Il governo cinese può mettere agli
atti come un grande successo il ventennale del massacro della piazza
Tiananmen. L’anniversario, forse il più sensibile dell’anno, è passato
senza colpo ferire. Solo Hong Kong, anomala parte del
territorio cinese, ha voluto, e potuto, commemorare le vittime della
repressione di 20 anni fa. La sera del 4 giugno si è tenuta una veglia
al lume di candela alla quale hanno partecipato 150 mila persone, una
delle più imponenti che si ricordano per l’occasione. L’appuntamento
era al Victoria Park per ricordare, ascoltando uno dei leader degli
studenti dell’89, Xiong Yan, al quale le autorità hanno consentito
l’ingresso nel Territorio. Le richieste di altri veterani sono state
invece respinte.
A Pechino, la
polizia ha sigillato piazza Tiananmen, impedendo ai media
internazionali di avvicinarsi. A livello diplomatico, Pechino ha
respinto l’invito rivolto dagli Stati uniti di aprire un’inchiesta sul
massacro. Lo stesso segretario di Stato Hillary Clinton aveva chiesto
al governo cinese di rendere pubblico il numero effettivo delle vittime
della repressione, il cui numero resta ignoto.
Venti anni fa,
nella notte tra il 3 e il 4 di giugno, i carri armati dell’Esercito di
liberazione del popolo cominciarono a marciare verso il cuore di
Pechino che da settimane era stato occupato da studenti e lavoratori.
L’ordine era di riprendere a tutti i costi piazza Tiananmen e così fu.
All’alba la piazza era svuotata ma lo scontro continuò, cruento, nelle
strade adiacenti e nel resto della città. Milioni di abitanti di
Pechino si erano posti a difesa dei manifestanti, da quando il 20
maggio il governo aveva proclamato la legge marziale, e continuarono a
combattere per giorni, anche in alter grandi città cinesi, come
Shanghai, quando videro i militari sparare sulla folla. All’inizio il
governo cinese parlò di 200 morti, «equamente» divisi fra militari e
civili. Ma i parenti delle vittime parlano di oltre mille morti civili.
Anche la repressione fu feroce, e ancora vi sono nelle carceri cinesi
prigionieri accusati di quei fatti.
A distanza di vent’anni, parlare
di Tiananmen è tabù in Cina. Il partito/stato mantiene ferma la sua
condanna su quel movimento, accusato di essere «contro rivoluzionario»
e di voler sovvertire lo stato comunista. I manifestanti chiedevano
invece al governo un dialogo sulle riforme necessarie a realizzare la
democrazia e la libertà che dopo dieci anni di «politica di apertura»
ancora non si profilavano all’orizzonte, mentre gli errori di quella
politica avevano pesantemente penalizzato la maggioranza dei cinesi. Il
partito/stato si era diviso sul dialogo con gli studenti e l’ala dura
aveva prevalso, emarginando prima e defenestrando poi il segretario del
Pcc Zhao Ziyang, contrario alla repressione.
La questione delle
riforme resta aperta ancora oggi. La Cina è diventata una potenza in
ascesa sulla scena internazionale, la sua economia è stata solo
rallentata dalla crisi globale. Il ministro del Tesoro Usa Timothy
Geithner era il 2 giugno a Pechino per la sua prima visita ufficiale in
Cina e ha assicurato i grandi creditori cinesi che i loro soldi
investiti in dollari americani sono sicuri. E’ stata annunciata la
ripresa del dialogo strategico Cina-Usa. Una bella vittoria, a due
giorni dal sensibile anniversario. E allora perché il governo cinesi ha
paura non solo di riaprire quel dossier ma persini che i cinesi ne
parlino o cerchino di informarsi?
Intorno ai fatti della protesta
Tiananmen venti anni dopo
L’anniversario che Pechino vuole cancellare
15 / 6 / 2009
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