Energia - Relazione di Ivo Galimberti

Capitolo quarto Common e-book "Verso Cancun: cambiare il sistema, non il clima - Teoria e pratiche per la giustizia climatica"

28 / 9 / 2010

Intervento di Ivo Galimberti svolto durante il seminario del 14 e 15 novembre 2009 a cura di Uninomade, nella sessione Crisi ambientale e comune ecologico. *

Introduzione

Vorrei presentare questa relazione più per cercare degli strumenti nuovi di analisi, che per fare delle proposte politiche; la mia formazione culturale proviene dal mondo scientifico, e quindi vorrei che questo intervento rappresentasse un approfondimento critico e scientifico degli strumenti di analisi che abbiamo a disposizione per comprendere i rapporti tra “Crisi dello sviluppo” e “Crisi dell’energia”, come situazione sistemica complessiva.

Partendo da questi strumenti generali di analisi, nella seconda parte della relazione, vorrei analizzare il problema della “Green Economy”, e delle mosse che il sistema capitalista sta cercando di mettere in atto in questa fase per uscire dalla crisi, utilizzando la Green Economy come strumento fondamentale per risolvere la crisi dello sviluppo.

E’ inutile che mi dilunghi sulla Crisi dello Sviluppo, è sotto gli occhi di tutti, sia in termini di crisi produttiva, che finanziaria, e di controllo.

Entropia e produzione

Per cominciare ad analizzare il rapporto fra Crisi dello sviluppo e Crisi dell’energia vorrei riprendere un accenno di discorso presentato stamane da Beppe Caccia sull’aspetto termodinamico del rapporto tra sviluppo ed energia. Nella descrizione socio-economica di Marx dell’industria manifatturiera, il modello era quello di una interazione tra Capitale Fisso (macchine, fabbriche) e Capitale Variabile (lavoro), da cui nasceva il ciclo produttivo delle merci, la loro valorizzazione e circolazione, ed il processo di accumulazione capitalistica.

L’analisi marxiana prende principalmente in considerazione la relazione dinamica tra Capitale Fisso e Variabile, tralasciando, o mettendo in secondo piano, il problema delle risorse che vengono utilizzate dall’ industria manifatturiera (materie prime ed energia). All’epoca di Marx le risorse erano disponibili, con giacimenti infiniti rispetto alle necessità industriali, semplicemente a disposizione del capitale, che le gestiva attraverso una rete di relazioni coloniali: le materie prime entravano nel bilancio economico dell’industria manifatturiera al massimo come costo di trasporto, per essere immesse, tra capitale variabile e capitale fisso, nel processo di produzione delle merci.

Una seconda cosa che non veniva presa in considerazione nel periodo dell’industria manifatturiera è il consumo dell’energia: c’è un rapporto stretto tra produzione e degrado dell’energia attraverso il concetto di entropia che vorrei approfondire. Il capitale fisso sotto la manipolazione del capitale variabile prende e trasforma delle risorse utilizzando l’energia per la trasfomazione. Da un punto di vista termodinamico il concetto di entropia è un concetto che misura l’ordine e il disordine negli aggregati di materie. Se abbiamo materie prime, carbone, acciaio, e così via, abbiamo un sistema in qualche modo disordinato. Se prendiamo queste cose e diamo loro una posizione nello spazio e nel tempo, diamo loro un ruolo, creiamo un sistema più ordinato.

L’entropia misura l’ordine e il disordine: è più alta più è alto il disordine, é più bassa più è basso è il disordine; quindi nei processi naturali l’entropia tende a crescere: se noi prendiamo un pezzo di legno, che è un materiale ordinato dove le molecole sono concatenate in un certo modo, e lo bruciamo, noi produciamo delle molecole disordinate che si disperdono nel fumo; abbiamo così consumato l’ordine e aumentato il disordine, ed abbiamo aumentato l’entropia.

