L'operazione Terra Bruciata, che l'esercito dello Yemen ha lanciato due mesi fa nel governatorato di Saada, nello Yemen settentrionale, non conosce soste. ''Fino a questo momento sono 100 i miliziani ribelli eliminati e 280 quelli feriti'', ha fatto sapere il comando delle forze speciali in un comunicato diffuso ieri. Sono così almeno 500 le vittime del conflitto iniziato nel 2004.
''I
terroristi e altri soggetti pericolosi sono penetrati la notte tra il 9
e il 10 ottobre nell'area tra le caserme militari e le postazioni di
sicurezza nella provincia di Saada. La risposta dell'esercito è stata
pronta'', comunica il comando delle truppe d'elite del governo dello
Yemen, fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh, che le gestisce come
una sorta di milizia personale, addestrata da esperti degli Stati
Uniti. L'amministrazione di Washington ha un occhio di riguardo per
Saleh, visto come un baluardo contro la diffusione dell'integralismo
islamico nella regione che è strategicamente molto importante e ha dato
i natali a Osama bin Laden.
In particolare gli Usa hanno cominciato
a sostenere, con fondi e logistica militare, il governo dello Yemen
dopo l'attacco contro la Uss Cole, il 12 ottobre 2000, quando un
motoscafo si lanciò a tutta velocità contro l'imbarcazione della marina
militare Usa ancorata nel porto di Aden uccidendo 17 marinai
statunitensi.
La questione dello Yemen settentrionale è legata alla
setta dei seguaci dell'imam sciita al-Houti. Questo gruppo denuncia di
essere discriminato nel Paese e, circa cinque anni fa, ha dato vita a
una rivolta che secondo l'intelligence yemenita sarebbe sostenuta
dall'Iran.
Ieri la magistratura dello Yemen ha chiuso un ospedale nella
capitale Sa'ana, finanziato da un'organizzazione non governativa
iraniana e che era attivo da due anni in città. A riferirlo il network
satellitare arabo al-Arabiya secondo cui, alla fine di un'inchiesta,
sarebbe emerso che la struttura ospedaliera finanziava la guerriglia di
al-Houti. Secondo fonti vicine ai magistrati che hanno seguito
l'inchiesta, gli investigatori sarebbero venuti in possesso durante le
perquisizioni di documenti inequivocabili che dimostrerebbero il
transito di fondi dall'Iran all'ospedale e dall'ospedale ai ribelli.
Non è la prima volta che il governo dello Yemen sostiene di avere prove
della filiera di finanziamento dei seguaci di al-Houti, ma non ha mai
reso pubblici questi documenti.
In soccorso del governo si è mosso
anche l'imam sheikh Abdul Majid al-Zandani, leader dell'università
religiosa della capitale yemenita. In un infuocato sermone ha attaccato
Teheran, ritenendolo la causa dei mali del Paese. ''Vogliono esportare
l'ideologia sciita con le armi'', ha tuonato al-Zandani, chiamando a
raccolta gli altri stati sunniti per porre fine a queste ingerenze.
L'Arabia Saudita, che secondo alcune fonti arabe ha fornito i suoi
caccia bombardieri per colpire dall'alto i ribelli, ha smentito
qualsiasi coinvolgimento nel conflitto, ma Riad e l'Egitto hanno
sottolineato di sostenere Saleh.
Al punto che l'Arabia Saudita non
ha neanche protestato per un incidente che, in altri casi, avrebbe
creato una crisi diplomatica. Un caccia yemenita, impegnato in un
inseguimento a un presunto gruppo di ribelli, ha sconfinato in
territorio saudita e ha colpito, per errore, un ospedale ferendo
leggermente due paramedici.
Il presidente yemenita ha deciso di schiacciare una volta per tutte
la resistenza sciita, soprattutto adesso che è messo sotto pressione
anche sul 'fronte meridionale', quello dei secessionisti del sud. Saleh
è stato l'uomo forte, sul quale hanno puntato Usa e Arabia Saudita, per
riportare lo Yemen all'unità e alla collaborazione con l'Occidente dopo
la secessione degli anni Settanta ispirata ai principi del marxismo.
Oggi le istanze secessioniste non sono più legate a motivi ideologici,
ma a pragmatici motivi economici. I leader locali vogliono più
autonomia dal governo centrale, soprattutto nel controllo del business
del turismo.
Il 30 settembre Tareq al-Fadili, leader dei gruppi che
chiedono la secessione dello Yemen meridionale o la concessione di una
grande autonomia hanno organizzato una manifestazione nazionale, finita
con la polizia che ha aperto il fuoco sui dimostranti uccidendone due e
ferendone altri quaranta. La situazione si sta deteriorando, ma quella
a nord è già drammatica: le agenzie dell'Onu parlano di 150mila
profughi interni.
In un sito web ritenuto vicino ai ribelli, questa
mattina, è stato postato un comunicato nel quale i dirigenti dei
miliziani si dicono favorevoli all'apertura di un corridoio umanitario,
sotto l'egida dell'Onu, in risposta all'appello lanciato nei giorni
scorsi da John Holmes, il capo degli interventi umanitari delle Nazioni
Unite. Manca il si del governo di Sa'ana, ma in passato tante tregue
sono state rotte dopo poche ore.