Tunisia - Calma surreale

12 / 9 / 2011

Tunisi, 11 settembre 2011, Nena News – Dopo il discorso di fuoco del primo ministro martedi 7 settembre e la tensione che ne é seguita, il paese sembra essere sprofondato in una calma surreale.

L’Av. Bourghiba pullulava di gente ai caffé e le strade del centro, “ripulite” dall’orda delle bancarelle abusive, aveva un aspetto piu’ ordinato. La questione degli abusivi che erano spuntati in tutti gli angoli delle strade era stato materia di dibattito acceso e di nervosismo crescente tra gli abitanti ed i frequentatori del centro citta’.

Giro per i quartieri, cerco i commenti della gente, leggo i giornali, ma nulla sembra riportare la tensione del giorno precedente. Il paesaggio cittadino si caratterizza per la presenza numerosa di libici che circolano dappertutto con i nuovi colori, rosso verde nero, simbolo della bandiera della nuova Libia.

Il giornale in francese “La presse” tiene un bassissimo profilo e dopo essere rimasta in discreto silenzio sulle questioni cruciali riportate dal discorso del primo ministro l’ 8 settembre, il giorno dopo esce con una serie di articoli compiacenti fino all’inverosimile. Un editoriale dipinge a tratti romanzati la pertinenza dell’intervento del primo ministro che con grande senso del ruolo storico che la nazione gli ha attribuito ha saputo richiamare all’ordine i fautori del caos totale. Non mi ricordavo piu’ di aver sentito questo tono dai tempi del deposto dittatore!

“La presse” é sempre stato un giornale conservatore e conformista, ma gli accenti di retorica sono troppo simili a quelli di un tempo ed ho un attimo di ribrezzo.

Ci sono dei titoli nuovi che si sono aggiunti all’asfittico panorama giornalistico negli ultimi mesi, ma a parte una maggiore indipendenza, c’é da constatare che non vi é una grande brillantezza né nell’approfondimento della notizia né nella complessita’ dell’analisi.

E cosi’ facciamo fatica a capire quello che sta succedendo. Ci rendiamo conto che é ancora un’impresa ardua riuscire ad informarsi in questo Paese e che i silenzi, come ai vecchi tempi, vanno interpretati anch’essi, come un tipo di informazione in negativo.

Quello che c’é di nuovo nella Tunisia post-rivoluzionaria sono il pullulare di pagine facebook e blog che fanno circolare almeno gli umori della gente o, per meglio dire, di essi la parte piu’ giovane e dinamica. Ma anche i social network sono da prendere con le molle, visto che sono ormai oggetto di critica ed a volte di sospetto, accusati di superficialita’ se non di complicita’ con i “facitori di disordine”. Nella serata del 7, ad esempio, dopo l’intervento televisivo del Sebbsi e lo strascico di polemiche che ne é seguito, alcune pagine fb continuavano ad annunciare una manifestazione di arrabbiati che si dirigeva verso la Casbah. Ed incitava la gente a scendere per strada. Ma in strada non c’era nessuno.

L’attualita’ di queste due giornate successive all’intervento del primo ministro, riguardano la chiusura ufficiale della presentazione delle liste dei candidati alle elezioni. Circa 1700 liste sono state presentate, di cui un buon 40 per cento di “indipendenti”. Gli analisti si affrettano a commentare questo dato in particolare e c’é chi ci vede una vivacita’ dell’espressione politica dei cittadini che assomiglia ad una bocciatura premeditata dei partiti politici e chi invece ci legge piu’ cinicamente un prevalere delle logiche di astuzia in cui, a livello locale, viene premiato piu’ la persona di consenso ed influente localmente, che non l’appartenenza ideologica. E questo é sicuramente un’aspetto della realta’ sociale del paese. Lo sanno tutti. Una delle ragioni principali contro un sistema eletterale maggioritario a scutinio uninominale era proprio il timore della “baronizzazione” della politica territoriale.

Fra i vari titoli dei tg e dei giornali scorre anche la notizia della riunione dell’Alto Ente per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione che discute della situazione della sicurezza nel paese “…con particolare riferimento all’intervento del primo ministro”.