Il processo di produzione delle merci invece è inverso: noi passiamo da materie prime disordinate, e le riaggreghiamo in maniera ordinata: si procede quindi ad un’inversione nell’entropia, ad una sua diminuzione. Il secondo principio della termodinamica afferma che l’inversione dell’entropia può avvenire solo a spese dell’energia: essa è il vettore fondamentale, consumando il quale si può diminuire l’entropia e riorganizzare l’ordine.

Il processo di produzione capitalistico quindi produce merci e riduce l’entropia; é cioè un processo inverso ai processi naturali, di passaggio dal disordine all’ordine. Implicitamente è dunque energy-consuming: ha bisogno dell’energia, tanto quanto ha bisogno del capitale variabile; sono parametri della produzione capitalistica, intrinseci alla sua natura e quindi necessari in quanto tali.

Inoltre, non è vero che il processo capitalistico ha semplicemente bisogno di energia: il processo capitalistico è strettamente permeato dai flussi di energia: esiste tutta una struttura gerarchica nella produzione e nel consumo dell’energia: ad esempio, per produrre energia nelle centrali elettriche si ha bisogno di materie prime combustibili, che attualmente sono in prevalenza il petrolio o il carbone, che hanno a loro volta bisogno di essere trasformate e trasportate: quindi, al di sotto l’energia che viene consumata dal processo produttivo, c’è bisogno dell’energia per la trasformazione ed il trasporto dei combustibili alle centrali. Ancora, al di sotto del processo di trasformazione e trasporto, c’é il bisogno di estrarre le materie prime combustibili dai giacimenti naturali, e questo implica un ulteriore consumo energia.

Il processo di produzione e consumo dell’ energia è quindi una struttura che permea come un frattale, dal passo dal più piccolo al più grande, l’intero sistema di produzione delle merci. In ogni angolo remoto dell’intero sistema in cui si articola la produzione si ha sempre il parametro dell’energia che si confronta con gli altri parametri del ciclo di valorizzazione.

Crisi dello sviluppo e dell’ energia

Questa digressione sull’energia e l’entropia è per affermare che l’aspetto energetico è talmente intrinseco in ogni singola fase del processo di accumulazione capitalistica, dall’estrazione delle risorse prime dal sistema terra, al loro trasporto ai luoghi di produzione, fino alla loro trasformazione, e alla produzione ed al consumo delle merci, che non può essere considerato in sottordine rispetto ai parametri classici della teoria marxiana.

Questo punto di vista è essenziale per capire il rapporto fra la crisi dello sviluppo e della produzione capitalistica, e la crisi energetica. Come dire, l’energia è il sangue che fluisce all’interno del sistema di riproduzione capitalistica, anche se non si vede dall’esterno, ma è su questo sangue che si basa il processo di accumulazione. E’ chiaro che quando l’energia diventa una risorsa rara, difficile da reperire, e non controllabile politicamente, il sistema della produzione capitalistica entra in crisi. Crisi energetica e della produzione sono talmente mescolate nell’intimo del loro accadere che non sono separabili.

Possiamo dire che il sistema di produzione capitalistica fino a qualche anno fa, pur senza riconoscere in maniera formale l’aspetto dell’energia come sangue vitale del sistema, aveva coscienza che l’intero sistema di approvvigionamento energetico doveva essere sotto il suo controllo politico: se non fosse stato sotto controllo la produzione avrebbe potuto andare in crisi.

Siccome la produzione energetica è stata finora fondamentalmente basata sui processi di combustione e sulle riserve fossili (carbone, petrolio, gas) il problema del controllo dell’energia è stato considerato un problema di controllo dei luoghi di produzione delle risorse fossili. Non si è trattato di una politica di tipo coloniale, per dire come quella degli inglesi in India, ma di una politica estremamente moderna, in cui il sistema dei Produttori Occidentali (le Sette Sorelle) stabilisce accordi di divisione dei profitti con i governi dei Paesi Proprietari delle risorse (Stati OPEC), mentre gli stati capitalistici occidentali assicurano il controllo politico e militare delle risorse energetiche, con una visione geopolitica complessiva molto moderna.

Questo è stato vero fino alla caduta dell’amministrazione Bush: le guerre in Kuwait, Iraq, Iran, e tutto quello che ci sta dietro, sono la dimostrazione che fino a pochi anni fa il controllo dei flussi di energia avveniva in termini politico-militari.

