Vittoria della CONAIE: Lasso costretto a firmare l’accordo

2 / 7 / 2022

Dopo diciotto giorni di mobilitazione, di una violenta repressione che ha causato sei morti, oltre cento cinquanta arresti e oltre trecento trenta feriti, i movimenti indigeni fanno capitolare Lasso che è costretto a firmare l’Acta de Paz.

Con questo accordo finisce, per il momento, il paro nacional e fin da subito i movimenti indigeni si sono impegnati a smantellare i blocchi stradali nei territori e a far ritorno nelle proprie comunità. Da parte sua il governo si impegna a derogare lo stato d’eccezione in quelle province dov’era rimasto in vigore e a concretizzare i punti dell’accordo entro novanta giorni.

Le rivendicazioni della CONAIE, contenute nella ormai famosa agenda di dieci punti, non sono state accolte completamente ma il movimento indigeno canta vittoria ugualmente perché, dopo tanti sforzi e sacrifici sono riusciti a portare a casa importanti risultati. E non è poco. Il punto centrale è senz’altro quello del combustibile per il quale però il governo non ha ceduto completamente, arrivando a concedere altri cinque centesimi(oltre ai dieci ottenuti durante il primo dialogo) portando il prezzo al gallone del diesel a 1,75 dollari e della benzina a 2,40 dollari.

Vittoria è stata anche rispetto all’avanzamento della frontiera estrattivista: il governo si è impegnato a derogare il decreto 95 con il quale intendeva aumentare la produzione di idrocarburi e a riformare il decreto 151 con il quale invece si voleva dare impulso all’industria mineraria. Con la riforma, il governo non potrà approvare progetti minerari in aree protette e territori ancestrali, in zone archeologiche e in aree di protezione idrica. Inoltre sarà garantita la consulta libera e informata di comunità, popoli e nazionalità indigene coinvolte in tali progetti. Una grande vittoria questa perché, dovesse essere attuata ,darebbe un’ulteriore garanzia di protezione di territori e diritti collettivi dei popoli indigeni.

Tra le rivendicazioni ottenute risultano quelle derivanti dall’emanazione di tre decreti: con il decreto 452 si rafforzano i meccanismi di controllo dei prezzi dei beni di prima necessità dando un freno alla speculazione in atto. Con il decreto454 si dichiara in emergenza il sistema di salute pubblica con l’obiettivo di consegnare il prima possibile medicine e strumentazioni agli ospedali. Infine, con il decreto 456 si riconoscono varie misure economiche a beneficio della popolazione più vulnerabile: l’aumento a 55 dollari del sussidio di Sviluppo Umano che coinvolgerà 1,4 milioni di famiglie; un altro sussidio del 50% sul prezzo dei fertilizzanti in favore di piccoli e medi agricoltori; la riduzione dei tassi di interesse dal 10% al 5% su crediti fino a tre mila dollari; il condono dei debiti scaduti fino a tre mila dollari.

A garanzia dell’attuazione di tutte queste misure inoltre per i prossimi 90 giorni si installerà un tavolo tecnico con il compito di monitorare l’avanzamento delle misure concordate e di risolvere gli eventuali temi rimasti in sospeso. Vista la riluttanza di Lasso a dialogare in prima persona coi movimenti indigeni e l’inaffidabilità dimostrata in questi 18 giorni di paro nacional, il tavolo tecnico diventa uno strumento fondamentale per ricordare al presidente che «non rinunciamo al diritto alla resistenza, se non mantieni[le promesse] torneremo in milioni».

Dopo questi diciotto giorni di lotta e resistenza, alcune considerazioni sono d’obbligo: la firma dell’Acta de Paz è senz’altro una grande vittoria della CONAIE perché viene data risposta a tutti i punti dell’agenda di mobilitazione seppure, come detto, non in modo esaustivo. È una grande vittoria anche per il suo “líder máximo” Leonidas Iza, che ne esce rafforzato all’interno dell’organizzazione e con un consenso in crescita a livello nazionale: la sua partenza da Quito è stata accompagnata da centinaia di persone accorse a salutarlo e a ringraziarlo e allo stesso modo all’arrivo a Cotopaxi è stato accolto da una moltitudine in festa. È anche una grande vittoria contro i razzisti, in primis del governo, che hanno in tutti i modi cercato di stigmatizzare e criminalizzare il movimento indigeno: la migliore risposta a tutti loro è proprio l’Acta de Paz, un accordo che beneficia non solo i popoli indigeni ma rutti i settori più vulnerabili del paese a dimostrazione che la lotta indigena è stata una lotta per los de abajo di tutto il Paese.

La seconda considerazione riguarda il Presidente Lasso, il perdente di questa battaglia: Lasso ha puntato tutto sulla repressione, prima facendo arrestare arbitrariamente Iza, poi attuando lo “stato d’eccezione” che ha permesso di articolare una risposta repressiva crudele nei confronti dei pacifici manifestanti. Tuttavia ciò non è bastato ed è stato costretto a sedersi al tavolo del dialogo (per la verità mandando il suo primo ministro) una prima volta dove ha fatto una prima importante concessione. Con il pretesto della morte del militare a Shushufindi ha provato a smarcarsi dal dialogo ma la determinazione dei movimenti indigeni e il grido di un paese intero che chiedeva la pace lo ha costretto un’altra volta al dialogo e a firmare pesanti concessioni.

Lasso ne esce indubbiamente indebolito: l’approvazione per il suo operato durante questa crisi è sceso di molto e anche al Congresso ha perso per strada importanti appoggi (84 parlamentari, sui 92 richiesti, hanno votato la sua destituzione). Unica nota positiva è l’aver passato indenne la “muerte cruzada”, il procedimento di destituzione che si può chiedere solo una volta a legislatura. Lasso rimane dunque al suo posto, ma indebolito su tutti i fronti e con le mani legate.

Infine, ultima considerazione, la mobilitazione indigena si pone come uno degli esempi più fulgidi della lotta per la giustizia climatica per la capacità di fermare l’avanzata della frontiera estrattivista e lo sfruttamento dei territori e delle risorse. Ancora una volta, i popoli indigeni si dimostrano inflessibili nel considerare i decreti estrattivisti di Lasso come punti inaccettabili e avanguardia nella costruzione di un mondo altro dove i diritti della Terra e delle popolazioni che la abitano vengono prima degli interessi economici di pochi potenti.

Finisce quindi il paro nacional, ma non finisce la lotta delle popolazioni indigene che nei prossimi novanta giorni rimarranno vigili e pronti a scendere di nuovo in strada per difendere le conquiste ottenute.