Turchia - Dalla guerra alla strada: i siriani invisibili di Istanbul

Carovana in Turchia, sulle rotte dell'Euromediterraneo

24 / 4 / 2014

Ci sono degli incontri che spiegano le odissee dei migranti forse più di ogni altro discorso.

A noi per capire quelle vissute dai siriani è bastato avere la guida giusta e iniziare a guardare non ad altezza uomo ma un po' più giù, non chi cammina in una perennemente affollata Istanbul ma chi è fermo e seduto a chiedere l'elemosina ai lati degli stradoni iper-turistici che circondano la Moschea Blu e Santa Sofia. Senza aver mai pensato prima della guerra di essere costretto a farlo.

Quarto giorno della nostra carovana. Grazie ad un contatto avuto da Ilaria, la giornalista che partecipa al nostro viaggio, riusciamo a conoscere Jasmine. Jasmine è una ragazza siriana che vive da 6 anni in Turchia e che sta cercando lavoro nel settore turistico.

Mentre scoppiava la guerra in Siria lei era in Turchia e seguiva da lontano le vicende della sua famiglia. Nella guerra sono morti alcuni suoi parenti – tra cui in cugino che, ci dice, è stato prima mutilato e poi bruciato vivo – e suo fratello, arrivato a Istanbul, dallo scoppio della guerra non riesce più a riprendersi psicologicamente.

Cosa poteva fare di concreto Jasmine per i suoi connazionali? Non voleva restare  inerme e ha quindi pensato di aiutare i profughi siriani arrivati a Istanbul, città crocevia di infinite migrazioni.

Da “autodidatta” ha quindi iniziato a incontrare la gente fuggita dalla Siria e in particolare i senzatetto e le persone che chiedono l'elemosina dando loro un aiuto concreto donando coperte e vestiti e fornendo informazioni utili per la ricerca di un alloggio e per ottenere assistenza medica. Ed è proprio da loro che siamo andati, cercandoli nella zona più turistica della città e provando a farci raccontare le loro storie.  

E la prima di queste storie è emblematica di quello che è accaduto in Siria. Andiamo alla moschea di Eminonu e vediamo per prime tre giovani donne con due bambine.

Vengono dal Kurdistan siriano e quando le incontriamo stanno chiedendo l'elemosina nella piazza di fronte la moschea e Jasmine in arabo chiede se possiamo fare loro delle domande. Ci mettiamo all'ingresso della moschea e ci facciamo raccontare la loro storia che in realtà inizia prima della guerra.

Quattro anni fa, infatti, erano andati a Istanbul in vacanza e lì avevano conosciuto per la prima volta la città. Da un anno e mezzo sono tornate a Istanbul e adesso non sono più turiste ma sono loro che ai turisti chiedono la carità per potersi pagare la casa.

Il fratello non può lavorare per problemi fisici e il padre è segregato tra le mura di Homs, città siriana da cui è partita la rivolta contro Assad e che adesso è tenuta sotto assedio. Non hanno i soldi per pagare l'affitto e il proprietario della casa le sta cacciando via.

Ci dicono che vorrebbero tornare in Siria ma sanno che adesso non possono. Dopo un po' una guardia ci vede e, insospettita e infastidita, ci fa segno di andare via.

Dopo questo primo incontro ci spostiamo nel parco adiacente la moschea dove troviamo un altro gruppo di ragazze e bambine (di cui due sotto i 6 anni) tutte originarie di Homs che chiedono l'elemosina vicino ad un parcheggio. Vivono in un hotel che, seppure economico, per loro è comunque troppo costoso e quindi con l'elemosina provano a pagarne i costi.

“In realtà tra i siriani gli homeless non sono la maggior parte e molti di loro arrivano a Istanbul con alcuni risparmi contando di poter andare avanti alloggiando in qualche luogo senza essere costretti a vivere per strada” ci dice Jasmine.

Ma poi, ci racconta, la speranza di trovare un lavoro e una rete di supporto tra connazionali quasi sempre si scontra con la realtà che è fatta di solitudine, emarginazione, frustrazione e sofferenza, la sofferenza di chi in realtà è un sopravvissuto della guerra e che ha negli occhi ancora la morte dei propri cari. “In questi casi ti senti atterrito, non riesci a fare niente.

E' come se la vita di molte di queste persone si fosse fermata. Ho visto molti miei connazionali qui a Istanbul scappare o restare terrorizzati per qualsiasi rumore, come quello dei fuochi d'artificio, che ricordasse loro le bombe.”.