Ora che cosa è andato in crisi? Un po’ tutto. In primo luogo, le risorse si sono dimostrate limitate, e questo ha posto un problema di strategie relative agli sviluppi futuri ed ai loro costi. In secondo luogo, le risorse si sono dimostrate provenire da luoghi politicamente instabili. Il problema non è stato solo quello della disponibilità delle risorse, ma del rapporto tra disponibilità e costi: si possono probabilmente aumentare le risorse di petrolio, ma si deve andarle ad estrarle in Antartide con un costo di produzione che raddoppia; oppure, se si vogliono controllare le risorse di petrolio in Iraq in realtà si deve fare una guerra, ed affrontarne i costi (economici, politici, ed umani).

Il problema della scarsità o meno delle risorse diviene in questa fase (in cui le risorse non sono ancora completamente esaurite) un problema di costo delle risorse stesse: non importa tanto la consistenza dei giacimenti, ma quanto costa estrarle ed utilizzarle, in termini di costi di estrazione, di trasposto alla produzione, di controllo militare e del sistema organizzato degli eserciti necessari.

Le risorse sono diventate scarse, ma soprattutto care. Questo processo ha messo anche in crisi i rapporti di valorizzazione dei processi di produzione: più sono aumentati i costi delle risorse, e più è diventato complesso il loro controllo militare, più è diventato difficile gestire l’intero processo di produzione capitalistica.

La crisi economica, la limitatezza delle risorse, i limiti ed i costi dell’energia prodotta attraverso cicli di combustione, hanno investito una serie di problemi sociali e politici, per cui il modello di sviluppo basato sul vecchio concetto di produzione manifatturiera con disponibilità illimitata di materie prime, risorse e energia è andato completamente in crisi.

Crisi Ambientale

Ma non solo questo. Esiste anche una crisi ambientale, basata principalmente sull’accumulo di CO2 nell’atmosfera, e sulle modificazioni climatiche che ne conseguono: non credo servano ulteriori dati e parole per dimostrare la consistenza di questo problema, ed il suo rapporto con i consumi energetici del ciclo produttivo capitalistico. Esiste comunque un problema ambientale parallelo, un po’ trascurato negli ultimi tempi, dovuto all’accumulo di gas tossici (ossidi di carbonio, zolfo, azoto, gas organici) che vanno nell’atmosfera. Oggi si parla poco di piogge acide ma c’è stato un momento in cui era un argomento di grande rilievo.

Tutti i problemi sono legati: la combustione dei combustibili fossili, compresi i suoi derivati come la benzina ed il gasolio per le automobili, produce CO2 e di conseguenza effetto serra, più una quantità di sostanze inquinanti, nocive, tossiche, velenose che producono altri effetti paralleli che vanno presi in considerazione.

Tutti questi effetti giocano in maniera negativa sulla nostra salute, e producono una riduzione della qualità della vita. E questa variazione della qualità della vita è ormai entrata nella sensibilità e nella mentalità dei singoli soggetti: questo oggi mette in crisi la capacità di controllo capitalistica: la gente vuole respirare bene, mangiare cibi sani, senza diossina, non essere obbligati a prestiti costosi che avvelenano la vita, ecc. ecc.

E’ nata quindi negli ultimi tempi un’opposizione nella coscienza collettiva: dato che la produzione capitalistica, nel ciclo della sua riproduzione, ha bisogno anche di consenso per assicurare la circolazione delle merci, la stessa produzione capitalistica si è avviata verso la crisi, perché il consenso è andato scemando.

Questa mattina Beppe Caccia ha abbozzato un discorso di revisione della teoria del valore: sarebbe necessario ridurre l’importanza del valore di scambio e aumentare il peso del valore d’uso. Secondo me questo processo è già in atto nella coscienza collettiva, di fronte alla riduzione della qualità della vita. Diventa sempre più importante il valore d’uso delle merci, piuttosto che il loro valore di scambio.