Riesco infine a capire che la protesta delle forze dell’ordine é continuata ieri ed oggi davanti al Ministero degli Interni ma, pare, una trattativa si sia aperta tra i sindacati “ribelli” ed il governo. Per quanto riguarda la posizione dei partiti, lo scenario che prevale é quello del mantenimento del basso profilo. Rached Ghannouchi (leader del partito islamista Nahdha), sollecitato da Radio Mosaique, preferisce non commentare. Degli altri partiti si parla poco, le sole posizioni ad emergere in maniera chiara sono quelle del Poct (il partito Comunista) e del CPR di Marzouki che condannano fermamente sia il divieto delle organizzazione sindacali che l’uso coercitivo dello Stato di emergenza, annunciati entrambi nell’intervento del premier.

Ma sono deciso ad andare a fondo della questione e, insoddisfatto delle fonti di informazioni ufficiali, incomincio a chiamare al telefono alcuni amici che, almeno, mi daranno la loro versione dei fatti.

Incontro nel primo pomeriggio Lamjed Jemli ad un caffé dell’Av Carthage, una perpendicolare della centralissima Av. Bourghiba. Sono fortunato. Era appena sceso dalla sede dell’UGTT (il piu’ grande sindacato) dove lavora da quando ha fondato, insieme ad alcuni pionieri, il primo sindacato tunisino degli operatori di call center dopo una memorabile trattativa con il padronato di “Teleperformance”, una delle più grosse società presenti nel paese.

Lamjed é un ragazzo di 35 anni, ex studente di Filosofia e ex membro della sindacale studentesca (UGET), una delle rare palestre di militanza durante gli anni bui della dittatura di Ben Ali. Negli anni della repressione, quegli anni di piombo (gli anni ‘90) in cui con l’alibi della crescente influenza islamista fu ammutolita tutta la societa’, finirono dentro le patrie galere anche molti ragazzi universitari di sinistra. Lamjed é uno di essi ed ha scontato due anni di galera per questo suo peccato originale.

Il mio amico non ama Caied Sebbsi ma é ammirato dalla sua scaltrezza politica e secondo lui la chiave di lettura principale della sfida aperta del primo ministro ad “una parte delle forze dell’ordine” é la crescente frustrazione dell’ apparato di sicurezza che si sente minacciato da un sistema di potere che potrebbe un giorno chiedergli i conti. Il ruolo dell’esercito, inoltre, sostiene Lamjed,  é quanto meno equivoco. Chi sarà chiamato a far rispettare lo Stato di emergenza se non l’esercito? E chi ha preso il controllo del territorio dall’inizio degli avvenimenti se non l’esercito? E come non far caso ai nuovi elicotteri Apache ed aerei F16  “regalati” dagli Stati Uniti e, pare, finanziati dai soldi del Qatar?

A questo elemento va aggiunto la ricomposizione di un blocco sociale composto dai “capitalisti”, l’alta borghesia pseudo-imprenditoriale che ha sempre fatto  patti di interesse con il potere, e che oggi cerca una nuova sponda. In questi giorni circola molto la voce sui presunti interessi economici del primo ministro nella vendita di alcool, prima ad appannaggio quasi monopolistico dei famigerati Trabelsi (la famiglia della moglie del presidente).

Questi poliziotti che stanno facendo il braccio di ferro con il governo, non sarebbero altro che i piccoli pesci, quelli che cioè svolgono mansioni di basso livello nelle comunità locali e che si sentono spaventati dall’ipotesi di dover fare i conti con la giustizia, mentre i loro capi dei quadri alti del Ministero restano protetti.

Perché allora il Premier non ha dato luogo a quella “pulizia” del Ministero degli Interni che il “popolo” ha sempre chiesto ad alta voce?

Secondo Lamjed il potere del Sebssi non ha operato una svolta decisiva nel sistema di potere e si é adattato alle componenti dentro l’apparato dello stato che non sono direttamente identificabili  con personalita’ del giro ristretto dell’ex dittatore.

Mi sembra questo un nodo cruciale di lettura della fase attuale post rivoluzionaria che sta vivendo il paese, e provo ad approfondire la questione col mio interlocutore.

