Abitare in una fotografia

Roma, Firenze, Venezia, oggi: il senso di estraneità degli abitanti dei centri storici costruiti a misura di turista.

28 / 1 / 2021

Esistono migliaia di storie individuali di esperienze collettive che ignoriamo quasi completamente. Esistono protagonisti senza nome sparsi in diverse parti del mondo, seminati in diversi momenti storici, tutti però accumunati dal vivere sulla propria pelle oppressioni e lotte che noi in genere ascoltiamo o leggiamo distrattamente sui media, ma che per loro sono realtà concretissime. Questa serie di racconti brevi ci trascina nel mondo quotidiano di queste persone e, attraverso i loro ricordi, frammentati e incompleti come quelli di tutti, ci permette di ricostruire la loro storia e di approfondire contesti lontani dalla nostra conoscenza diretta. La tredicesima puntata della rubrica "Suture"- che uscirà ogni giovedì alle 12.30, a cura di Valeria Andreolli.

Ti chiudi la porta alle spalle e attraversi la strada sulle strisce dopo aver guardato attentamente prima a destra e poi a sinistra. Fai passi lenti e lunghi, stanchi. Ti muovi furtivo, come un intruso, come cercassi di non dare nell'occhio. Ti guardi attorno circospetto. Sai che non incontrerai nessun volto noto. Ormai ci hai fatto l'abitudine: sarai circondato, come ogni giorno, da mille facce diverse, nuove, lontane, estranee, forse anche nemiche. Gambe che passano, occhi che ti guardano e bocche che ti sorridono gentili. Ti studiano come fossi parte del paesaggio, parte dell'arredamento di questo grande museo a cielo aperto che è diventato il tuo quartiere. E in un certo senso è così, sei parte di lui. Ti ha visto muovere i primi passi barcollanti sui suoi bolognini polverosi, ti ha visto tirare la tua prima pallonata, ha visto la tua prima caduta dalla bicicletta, il tuo primo giorno di scuola, il tuo primo bacio.

Eppure da qualche anno ha cominciato a rifiutarti, a trattarti male, a spingerti via e voltarti le spalle. Ha cominciato ad incipriarsi, a rifarsi le facciate, a parlare in modo strano, ha cominciato a farsi pagare di più. Oggi, tra i tuoi amici storici, anche coloro che non sono stati spinti via di prepotenza, hanno deciso di andarsene, perché dietro alle mille maschere che aveva deciso di indossare non lo riuscivano più a riconoscere.

Ti fermi. La vetrina in cui ti specchi ora è il tempio in cui hai speso i primi soldi guadagnati riparando vecchie automobili pochi metri più in là. Era il regno dove tutti i ragazzi della tua età si rifugiavano sottraendosi alle urla e al trambusto del quartiere per inserire le dita sporche e sudaticce tra le custodie lisce e colorate dei vinili ammassati dentro a larghi cassettoni di legno. Le pareti erano tappezzate da immagini grottesche e surreali che rendevano l'ambiente insieme confortante ed opprimente e, dietro un bancone improvvisato, un ragazzo con il giubbotto di jeans e gli occhiali da sole perennemente poggiati sul capo vi istruiva sulle novità del mondo del rock. Ora le pareti sono bianco latte, illuminate da una luce al neon che crea un’atmosfera irreale e disturbante. Dietro al bancone in acciaio inossidabile, c'è un ragazzo con una bandana sul capo e una maglietta bianca con un indecifrabile logo colorato. Sulla vetrina troneggiano le parole aliene ed incomprensibili con cui il tuo quartiere ha cominciato ad esprimersi negli ultimi anni.

Procedi con la tua andatura stanca fino alla piazzetta dove un tempo trascorrevi pomeriggi infiniti interrotti solo dall'imbrunire e dalle grida di tua madre che ti chiamavano per la cena. Una coppia con gli occhi a mandorla seduta su una panchina sta disegnando linee immaginarie su una grande mappa che uno dei due tiene sulle gambe. Un gruppetto di cinque o sei persone è fermo al centro della piazza in mezzo ad una distesa di borse di cartone decorate da simboli sgargianti. Oggi è solo un luogo di passaggio, anche per te.

Sulla piazzetta si affaccia la bottega di caffè di uno dei compagni di avventure con cui facevi tardi la sera rannicchiati negli angoli più bui del quartiere. Lo vedi armeggiare oltre la porta a vetri, ma non hai la forza di avvicinarti e chiedergli come vanno le cose. Non hai la forza di ascoltare i suoi sospiri e sopportare i suoi occhi bassi mentre ti dice che gli affari vanno male, che tutti quelli che entrano con i loro abiti firmati e i loro accenti stranieri danno un'occhiata, sorridono, a volte fotografano, e poi se ne vanno. A comprare il caffè al supermercato.

Mentre oltrepassi la piazzetta, alzi gli occhi e guardi la cima del palazzo luccicante e nuovissimo costruito dove un tempo c'era il mercato. Costruito con i soldi di persone che, mentre tu ti sbucciavi le ginocchia su queste strade, correvano, mangiavano e dormivano in altri continenti. Persone che ignorano com'era la vita qui, che ignorano, o fanno finta di ignorare, ciò che il loro vivere al settimo piano di un appartamento di lusso nel centro storico di un'antica e celeberrima città italiana comporta. Persone che con la loro presenza e il loro denaro inquinano il tuo vivere qui senza darti nessuna possibilità di obbiettare, in un modo così sottile ed insidioso da risultare particolarmente difficile da contrastare.

D’altronde le capisci. Non riesci ad immaginare un cielo migliore a quello del tuo quartiere sotto cui svegliarsi tutte le mattine. Ma hai anche il dubbio che forse, se fossi nato altrove, l'attaccamento ombelicale che ti lega a queste vie e questi edifici lo avresti provato per altre strade ed altre mattonelle. E allora ti chiedi dove siano nate e cresciute queste persone ben vestite trapiantate in modo apparentemente anestetico in parti del mondo accuratamente scelte. Tu non hai viaggiato molto e fatichi a capire come si possa scegliere di rinnegare le vie in cui si è cresciuti senza che ci siano cause esterne ad imporlo. Ciò che però cogli chiaramente è la contraddizione di eleggere una città, un quartiere, una via a luogo dove trascorrere le proprie giornate, e così facendo contribuire a distruggere le peculiarità del posto che erano all'origine di questa scelta.

A volte pensi che sei solo vecchio e che queste elucubrazioni non sono altro che sintomi della nostalgia della giovinezza. Pensi che nel ricordo dimentichi selettivamente gli aspetti gravosi che pure hanno caratterizzato gli anni che rimpiangi, pensi che le città mutano in continuazione, evolvono in forme sempre nuove, che forse è giusto così. Ma, mentre le porte scorrevoli del supermercato si aprono di fronte a te, in cuor tuo sai che, comunque, tu preferivi il tuo quartiere così come era un tempo.

** Pic Credit: Luca Moglia