Turchia - Un giorno come tanti, continua il controgolpe di Erdogan

13 membri dell’Hdp arrestati, bloccati accessi ai social network. Autobomba con diversi morti e feriti a Diyarbakir

4 / 11 / 2016

Il caos regna sovrano da mesi in Turchia e se fino a qualche tempo fa l'establishment trovava ancora il tempo di perdersi in giochi di strategia politica estera - alla ricerca di alleanze e fondi necessari a rafforzare la sicurezza interna del Paese - ora le forzature volute dal Presidente e il conseguente aumento della tensione hanno dato il via libera ad un aumento indiscriminato di violenze, da una parte chi ha perso la vita, dall'altra le carceri riempite di migliaia di oppositori. Il rispetto dei diritti e della libertà di stampa sono ormai in caduta libera e il potere delle forze di sicurezza non conosce, al momento, limiti.

C'è una linea continua che collega tutti gli episodi verificatisi in Turchia dalle ultime elezioni al giorno d’oggi; anzi a dirla tutta il piano è studiato a tavolino, con un chiaro progetto strategico.

Il 15 luglio non c’è stato un colpo di Stato, ma c'è stato il battesimo della rinata dittatura alle porte del Bosforo. Erdogan, che sapientemente negli ultimi venti anni è riuscito a reinterpretare il nazionalismo, grazie ad una buona dose di strategia del terrore è riuscito a riportare nelle grazie del popolo l’attaccamento alla bandiera turca. Il 15 luglio le strade delle principali città dell’Anatolia erano piene, la chiamata contro i nemici dello Stato ha avuto ampia risposta e la posizione del “Sultano” ne è uscita ulteriormente rafforzata: quel giorno è stato una vittima e la risposta popolare da lui invocata contro le forze armate dissidenti, gli ha, di fatto, regalato un plebiscito di cui aveva sostanzialmente bisogno. Decine di migliaia di turchi sono scesi in piazza, costringendo i golpisti a fare una scelta: o sparare sul popolo, o rinunciare. A questo va aggiunto che le forze dell’ordine sono diventate un’emanazione diretta del ministro della difesa: da una parte la mente, dall’altra il braccio armato d’inaudita potenza. Un braccio armato non più coinvolto per salvaguardare la laicità e la democrazia dello Stato, bensì – grazie ad un indottrinamento certosino, per cui tutte le nuove leve delle Forze Armate donano fedeltà incondizionata a una figura centrale – per dare concretezza e operatività a una malcelata dittatura.

Questa è la più grande caccia alle streghe nella storia della Turchia, e le primissime ore di questo 4 novembre lo rimarcano con una precisione quasi chirurgica.

La svolta antidemocratica di Erdogan è all'apice, siamo al culmine di quella svolta repressiva intrapresa ormai tempo fa. Siamo tornati nell'era delle purghe, ma non siamo sotto il fascismo degli anni '40 in Italia. Siamo nel 2016, alle porte dell'Europa.

Le tensioni sono aumentate nel sud-est del paese nell’estate 2015, quando la fragile tregua col PKK è crollata. A questo va aggiunto che le ultime elezioni – sia quelle del 9 giugno 2014, e  in seconda battuta quelle del 1 novembre 2014 – avrebbero dovuto sancire il trionfo dell'Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, e con esso l'incoronazione definitiva di Recep Tayyp Erdogan a signore indiscusso della nuova Turchia, ma non hanno avuto l’esito sperato.

Questo per “colpa” dell’HDP che ha infranto il sogno presidenzialista e ha portato 59 seggi all’opposizione. L'HDP cerca di promuovere la causa della minoranza curda in Turchia difendendo i diritti dei curdi, così come quelli delle donne, della comunità LGBT e dei lavoratori. Una colpa che non è stata immune alla reazione del Sultano: nelle prime ore di questo venerdì, dopo la deposizione del co-sindaco di Diyarbakir, dopo il fermo al direttore del giornale storico Cumhuriyet, ecco che i due leader congiunti del Partito Democratico Popolare della Turchia sono stati arrestati insieme ad altri 11 deputati dell’HDP.

Demirtaş - definito l’"Obama curdo" da alcuni ammiratori – e Yuksekdag, erano da diversi mesi sotto il mirino del governo. Sono stati prelevati nelle loro rispettive case a Diyarbakir e Ankara, nell'ambito di un'indagine di antiterrorismo legata alle attività del Pkk e iniziata ad agosto, per la quale entrambi i dirigenti dell'Hdp erano stati citati in giudizio. Demirtas e Yüksekdag si erano rifiutati di presentarsi in tribunale, visto l'incarico di deputati che ricoprono, ma a maggio il Parlamento aveva deciso di revocare l'immunità degli accusati.

