Tunisia - Il Governo non si dimetterà. Ennahda conferma l’indisponibilità ad accettare nuove elezioni.

Il Fronte di Salvezza Nazionale lancia una manifestazione contro il governo il 23 ottobre.

di Lda
Utente: vecio
15 / 10 / 2013

Il 17 dicembre 2013 si celebrerà il terzo anniversario dell’inizio della rivoluzione in Tunisia. Nonostante ciò i movimenti sociali, le associazioni e gli individui che compongono la società civile tunisina hanno continuato in questi anni a lottare per i diritti e per la libertà, consapevoli che il supposto “processo di transizione democratica” non è altro che la perpetuazione delle pratiche repressive e corrotte del passato regime, ma in versione islamica.

Le limitazioni alla libertà d’espressione, che si traducono nella pratica con gli arresti di attivisti, giornalisti e rapper, a cui si aggiungono gli omicidi politici e gli attentati compiuti da alcuni gruppi islamici radicali, dimostrano che la rivoluzione non ha raggiunto gli obiettivi che si era data e che le prime elezioni libere (ottobre 2011) non hanno determinato, come sperato da alcuni, la nascita della democrazia nel Paese.

Da tempo si cerca una via di uscita alla situazione di crisi che ha investito la Tunisia, attraverso un tavolo di dialogo tra governo e opposizioni (riunite nel Fronte di Salvezza Nazionale), con la mediazione del sindacato, della confindustria tunisina, dell’ordine degli avvocati e della Lega per la difesa dei diritti dell’Uomo.

Sostanzialmente la richiesta delle opposizioni è quella di istituire un governo tecnico che porti il Paese alle elezioni in tempi brevi. Il clima che si respira è tale che, secondo tale richiesta, ai membri dell’esecutivo di transizione dovrebbe essere impedito di partecipare alle prossime elezioni, come garanzia di trasparenza e di buona fede. Insomma c’è diffidenza, ed a ragione, dato che il governo in carica aveva come unici compiti quello di redigere la Costituzione e di portare il paese alle elezioni, nel tempo limite di un anno. Sono invece passati due anni e né la Costituzione, né la legge elettorale sono pronte. Inoltre in prospettava non si vede alcun cambiamento, dato che il governo ha da pochi giorni esplicitato la propria intenzione di non dimettersi, contradicendo se stesso a distanza di poche ore.

Infatti il governo a guida islamica sembrava aver accettato la bozza di accordo, piegandosi così alle pressioni esercitate sia dalle migliaia di persone che manifestavano quotidianamente nelle città della Tunisia, sia dai deputati dell’Assemblea Nazionale Costituente che ne avevano boicottato i lavori in segno di protesta.

Invece, sabato sera, il primo ministro Ali Laârayedh ha chiarito, in un lungo intervento televisivo, che il governo non ha alcuna intenzione di dimettersi “per non lasciare la Tunisia in un limbo”. A grandi linee il progetto di Ennahda è quello di terminare i lavori di redazione della Costituzione, per indire solo successivamente nuove elezioni. Salta in questo modo l’ipotesi di un governo tecnico di transizione, e di conseguenza la principale ipotesi sul tavolo del “dialogo nazionale”.

Al di là dell’evidente convenienza politica per i partiti del governo non di mettersi in gioco e di non voler fare la conta dei voti in un periodo decisamente sfavorevole, viste le contestazioni e la scarsissima fiducia popolare, è comunque un segnale inquietante che il governo non abbia nemmeno provato a nascondere la propria volontà di rimanere al potere, nonostante la criticità della situazione.

Per chi, nel mondo, crede nella forza delle lotte e dei movimenti sociali, per chi si spende quotidianamente per la costruzione di alternative al sistema attuale, per chi ritiene che, qualsiasi sia la forma assunta dal potere, ivi compresa la rappresentanza parlamentare, altro non si tratti che di un meccanismo di dominio imprescindibilmente legato alla corruzione, di certo l’atteggiamento di Ennahda non rappresenta una novità, né qualcosa di inaspettato.

Ma va sottolineato che, prima della caduta di Ben Ali, la fiducia nella democrazia e nelle elezioni libere ha dato forza e obiettivi tangibili ai giovani che sono insorti contro la dittatura. La repentina consapevolezza che questi elementi non sono la chiave della giustizia sociale, rischia ora di generare solo molta frustrazione.

Per ora il prossimo appuntamento nelle piazze sarà il 23 ottobre, anniversario della salita al potere di Ennahda, giornata in cui il Fronte di Salvezza Nazionale ha invitato il popolo tunisino a manifestare contro il governo.