Un altro plebiscito autonomista nelle regioni del Donbass.

Indebolimento del potere centrale di Kiev, una delegittimazione e destabilizzazione sono i prodotti del referendum nel sud est dell’Ucraina.

di Bz
12 / 5 / 2014

L’offensiva dei filogovernativi è proseguita a Sloviansk anche nel giorno del voto, seguito da circa 500 giornalisti inviati da circolo mediatico internazionale ma non da osservatori accreditati. Infatti il voto non è riconosciuto da alcun paese e la stessa Russia, al momento, si è astenuta dal pronunciarsi in merito.

Le agenzie unanimemente, comunque, parlano di un altissimo afflusso alle urne, con isolati episodi di broglio e con il limite che le liste dei votanti sono rimaste quelle elezioni amministrative del 2012, quindi senza un aggiornamento degli aventi diritto al voto, ma, aldilà di tutti i limiti tecnico amministrativi del voto e della sua legalità, emerge il dato politico della adesione di popolo alla richiesta di una amplissima autonomia da Kiev oppure di adesione tout court alla Federazione Russa e di una rottura insanabile col potere centrale in specie dopo l’uso dei reparti speciali dell’esercito e dei fascisti di Pravi Sector contro l’insorgenza di una larga componente di cittadini delle regioni del Donbass.

Ancora un referendum, per quanto illegittimo e irregolare, che potrebbe, secondo le indicazione dei votanti, produrre uno scenario analogo a quello della Crimea ma che, ora come ora, nessuno desidera, neppure la Russia dello zar Putin, giacché potrebbe produrre una aggravamento delle tensione che agitano il quadrante euroasiatico con uno scivolamento da una situazione di ‘piccola guerra fredda’ a un conflitto di più pesanti implicazioni, in particolar modo per l’Europa, così come hanno segnalato gli allarmati richiami della Merkel, di Hollande, di Aston e dello stesso Renzi.

Uno scenario, specie nella regione del Donbass, dove va segnalato il mutato atteggiamento dell'oligarca Rinat Akhmetov, l'uomo piu' ricco del Paese, il re dell’acciaio e dellea squadra di calcio di Donetsk, che anche quest’anno ha conquistato il suo nono titolo nazionale, che ha chiesto a Kiev di non usare l'esercito contro il ''pacifico Donbass'' e ha annunciato la creazione di ‘ squadre di volontari’ tra i suoi dipendenti per difendere la popolazione civile.

Sullo sfondo, dunque, rimangono le speranze, da un lato, e i timori, dall’altro, che la Russia lo possa utilizzare come pretesto per una ulteriore annessione in stile Crimea o per riconoscere un'altra repubblica secessionista, come l'Ossezia del sud, l'Abkazia in Georgia e come sta fortemente richiedendo la piccola regione super autonoma della Transnistria, appartenente alla Moldova.

Il risultato ''sostanzialmente definitivo'' annunciato nella tarda serata di ieri dal presidente della commissione elettorale dell'autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, Roman Liaghin: 89,07% a favore, 10,19% contro, lo lasciava presagire l'alta affluenza (oltre il 70% a meta' pomeriggio) dichiarata dai separatisti del ricco bacino metallurgico-minerario del Donbass, che vale il 20% del pil nazionale.

Sicuramente un ulteriore indebolimento del potere centrale di Kiev, una delegittimazione e destabilizzazione sono stati prodotti con l’effettuazione del referendum nelle regioni del sud est dell’Ucraina che vanno, immediatamente, ad influire sugli equilibri e sugli esiti delle prossime elezioni per la presidenza della repubblica del prossimo 25 maggio.

Tutte le bocce sono in campo, l’esito della partita è ancora tutto da scrivere.