E’ oggi necessario proporre un’analisi che faccia la somma dei due parametri, diversa dal processo di valorizzazione classicamente marxiano (capitale variabile, capitale fisso, creazione di valore, circolazione delle merci, ecc.). E’ chiaro che questa non è solo una difficoltà del sistema di pensiero marxiano: anche il sistema di pensiero liberale e capitalistico ha puntato tutto sul valore di scambio, che regola e definisce il mercato su cui circolano le merci: offerta e domanda sono i soli parametri che governano lo scambio; il valore d’uso è una variabile totalmente estranea.

Per tutto quanto sopra affermato è chiaro che il modello di sviluppo capitalistico, in queste condizioni, è andato in crisi; e che il concetto del valore d’uso è la novità emergente della coscienza (anche non cosciente) della crisi dei valori: mentre una volta il valore delle persone e della vita si misurava sulla quantità di soldi nel portafoglio, oggi nella coscienza collettiva si comincia a misurare dalla qualità della vita che si può ottenere (su tutti i giornali appare la statistica delle città in cui la qualità della vita è migliore o peggiore, che non si misura solo dal reddito pro capite).

Sviluppo sostenibile ?

Per tornare all’energia, i nuovi concetti che si sono affermati gradualmente nella coscienza collettiva affermano che le risorse sono limitate, che bisogna risparmiarle, che non bisogna consumare in maniera eccessiva, che vanno trovati nuovi equilibri tra risorse e consumi. Da questi concetti nasce la cosiddetta idea dello Sviluppo Sostenibile: lo sviluppo politico-economico può cioè andare avanti solo grazie ad un’oculata gestione delle risorse, con il consenso generale ed una adeguata politica di controllo.

Non stiamo dicendo novità; Beppe Caccia citava questa mattina il Club di Roma, antesignano già 40 anni fa dello Sviluppo Sostenibile; sono concetti che hanno ottenuto una larga diffusione da almeno una decina d’anni, rappresentati dall’Ecologia Classica e Storica, che non ha niente di rivoluzionario. L’ecologia classica constata che le risorse sono limitate e si propone solamente di trovare un modo equilibrato e non scellerato per gestirle e usarle. Questo approccio in Cina l’hanno chiamato sviluppo armonico, in Europa sviluppo sostenibile, in America green economy; in realtà si tratta una nuova forma mascherata come “sostenibile” del processo di accumulazione capitalistica: un “dimagrimento” generale di bisogni, consumi, redditi, salari e profitti, che si accoppia però con la speculazione del Capitale Finanziario capace di trasferire ingenti masse di ricchezza nelle tasche dei più ricchi, di chi non “dimagrisce” mai!

Io credo che, in questa fase del Movimento e della Crisi dello Sviluppo, se vogliamo essere partecipi allo Sviluppo della Crisi, per rovesciarne gli effetti, bisogna avere coscienza che serve un’ Ecologia Rivoluzionaria, che si basi su alcuni di principi fondamentali sulla proprietà delle risorse, sulla loro valorizzazione, sul loro valore d’uso collettivo, e quindi sul loro potere rivoluzionario.

Risorse energetiche

Detto questo, passerei ad un’analisi più specifica delle risorse energetiche, della loro disponibilità e del loro uso, per introdurre poi il problema della Green Economy proposto dal Presidente Obama.

Oggigiorno le risorse fossili disponibili per i processi di combustione sono petrolio, carbone, e gas naturale: rappresentano le risorse con cui si produce il 95 per cento dell’ energia al mondo; tutte contribuiscono al problema di produzione dell’ anidride carbonica (e di conseguenza dell’effetto serra), di gas tossici come gli ossidi di azoto e di zolfo (all’origine delle piogge acide), di particelle fini e gas volatili organici (alla base della maggior parte delle malattie polmonari); la combustione delle risorse fossili dà origine a di tutti quegli effetti, ben conosciuti, che interagiscono in modo negativo con l’ecosfera terrestre.

La risorsa sicuramente più ricca in questo momento, per quantità e qualità di produzione, é il carbone. Petrolio e gas combustibile sono risorse più care, più limitate, e sottoposte a un controllo geopolitico più complicato.

