Tunisia - Il miracolo è di latta, esplode la rabbia dei giovani

8 / 1 / 2011

Non è ancora una rivoluzione. Ma è già molto più che una rivolta: una crisi grave, di quelle che si producono quando la miseria par generata dalla ricchezza. Tre settimane di moti in piazza con fermento di aspirazioni facinorose, sazi e stanchi di illusioni e baratterie, soprattutto i ragazzi, i giovani, la generazione perduta dei laureati senza lavoro. Così numerosi da costituire una classe sociale (il 72 per cento dei disoccupati ha meno di trent’anni). Hanno da tre settimane il loro martire, Mohamed Bouazizi, 26 anni. La sua famiglia a Sidi Bouzid, un piccolo comune a 260 chilometri da Tunisi, aveva sputato sangue per rispettare la parola d’ordine che incita ad addottorarsi, che esige il pezzo di carta per uscire dal medioevo, essere moderni. Ce l’aveva fatta: adesso la vita doveva scivolare leggera in perenne discesa, ogni sogno era possibile e non più a lottare a petto a petto con la miseria. Perché la Tunisia è diversa. Linda, benestante, liberista, le ragazze in minigonna, le università strapiene, i pensionati francesi che si trasferiscono qui per chiedere al sole la magia di nascondere gli anni. E invece no, Mohamed, ti sbagli. Il pezzo di carta i genitori lo tenevano incorniciato in salotto e lo guardavano ormai con odio, come una maledizione; e lui, ogni mattina, andava a vendere, abusivo, senza licenza, frutta e legumi al mercato. Sbaragliato, tradito, come i suoi amici, come una generazione intera che non ha lavoro nonostante il miracolo economico e a cui le porte dell’immigrazione sono chiuse. E tutti si arrangiano: tassisti, imbianchini, stagnari quando va bene, altrimenti ci sono i piccoli traffici, e l’asfalto duro degli ambulanti. La polizia quel mattino del 17 dicembre lo ha fermato. Perché nella Tunisia di Ben Alì, il presidente eterno, il presidente del 99 per cento, l’amico di tutto il Gotha politico del mondo, incanutito da 24 anni dalla malizia del potere, tutto è tirato a lustro, non si ammettono sporcizia e infrazioni. Merce confiscata, denuncia: lui, Mohamed, è andato in comune per spiegare, per chiedere pietà contro quel piccolo inutile sopruso che gli toglieva la vita. Non l’hanno nemmeno accettata la sua denuncia. È uscito sulla piazza e si è dato fuoco. Così, semplicemente. Il giorno dopo centinaiadi giovani sono scesi in piazza in tutta la regione, ingagliarditi dal trovarsi in tanti, la polizia ha lavorato di manganello come sa fare benissimo in questa «democrazia» così assoluta e prepotente. Ecco: l’ingranaggio ormai in moto, repressione che alimenta la rivolta, e ancora un altro suicidio, Houcine, 22 anni, a Menzel Bouzaine davanti alla folla, gridando «non voglio più miseria e disoccupazione». E poi Bistra, Sfax, Kairouan, Meknessi, Regueb, Souk Jedid, Ben Gardane, Medenine, Siliana, Sousse. È la Tunisia dell’interno, quella dove l’onda del turismo e degli investitori stranieri che cercano gente di forte e sobria pazienza, che lavora sodo e viene pagata 250 dinari, 130 euro al mese, non è mai arrivata, il Paese lasciato indietro dalla marcia del progresso e la cui vita finora è trascorsa nella grande ubbidienza. Ma non solo: la rivolta con le prime vittime ormai straripa nella Tunisia degli alberghi, delle ville, dei campi da golf, la collera assorbe i genitori dei ragazzi, scavalca con Facebook i silenzi cementizi dell’informazione più censurata del Maghreb. A far più arida la loro rabbia e più torva la loro indignazione l’unica reazione del governo: un mini rimpasto. E un fervorino del presidente in televisione, sentenzioso posato e sprezzante. Era dunque di latta, già vizzo «il miracolo», come lo chiamava Chirac (ma quante perifrasi dulcamaresche si sono inventate per far finta di non vedere, per continuare ad andare in vacanza e fare buoni affari). Certo le cifre sono vere, e strabiliano: l’87 per cento della popolazione alfabetizzata, la copertura sanitaria quasi totale, il reddito di 6000 euro l’anno, il codice di famiglia egualitario, soprattutto gli islamisti ben guardati in galera. Grazie Ben Alì! Ma ancora una volta con il metodo statistico si può ammazzare la gente, ingannarla. Un’economia incatenata al turismo e al tessile non qualificato non bastano a dar lavoro alle nuove generazioni, a cui si è imposto come stamburato traguardo l’accesso all’insegnamento superiore. I laureati erano il 20 per cento dei disoccupati nel 2000; adesso sono quasi il 60 per cento. Il governo annuncia trionfante ottenendo un rapporto speciale con l’Unione europea che l’80 per cento della popolazione è classe media. Già. Ma la maggior parte degli occupati non riesce ad arrivare alla fine del mese, anche perché la sete di consumi è feroce. E allora si ricorre al «sistema D», ovvero al secondo lavoro, i commercianti che chiuso il negozio fanno i tassisti, i professori che dopo la scuola sono agenti di commercio. Alacri, con orari di galera, disposti a tutto per un figlio laureato. E disoccupato. Il miracolo era finto, come il colore dei capelli del presidente, che a 74 anni lavora di tinta e di brillantina e ha una capigliatura nera come l’antracite. Il vecchio capo, divinizzato, di colpo ha rivelato la sua vecchia carne impotente, ridicolo nell’ossessione di superare perfino la soglia infera con il potere in mano. Su di lui la generazione perduta vuole tirare, finalmente, un frego.

Tratto da:

Tunisia - Non si ferma la rivolta

Commento al silenzio