Quale era il sistema di potere della dittatura? Esisteva una polizia politica? Esistevano dei corpi speciali di controllo della gente?

La risposta che é stata data più volta a questo interrogativo, ed il premier in carica se ne é fatto promotore pubblicamente è : no, non è stata trovata nessuna evidenza dell’esistenza di una polizia politica e, allo stato attuale delle indagine, niente lascia presagire neppure l’esistenza di un corpo speciale che sarebbe stato mandato ad eseguire le uccisioni mirate durante le rivolte popolari.

Per quanto sconcertante possa sembrare questa versione dei fatti, secondo Lamjed, è assolutamente plausibile. A patto che si aggiunga che tutto il sistema dell’RCD (il partito unico) si basava sul controllo politico della popolazione. È questa una questione cruciale, intorno a cui ruota la polemica tra chi vuole “la rivoluzione fino in fondo” e chi, come l’attuale classe di governo e di potere, ritiene che la dittatura fosse composta da una banda di usurpatori che aveva messo sotto scacco l’apparato dello stato. Ci sarebbe dunque una differenza da salvaguardare, secondo questo ragionamento, tra coloro che hanno ereditato il mitico partito desturiano di Bourghiba, e quelli, lascivi, che si sono fatti corrompere dall’ingranaggio mafioso-poliziesco del sistema Ben Ali.

Soddisfatto di questa prima chiave di lettura che mi viene sollecitata dal mio primo incontro, riattraverso al contrario l’Av Bourghiba, giusto in tempo per dare un’occhiata al dispiegamento di sicurezza lungo i larghi marciapiedi centrali dell’arteria Haussmaniana della città coloniale. Se dunque si respira una apparente tranquillità, resta un alto stato di allerta e per capirlo esiste un trucco molto semplice che é più esplicativo di un comunicato del ministero degli Interni. 

La presenza degli autobus gialli (normalmente usati per il trasporto pubblico) zeppi di poliziotti che fanno compagnia all’incolonnamento dei furgoncini della sicurezza più comunemente usati per l’ordine pubblico. Il portavoce del Ministero degli Interni l’aveva dichiarato al tg serale: non creda qualcuno che lo sciopero della polizia significhi minor controllo del territorio.

In un’angolo, tra la sede vescovile di Tunisi e la redazione del giornale “La Presse”, mi aspetta in un’altro caffè Khaled Amami. Il mio secondo interlocutore privilegiato.

Khaled non é un amico di vecchia data come Lamjed, e non è neanche un militante studentesco degli anni ‘90. E’ un semplice impiegato alla posta di Tunisi. Ma se gli si chiede di darsi un titolo lui preferisce quello di “poeta vagabondo”, in riferimento al fatto che in gioventù, pressappoco alla fine degli anni ‘70, si mise in testa di attraversare il paese a piedi, dormendo per le strade. Poi quando arrivo’ alla frontiera con l’Algeria fu arrestato perché non aveva i documenti e, non trovandogli un capo di accusa, gli fu attribuito il reato di “vagabondaggio”. Tra le sue molteplici peculiarità è quella di essere considerato tra i fondatori del maoismo in Tunisia, nei tempi in cui agli intellettuali “cittadini”, come li definisce lui, gli veniva chiesto cortesemente di andarsi a formare dai contadini delle campagne di Sidi Bouzid.

Khaled oltre a lavorare alla posta crede molto nella costruzione di una società civile che secondo lui deve partire da una democrazia partecipativa su scala locale. Con questo spirito si é fatto promotore, tra l’altro, di un sito internet che veicola informazioni locali della regione di Sidi Bouzid, i cui corrispondenti sono semplici ragazzi volontari che si sono finanziati una piccola postazione con un computer ed un telefono.

Con Khaled riprendo il ragionamento lì dove lo avevo interrotto con Lamjed. Il sistema di potere dell’RCD.

