una nuova battaglia sui diritti civili.

I manifestanti hanno invaso Times Square a New York, hanno bloccato una autostrada e altre strade a Los Angeles e hanno dato fuoco ad una bandiera a Oakland, sono scesi in piazza in città grandi e piccole durante le proteste di questa settimana. I media riportano che le proteste in tutto il paese sono state "in gran parte pacifiche": manifestare a Times Square non è un crimine e neanche i blocchi stradali; bruciare la bandiera è una forma di protesta protetta dal Primo Emendamento.

Queste sono azioni di disobbedienza civile che mirano ad interrompere il flusso normale della vita di ogni giorno, a dare visibilità e che pongono il problema, per primo ai media che le raccontano, di quale e da che parte sia la vera violenza.
C’è sicuramente rabbia, ma ascoltando molti di coloro che hanno partecipato alle manifestazioni viene espresso dolore e sfiducia per un sistema giudiziario che risulta differente per coloro che non sono bianchi.

"I recenti avvenimenti su caso Trayvon Martin mi hanno davvero indignato, ma non sono sorpreso, il che è ancora più inaccettabile" afferma un manifestante che chiarisce che molte persone negli Stati Uniti sono abituate ad essere giudicate o criminalizzate a causa del colore della loro pelle o per la loro provenienza.
"E' doloroso, ma non è niente di nuovo, sai. E' una stanca e vecchia storia " dice un’ altra.


"Non siamo qui solo per Trayvon", ha detto Saundra McFadden-Weaver, un reverendo del African Methodist Episcopal Church ed ex consigliere comunale della città di Kansas City. "Siamo qui per l'uguaglianza e l’equità. Siamo qui per la giustizia. Siamo qui per la libertà, e siamo qui per la pace. E dobbiamo cominciare a rivendicarle subito ".

A Chicago tra i tanti che hanno marciato in risposta al verdetto c’era Airicka Gordon Taylor, il cugino di Emmett Till, il cui assassinio nel Mississippi nel 1955 ha acceso la scintilla del movimento dei diritti civili. Taylor ha descritto la sentenza come il segno che "abbiamo bisogno di un nuovo movimento per i diritti civili, credo che questo sia il caso in cui la rabbia nera in America ci spinga a fare ciò che è necessario per ottenere quei diritti che ci stanno portando via, proprio come quando è stato ucciso Emmett Till, da quel giorno partì un movimento, solo così abbiamo ottenuto dei diritti ".

Per questo sabato in centina di città degli Stati Uniti sono state organizzate veglie e proteste di fronte a edifici federali in particolare davanti agli uffici del Dipartimento di Giustizia da organizzazioni religiose e di difesa dei diritti civili "Siamo alla ricerca di giustizia" dicono i responsabili del National Action Network perché il verdetto di non colpevolezza "potrebbe potenzialmente aprire una nuova stagione di caccia contro gli afro-americani in America ".

Arnold Reed, della Black Student Union ha descritto molto bene la qualità di emozioni vissute dai manifestaniti."Dalla rabbia, alla tristezza, alla furia cieca, c'è tutta una gamma di emozioni", ha detto. “La gente vuole assicurarsi che eventi come questo non si ripetano".

Le proteste stanno attraversando tutto il paese in onore di Martin Trayvon hanno mutato un evento devastante in un grido di battaglia.

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