In Turchia di sono più di un milione di profughi siriani che vivono in una sorta di limbo (duecento mila solo a Istanbul). Possono restare nel paese ma non per molto. Per loro il governo turco ha previsto la “protezione temporanea”  che, in quanto temporanea, prevede un termine che, però, al momento sembra piuttosto lontano vista la situazione in Siria (per maggiori informazioni vedi l'articolo http://www.globalproject.info/it/mondi/rifugiati-e-migranti-in-turchia-incontro-alla-sede-dellhca-helsinki-citizens-assembly/16975). La Turchia starebbe inoltre offrendo assistenza medica e altri servizi ai siriani.

Ma se ciò ufficialmente vale per tutti, qui a Istanbul in tanti ci hanno detto che non è così. La possibilità di ottenere assistenza sanitaria ei di trovare una casa o un lavoro dipende infatti molto dal possesso o meno di un passaporto.

E anche l'appartenenza religiosa è una discriminante come ci spiega il rappresentante dell' IHD che abbiamo incontrato il giorno prima: “Se sei sunnita vieni accolto nei campi profughi, se invece sei alavita ti dicono che non c'è posto.

Gli stessi alaviti a volte non chiedono nemmeno di essere  accolti nei campi perchè hanno paura. E anche qui a Istanbul vengono attaccati da altri gruppi religiosi”. Anche Jasmine e Anna, una delle attiviste della “cucina sociale” del quartiere Tarlablasi, ci confermano queste difficoltà per gli alaviti che di solito ricorrono a delle reti informali per ottenere aiuto e per avere un alloggio.

Il nostro viaggio continua e ci fermiamo davanti ad una donna in avanzato stato di gravidanza con una bambina di circa 2 anni in braccio. Poi si avvicina un'altra ragazza e un uomo. Sono di etnia Rom e vengono dal Kurdistan Siriano. La donna dice di stare per partorire e di non sapere cosa fare e Jasmine le dà alcuni consigli sui servizi a cui rivolgersi.

Quindi risaliamo verso la Moschea Blu dove incontriamo un uomo con una bambina. Anche loro sono siriani (“come quasi tutti quelli che vedi ai lati delle strade” ci dice Jasmine) e anche loro ci raccontano di essere scappati dalla guerra e di non riuscire a trovare un lavoro.

Infine ci spostiamo verso il Gran Bazar dove di solito Jasmine incontra alcuni homeless che dormono su dei cartoni in uno spiazzo davanti l'Università di Istanbul. Quando passiamo non li troviamo perchè sono in altre parti della città a chiedere l'elemosina. Qui si ferma il nostro giro.

Ci sarebbe stata anche la possibilità per un altro incontro: “conosco una persona che gestisce gli spostamenti dei siriani (“dealer”) verso l'Europa, magari riusciamo ad incontrarla” ci dice Jasmine. Ma il tentativo non va a buon fine perchè questa persona si rifiuta categoricamente.

Ma la stessa Jasmine ci dice che sono in tanti i siriani ad Istanbul che organizzano i viaggi dei profughi verso l'Europa. “Molti profughi siriani non vogliono stare a Istanbul ma vogliono andare in Europa. Di solito i “dealers” provano a far passare i migranti a piedi tra i cespugli presenti nelle zone di confine con la Grecia e la Turchia e poi una volta passato il confine devono arrangiarsi loro.

L'altra soluzione è quella dei passaporti falsi ma è molto più costosa e poi se i controlli sono rigidi hai molte possibilità di essere rispedito in Turchia”

Jasmine ha 30 anni. Vorrebbe lavorare come guida turistica in un paese europeo ma non può andarci. Vorrebbe almeno essere cittadina turca ma ancora non può e poi senza un lavoro è ancora più difficile.

I siriani, donne, uomini, bambine, bambini, che abbiamo incontrato con lei - e così come loro tutti gli altri - vorrebbero tornare al loro paese ma non possono.

Oppure vorrebbero poter andare in Europa ma la nostra “fortezza” glielo impedisce o li accoglie col contagocce solo se e quando vuole. E allora vorrebbero almeno restare in Turchia ma non c'è lavoro e poi loro sono “temporanei” e quindi la Turchia dopo un po' li rimanderà a casa (anche se molti una casa non ce l'hanno più).

E restano quindi lì, ai margini delle strade, con una grande voglia di raccontarci la loro storia e di non essere più invisibili. E sapendo che loro non potranno mai più tornare a Istanbul come turisti.

"Sulle rotte dell'Euromediterraneo" in Tunisia, Turchia e Libano organizzate da:
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