Insieme a loro, sono finiti in manette tutti i dirigenti principali del Partito, Süraya Önder, Gülser Yildirim, Selma Irmak, Ziya Pir, Ali Aslan, Leyla Birlik, Ferhat Encü e Nursel Aydogan.

La scure repressiva si è abbattuta su un intero partito – il terzo per numero di deputati – attraverso arresti dal chiaro movente politico, poiché l’HDP è l’unica fazione che riesce a rivaleggiare valorosamente contro il carisma del Sultano.

Il movente che spinge a questi arresti non è corruzione quindi, o complotti o terrorismo; e non è nemmeno l'accusa di vicinanza del Partito al PKK, ancora classificata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, l'UE e la Turchia; o il fatto che Demirtas sia indagato dalla procura di Diyarbakir per aver "diffamato il presidente" in carica.

Il vero motivo di questa manovra ai danni dell'Hdp è che Demirtaş ha fatto dell'opposizione al piano di Erdogan, di creare un sistema presidenziale in Turchia, una crociata personale, sostenendo da sempre che ciò avrebbe portato alla dittatura.

La Turchia vive in uno stato di emergenza, imposto dopo il colpo di stato nel mese di luglio, che consente al Presidente e al suo governo di bypassare il Parlamento in sede di elaborazione di nuove leggi e di limitare o sospendere i diritti e le libertà. Inoltre, nel mese di ottobre il governo turco ha annunciato che avrebbe presentato delle proposte al Parlamento per avviare delle modifiche costituzionali che renderebbero Erdogan "presidente esecutivo", espandendo ulteriormente i suoi poteri.

Vuole centralizzare il potere formalmente intorno a sé come presidente, piuttosto che rafforzare il Parlamento – continuando la tendenza autocratica che lo ha maggiormente caratterizzato negli ultimi anni.

Se il “golpe” è stato da una parte un "assegno in bianco" per zittire i suoi avversari, dall’altra ha accelerato il sistema punitivo che a cadenza settimanale si abbatte sull’opposizione. Erdogan aveva già promesso di "ripulire tutte le istituzioni statali dal virus" ossia dai sostenitori Fethullah Gülen – da lui indicato come mandante. Con questa scusa ha però lanciato una durissima repressione con arresti di massa, licenziamenti, epurazioni, fino alla chiusura di tv, radio e giornali: si aprono le carceri per giornalisti e politici, e della democrazia resta la cenere.

Non dimentichiamoci le restrizioni di internet, meccanismo sempre più utilizzato in Turchia per sopprimere la copertura mediatica di incidenti politici, una forma di censura implementata in tempi brevi per evitare disordini civili. La denuncia arriva dal gruppo Turkey Blocks che, sul proprio sito internet, parla di limitazioni ai social networks, irraggiungibili per diverse ore. La tecnica è quella dello “strozzamento”: altro non è che un sistema atto a rallentare alcuni siti web al punto in cui diventano inutilizzabili.

Questo quanto è successo stanotte, stamattina invece un'autobomba è scoppiata a Diyarbakir - nei pressi di una stazione di polizia nel distretto di Baglar -, uccidendo otto persone e ferendone un centinaio circa. Chi sta indagando sulla vicenda ritiene che l’attacco sia opera del Pkk, inoltre come avviene frequentemente in casi simili, l'autorità radiotelevisiva ha imposto una censura sulla notizia.

Il presidente dell'Europarlamento Martin Schulz commenta quest’ultima ondata di arresti come un "segnale spaventoso sulle condizioni del pluralismo politico in Turchia". Per Schulz, le ultime iniziative del governo di Ankara "mettono in discussione la sostenibilità delle relazioni tra Ue e Turchia"; il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini invece si dice preoccupata, ma ancora non si sono presi dei provvedimenti reali, e i finanziamenti dall’Europa alla Turchia continuano a essere versati.

L'Europa tace sulle violazioni dei diritti civili e politici del "dittatore amico" Erdogan. La Turchia tace perché anche stavolta le vie di comunicazione sono state bloccate. L’opposizione tace perché ormai è stata quasi spazzata via del tutto. E il governo turco si sta dirigendo verso una vera e propria dittatura. Risuona solo una domanda, come riuscirà a continuare a ovviare alle norme internazionalmente riconosciute della democrazia parlamentare?

QUI la traduzione del comunicato dell'HDP a cura di Insurgencia