Violenta proteste a Guadalajara per la morte di un uomo mentre era sotto custodia della polizia

8 / 6 / 2020

Una rivolta è scoppiata giovedì scorso nel centro di Guadalajara, nello stato di Jalisco. Il motivo è il coinvolgimento della polizia nella morte di un giovane muratore, Giovanni Lopez, ritrovato morto il giorno seguente al suo arresto perché sprovvisto di mascherina mentre era sotto custodia delle forze dell’ordine.

Dal 19 aprile nello stato di Jalisco è obbligatorio portare la mascherina copri bocca, a seguito di una legge definita di “tolleranza zero” emanata dal governatore Enrique Alvaro in cui si autorizza ad arrestare e multare chiunque esca di casa senza mascherina. Da quel giorno le forze dell’ordine hanno arrestato oltre 200 persone e sono stati denunciati innumerevoli altri casi di abusi e violenze contro la popolazione. 

La sera del 5 maggio scorso Giovanni Lopez dopo aver cenato con la sua famiglia è fermato dalla polizia mentre fa ritorno a casa nel piccolo centro di Ixtlahuacán de los Membrillos, a 30 chilometri dalla capitale dello stato Guadalajara. Giovanni viene arrestato dagli agenti perché non indossava la mascherina e obbligato con la forza a seguire gli agenti alla centrale, nonostante le proteste dei familiari presenti. 

Il giorno seguente, quando i familiari si sono presentati davanti alla stazione di polizia per reclamare la liberazione di Giovanni si sono visti riconsegnare il corpo con evidenti segni di tortura, un proiettile nel piede sinistro e un trauma encefalico. Per oltre un mese dall’esecuzione extragiudiziale, non è stato arrestato nessuno e anzi, la copertura delle istituzioni ai poliziotti responsabili ha fatto sì che divenisse l’ennesimo caso di violenza statale impunita. 

Mercoledì scorso i familiari di Giovanni hanno pubblicato un video dell’arresto in cui sono evidenziati gli abusi subiti dal giovane denunciando anche, prima il tentativo di corruzione da parte del presidente di Ixtlahuacán de los Membrillos che gli ha offerto 200 mila pesos perché il video non fosse diffuso e, a seguito del rifiuto dei familiari, le minacce di morte in caso di diffusione dello stesso.

Il giorno seguente alla diffusione del video centinaia di attivisti si sono radunati in Plaza de la Revolución a Guadalajara, per chiedere giustizia per l’assassinio di Giovanni. Al grido di «Giovanni no murió, el gobierno lo mató» si sono quindi diretti verso la sede del Palacio de Gobierno statale per chiedere le dimissioni del governatore Alfaro, ritenuto responsabile non solo per l’agire violento degli agenti ma anche per l’impunità garantita agli agenti colpevoli dell’assassinio. 

Arrivati fuori dall’edificio governativo, i manifestanti hanno vandalizzato e dato fuoco alle auto della polizia, quale simbolo della violenza statale e dell’assassinio di Giovanni. Quindi hanno cercato di assaltare il Palacio de Gobierno con pietre e bastoni ma sono stati respinti dalla polizia appena riusciti ad entrare. A seguito di questo tentativo la polizia ha contrattaccato scatenando una vera e propria guerriglia urbana per le strade della città per più di un’ora, prima di riuscire a riprendere il controllo della zona. 

Grazie alla determinazione dei familiari di Giovanni e alle proteste la macchina della “giustizia” si è messa in moto e ha portato all’arresto di tre dei presunti colpevoli dell’assassinio di Giovanni. Negli scontri però sono stati arrestati almeno 26 manifestanti, tra cui due ragazze, e per alcuni giorni non si è saputo nulla di altre 30 persone che erano scese in piazza. Il timore di un nuovo sconvolgente caso di sparizione forzata collettiva ha fatto sì che le proteste continuassero anche nei giorni successivi. Pian piano i desaparecidos sono riapparsi e attualmente all’appello mancano solo tre manifestanti. 

In un tweet dai tratti inquietanti, il governatore Alvaro ha assicurato che stanno cercando i manifestanti scomparsi “casa per casa”. Inquietante perché è proprio grazie al governatore che la polizia ha avuto mandato di usare la violenza per far rispettare le contestate misure emergenziali. Lo stato di Jalisco è uno dei più violenti di tutto il paese. Secondo un rapporto del CEPAD del 2016 (Centro de Justicia para la Paz y el Desarrollo) «nello Stato l’80% delle persone detenute nei penitenziari hanno sofferto qualche tipo di tortura fisica, psichica e sessuale». 

Le auto della polizia in fiamme, l’assalto al palazzo del governo, gli scontri con la polizia, hanno fatto subito pensare ai riots statunitensi di questi giorni. E in effetti, le similitudini con il caso che ha visto George Floyd cadere vittima della violenza della polizia, sono molte, a cominciare dall’esasperazione dei cittadini per la violenza istituzionalizzata che ha fatto esplodere la rabbia e le radicali proteste, ai futili motivi che hanno portato all’assassinio dei due uomini: 20 dollari falsi o una mascherina non usata in fondo fanno poca differenza ma sono lì a testimoniare la violenza sistemica delle forze dell’ordine che, negli Stati Uniti come in Messico, la utilizzano come strumento di controllo e di dominio sulla popolazione. 

** Pic Credit: Redfish