Il petrolio in prevalenza viene da regioni turbolente, Medio Oriente, Estremo oriente, Venezuela. Non consente quindi un facile controllo. Quello di provenienza da zone politicamente meno turbolente, ha costi di estrazione molto elevati (piattaforme oceaniche, Antartide, ..) e rischi industriali ed ambientali non più accettabili (vedi la tragedia ambientale del golfo del Messico).

Anche il gas naturale proviene da zone politicamente insicure, dalla Russia con cui c’è un rapporto di equilibri difficili, oppure da certe zone sahariane passando per la Libia con cui i rapporti non sono proprio semplici.

Queste risorse diventano costose in termini di denaro e di controllo. Se dobbiamo fare una previsione sull’uso delle riserve fossili nei prossimi trent’anni (perché prima di trent’anni non è pensabile di convertire l’intero sistema di produzione di energia alle cosiddette energie alternative), dobbiamo riconoscere che la prevalenza sarà affidata al carbone. Non a caso il Department of Energy degli Stati Uniti ha lanciato quindici anni fa un programma che si chiama “Coal Clean Technology”: non un programmino per laboratori universitari per studiare piccoli filtri che catturino le “porcherie “ dei fumi industriali, ma un vero progetto su scala industriale per trasformare interi impianti di produzione dell’energia con una tecnologia di combustione del carbone ad emissioni zero. Le tecnologie sono state studiate e sperimentate, ed esistono sul mercato industriale: ovviamente aumentano i costi di produzione, e questa è una variabile di cui il Capitale terrà conto nella definizione di uno sviluppo sostenibile.

Nel progetto della Green Economy proposto dal Presidente Obama non c’é solo lo sviluppo di fonti rinnovabili, c’è anche grande spazio per il controllo delle emissioni di impiamti a combustione del carbone.

Prospettive energetiche

Qual’ è oggi la via delle tecnologie alternative alla combustione fossile?

La prima via è quella delle fonti rinnovabili: ossia vento, fiumi, maree, ed energia solare che sono a disposizione nella biosfera senza dover modificare l’ambiente.

L’energia eolica (è davanti agli occhi di tutti) ha una capacità limitata ed un fortissimo impatto ambientale: riempire la terra di quegli enormi mulini a vento non è proprio immaginabile. Chi vorrebbe avere sopra casa un mulino a vento alto 40 metri? O chi vorrebbe mettere a Portofino in mezzo al porto un mulino per sopperire il bisogno di energia dei ristoranti locali? Mi pare una strada poco percorribile.

L’energia idraulica dei fiumi o delle maree è quantitativamente limitata rispetto ai fabbisogni, e quindi non può essere considerata come determinante in un progetto strategico.

L’energia solare, convertita mediante pannelli solari fotovoltaici, fino a oggi è stata una tecnologia totalmente soffocata. Essa é basata sull’uso di semiconduttori a base di silicio, ed è assolutamente analoga a quella dei microprocessori prodotti dall’Intel o dalle società concorrenti: se noi pensiamo agli anni ‘70, ai primi calcolatori portatili prodotti da IBM con sistema operativo MS-DOS, oggi vediamo che la potenza di calcolo in qualunque computer portatile è aumentata in un rapporto da 1 a un milione. Questo perché sono stati fatti enormi investimenti nello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori al silicio per microprocessori (che ha fatto cinque, sei salti generazionali nel giro di pochi anni); la ragione è sostanzialmente di interessi economici per una tecnologia perfettamente controllabile, per cui gli interessi della ricerca scientifica e quelli del profitto capitalistico convergevano.

La tecnologia del silicio per i pannelli solari fotovoltaici è stata invece soffocata perché andava in conflitto con l’industria petrolifera (le sette sorelle) e con l’industria energetica che ha dominato la politica economica negli ultimi trent’anni. Gli investimenti per lo sviluppo di questa tecnologia sono stati minimi, specie se comparati a quelli relativi all’ industria dei microprocessori.