“Accettiamo l’ipotesi che non esistesse la polizia politica ma ad una condizione, che aggiungiamo che tutti i quadri locali del partito, se non ogni iscritto, era un poliziotto in civile”. Seguendo il suo approccio Khaled mi invita a non guardare al vertice del sistema, ma alla periferia.”Lo stato incomincia dall’Omda (capo della comunità rurale) e si riflette su una scala appena più grande nella figura del delegato (presidente della delegazione che corrisponde alla nostra provincia). Sia l’Omda che il delegato dovevano essere del partito. L’unico criterio di scelta era la fedeltà al partito ed una certa perspicacia al controllo sociale. Mentre il delegato era una figura di potere, i suoi tentacoli nelle campagne si dispiegavano attraverso la rete degli omda che a loro volta si intrecciavano con un sistema di relazione sociale familistico-clanico”.

In questo ricostruire il sistema di potere dell’apparato del partito- stato arriva la questione cruciale. “Dove sono andati a finire tutti questi personaggi?”. Secondo Khaled non possiamo capire il discorso di Sebssi, ed il suo apparente scontro con l’apparato di sicurezza, senza entrare nel profondo della logica di un vecchio sistema che si sente minacciato. Questa struttura, che mantiene la forma di una semplice geometria amministrativa, si completa integrandosi all’apparato di sicurezza. I commissariati locali erano il braccio armato dei baronetti locali che garantivano il controllo sociale del sistema del partito-stato. Ma secondo Khaled questi personaggi locali sono l’anello debole del sistema ed oggi sono quelli più facilmente attaccabili, rappresenterebbero una specie di lumproletariat della polizia.

Questi semplici agenti di sicurezza oggi hanno paura di essere i soli a dovere rendere i conti alla “giustizia rivoluzionaria”. Essi costituirebbero perciò un blocco di potere, a livello locale, che si alimenta del vecchio sistema di relazioni, in cui  agiscono i vecchi potentati locali del partito unico. A dire il vero molti di quelli che non erano direttamente dei responsabili hanno già trovato una collocazione nelle liste dei “nuovi partiti”, ma i quadri locali, quelli che sono stati fatti fuori dal codice elettorale che ne impedisce la rielezione, sono in preda alla disperazione, e stanno facendo di tutto per destabilizzare il sistema.

Ecco che il ragionamento di Khaled si completa e ci spiega così i continui disordini nelle regioni interne del paese. Vecchi signorotti locali, che non hanno trovato il modo di riciclarsi nel nuovo sistema, e che non vogliono perdere i grossi privilegi di cui disponevano su scala locale. Gli agenti di sicurezza, assumendo un atteggiamento di resistenza passiva, ricattano il nuovo regime, mettendo in guardia sulla possibilità di una giustizia che li prenda di mira. E questi sarebbero le componenti che il primo ministro ha definito nel suo discorso “ribelli”.

Si é fatta sera. Mi alzo, pago il caffè e saluto calorosamente Khaled. Mi avvio verso casa con la convinzione che la società non é né con in Sebssi né con la polizia ma che tutti sentono quest’ansia di una fase di convulsioni. I partiti, dal canto loro, si saranno detti che conviene mantenere il basso profilo e puntare tutto sulle elezioni. Molte persone normali, dal conto loro, vogliono e chiedono un ripristino della legalità.Le cose, come al solito, sono più semplici di tante congetture.

Quasi tranquillizzato da queste nuove certezze ed in direzione di casa, vengo bruscamente interrotto nei pensieri da una chiamata. Qualcuno mi dice che Intilaka, quartiere alla periferia ovest di Tunisi, é prenda ad una banda di persone non identificate che si da ad atti di vandalismo. Altri scontri sono segnalati a Sfax, seconda città del Paese. Vado subito sul mio pc per verificare le notizie. La Tap, l’agenzia di stampa ufficiale, non riporta niente. Ne parlano alcune pagine fb, e per un po’ resto perplesso. Esiste una strategia di disinformazione?

Ma dopo un po’ al giornale della sera viene confermata la notizia anche se  data in breve e senza troppi dettagli. Incomincia il tam tam su facebook e subito incomincia a circolare un appello in cui sarebbe indetta una manifestazione per l’indomani alle 9 del mattino a partire da “piazza 14 gennaio”. Era solo calma apparente?

Tratto da Nena News 11 settembre