E’ chiaro oggi che massicci investimenti in questo settore consentiranno in dieci, quindici, vent’anni di fare altrettanti salti generazionali, di aumentare l’efficienza riducendo i costi, e di andare quindi avanti con questo tipo di produzione energetica.

Tuttavia una produzione energetica quantitativamente rilevante da energia solare non è attualmente un progetto praticabile. Non si può pensare di chiudere le centrali a carbone e di sostituirle con centrali solari; l’energia solare è una tecnologia che attualmente non è matura e che ha un’enorme necessità di processi di sviluppo.

Detto questo, bisogna tenere presente che non esistono solo le energie rinnovabili nei possibili progetti energetici per il futuro. Esistono anche le energie alternative da combustibili non fossili, su cui si fanno ricerche da decine di anni, dalle pile a combustibile alla fusione nucleare. Ci sono cioè cicli di produzione di energia basati sull’idrogeno, che hanno bisogno di questo come combustibile, per sostituire i combustibili fossili, e ridurre praticamente a zero l’impatto ambientale. Tuttavia anche in questo caso ci potrebbe essere un’industria dominante per la produzione e la distribuzione del combustibile, che potrebbe creare un monopolio, e gestire la regia economica del mercato.

Conclusioni

Se volessimo ipotizzare uno scenario politico-energetico per il futuro, potremmo affermare che nei prossimi 20 – 30 anni saremo legati ad una produzione di energia sostanzialmente legata al carbone, con uno sviluppo via via più consistente di sistemi integrati di filtraggio dei fumi in uscita.

Nel frattempo verranno portate a maturità industriale ed economica le tecnologie alternative, basate principalmente sull’energia solare, e su quella prodotta dall’idrogeno.

Dentro questo scenario la Green Economy proposta dal Presidente Obama non rappresenta un passaggio repentino a sistemi di produzione di energia verde, non più basati su processi di combustione fossile, ma un riassestamento generale dei cicli produttivi verso le tecnologie alte, dove si possa ricavare un valore aggiunto più elevato. Il capitale in questo momento sta usando cicli produttivi che sono diventati economicamente e politicamente obsoleti: l’industria chimica, manifatturiera, automobilistica, tutta l’industria della trasformazione non rappresentano più settori trainanti ma sono diventati settori maturi in cui diviene difficile giocare la carta dell’innovazione contro la concorrenza dei paesi emergenti. Il capitale ha quindi ha bisogno (come d’altronde è ciclicamente avvenuto nella storia recente) di nuovi settori produttivi, in cui mettendo insieme tecnologia, economia di scala, innovazione, forza lavoro specializzata, e controllo politico, si possa produrre un valore aggiunto superiore.

Il settore prescelto è quello della Green Economy. Ovviamente ciò non vuol dire che Obana sia un’ecologista (né classico né rivoluzionario), ma semplicemente un Presidente degli Stati Uniti che fa il suo lavoro, in questa fase di crisi dello sviluppo, per ristrutturare i cicli obsoleti della produzione capitalistica: e gioca il suo ruolo con una politica keynesiana di “deficit spending” e di incentivi mirati ai settori produttivi emergenti.

Quali le variazioni a breve del ciclo di produzione dell’energia ? Si passerà a sistema più diffusi territorialmente, addirittura con mini-produzioni locali. Già qui in Italia c’è un’incentivazione a chi installa sistemi di produzione di energia a casa o in azienda: può infatti ri-venderla ad un prezzo “politico” elevato alla stessa rete di distribuzione; si mescolano le figure del produttore e del consumatore, e si valorizza lo scambio attraverso la rete: si prevede che questo sarà il futuro.

In questi sistemi territorializzati il conflitto ed il controllo stanno nella rete, nella gestione della raccolta e della distribuzione: il gestore compera e vende energia attraverso la rete e mantiene l’assoluto controllo dello scambio, valorizzando il suo ruolo di “intermediario”.

D’altronde un processo simile lo abbiamo già visto nel settore dell’informatica. Tutti possono produrre software ed immetterlo in rete, anche a pagamento, ma il vero potere sta nelle mani di chi gestisce le autostrade informatiche.

Il modello su cui dobbiamo bilanciare i progetti politici del Movimento, dentro la Crisi dello Sviluppo per lo Sviluppo della Crisi, deve tenere conto di questo tipo di processo capitalistico, di diffusione delle produzioni “immateriali” sul territorio, mescolando le figure di produttore e consumatore, ed integrando il processo di valorizzazione dello scambio attraverso un forte controllo politico delle reti di connessione e distribuzione.

*Nelle giornate di sabato 14 e domenica 15 novembre, oltre duecento persone - tra attivisti, docenti e ricercatori, accademici e non - hanno partecipato presso la sede della Venice International University, sull'Isola di San Servolo a Venezia, al seminario della rete Uni.Nomade.

Nella prima giornata s è approfondito il tema della Crisi della Finanza e del “comune ecologico”, nella seconda giornata dal titolo “Crisi ambientale e comune ecologico” le relazioni di Beppe Caccia e Gianfranco Bettin hanno aperto il confronto.

Beppe Caccia ha introdotto le caratteristiche di una crisi ecologica globale, che si presenta come concatenamento sistemico, a partire dalla messa in discussione delle condizioni stesse che hanno finora permesso la riproduzione della vita all’interno della biosfera. La crisi ecologica non può più essere considerata lo “sfondo” o addirittura una “contraddizione seconda” rispetto al conflitto capitale/lavoro, ma richiede strumenti concettuali e analitici nuovi che permettano di coglierne appieno portata ed effetti. Il pensiero di Georgescu-Roegen può essere assunto un punto di partenza utile all'attraversamento critico delle culture politiche che si sono confrontate con le tematiche ambientali e, in particolare, al superamento delle dicotomie che le hanno caratterizzate: la distinzione secca tra "natura" e "artificio" e le coppie "scarsità/ricchezza" e"crescita/conservazione". Lo stesso schema ciclico lotte-crisi-ristrutturazione-sviluppo, attraverso il quale il marxismo critico ha letto la dialettica sociale tra lavoro vivo e capitale, appare oggi in questione. La differenza, invece, tra risorse materiali esauribili e beni immateriali potenzialmente infiniti, prodotti dalla cooperazione e condivisione sociale, offre la possibilità di pensare e praticare un "comune ecologico", che si presenti come reale alternativa, nella de-crescita dalla dipendenza dai rapporti proprietari capitalistici e nella crescita dell'indipendenza da essi.

Gianfranco Bettin ha sottolineato l'urgenza di un'elaborazione politica adeguata all'accelerazione della crisi ambientale, a partire in particolare dal surriscaldamento globale e dai cambiamenti climatici. C'è una convergenza di tempi e di pratiche nella crisi, che richiede una nuova dimensione dell'ecologia politica, in grado simultaneamente, di "evitare le catastrofi, salvare l'agibilità democratica e sviluppare pratiche alternative." E a tali pratiche devono essere integrati anche i comportamenti individuali. Attraverso tre suggestivi esempi di "tragedie dei commons", locali e globali al tempo stesso (baccalà, vongole e laguna di Venezia), Bettin ha proposto una alleanza tra lavoro vivo e lotta alla dissipazione delle risorse: si tratta di accumulare potenza per spazi di sperimentazione alternativa, utilizzando anche strumenti nuovi, distinguendo il concetto di "crescita" da quello di "sviluppo" e misurandosi con dispositivi scientifici critici quali quello di "analisi emergetica" e "impronta ecologica".

Nel pomeriggio - dedicato a "precarietà climatica, questione energetica e Green economy" - Adelino Zanini ha brevemente introdotto la relazione di Ivo Gallimberti e i contributi di Giammarco De Pieri, Luca Tornatore e Alberto Mazzoni. Gli interventi di Luca Casarini e Sandro Mezzadra hanno poi concluso le due giornate seminariali.

I materiali sono disponibili in Global Project all'indirizzo

http://www.globalproject.info/it/in_movimento/Crisi-della-finanza-e-crisi-ambientale/2850

Capitolo 4 - Ivo Galimberti