Accarezzare la vecchiaia con anticipo

Italia, oggi: l’incessante e logorante lavoro delle badanti che dall’Est Europa vengono a prendersi cura dei nostri anziani lasciando la propria casa e la propria famiglia.

7 / 10 / 2021

Esistono migliaia di storie individuali di esperienze collettive che ignoriamo quasi completamente. Esistono protagonisti senza nome sparsi in diverse parti del mondo, seminati in diversi momenti storici, tutti però accumunati dal vivere sulla propria pelle oppressioni e lotte che noi in genere ascoltiamo o leggiamo distrattamente sui media, ma che per loro sono realtà concretissime. Questa serie di racconti brevi ci trascina nel mondo quotidiano di queste persone e, attraverso i loro ricordi, frammentati e incompleti come quelli di tutti, ci permette di ricostruire la loro storia e di approfondire contesti lontani dalla nostra conoscenza diretta. La venticinquesima puntata della rubrica "Suture, a cura di Valeria Andreolli.

Guardi l’acqua che scorre su una pelle piena di grinze, pieghe che nascondono anni di storie, fatiche, sudore, polvere di tempi passati. Pensi a quando la tua pelle somiglierà a questa, a come dev’essere vivere dentro ad un corpo che si rattrappisce e non sa più che farsene di tutta questa pelle, che penzola come panni stesi, ricordo materiale di una gioventù che è sfumata.

Passi il doccino sul braccio sinistro di questo corpo stanco, seduto nudo e immobile dentro alla vasca da bagno. L’acqua è calda, ma quel corpo trema e sta rigido, sempre all’erta. Continui a guardare questa pelle in eccesso, flaccida, bianca, tanto bianca da filtrare la luce ed esaltare il labirinto di vene ed arterie azzurrine che vi germoglia sotto. Pensi a quanti anni hanno impiegato tutte quelle cellule a nascere e crescere, e pensi a quale sarà stato il momento esatto in cui questo corpo ha deciso che ha raggiunto la sua massima estensione. Pensi alle braccia esili ed irrequiete dei tuoi due figli biondissimi che vedi farsi sempre più robuste nelle videochiamate della sera. Pensi alle braccia di tua madre, alle grinze della sua pelle che non mai dovuto guardare tanto da vicino. Pensi alle mani in miniatura del tuo figlio più piccolo, a cui hai dovuto rinunciare per delle mani rugose che hanno dimenticato come muoversi. Pensi alle tue, di mani. Vorresti averne almeno il doppio: un paio per insaponare il corpicino ancora in espansione di tuo figlio, e un paio per risciacquare la signora di poche parole e con lo sguardo assente seduta dentro la vasca da bagno. Ma di mani ne hai solo due e devi quindi fare affidamento a quelle, già vecchie, di tua madre, che compiano su tuo figlio gli stessi rituali, vecchi come il mondo, che hanno eseguito su di te.

Sollevi ora il braccio destro della signora e lo bagni con l’acqua del doccino. La signora ha sempre la stessa espressione triste ed assente, quasi immutata da quando, tre anni fa, hai fatto ingresso per la prima volta in quella che sarebbe diventata anche la tua casa. Una casa angusta con armadi di legno, poltrone di pelle e tende scure, con fotografie in bianco e nero appese alle pareti, con i servizi da tavola esposti in vetrina. Una casa in cui abiti, ma in cui non puoi toccare niente. Una casa che sprigiona nostalgia da ogni fenditura del legno, da ogni crepa dell’intonaco. E tu hai dovuto imparare a soggiogarla questa nostalgia, a farne una risorsa, ad attingerci per mettere in funzione le labbra secche della signora e farti raccontare chi è quella figura baffuta che indossa una divisa con sguardo fiero sopra la televisione, da dove viene quel bicchiere decorato di oro sulla credenza, chi è quella bambina con la bocca aperta e una cuffia in testa poggiata sul comodino. Così che alla fine puoi sentire di conoscerle un po’ anche te, queste persone appartenenti ad altre epoche, puoi sentirle e sentirti un po’ parte della famiglia. Devi importi di trovare una collocazione di qualche tipo dentro questo universo familiare, perché altrimenti non riusciresti a sostenere queste giornate infinite e queste nottate vigili ad ascoltare il respiro della signora che dorme nella stanza accanto alla tua. Perché neppure dentro la tua camera puoi ignorare il fatto di essere un elemento estraneo all’interno della casa, deputato unicamente a preservare il benessere della signora, a discapito del tuo, di benessere, perché lavorare dentro le stesse mura in cui abiti a volte ti fa sentire in gabbia, ti provoca un formicolio sotto le piante dei piedi. La tua via di fuga è la domenica, quando metti l’abito più elegante che hai, chiudi la porta di casa dietro di te e vai al parco sforzandoti di dimenticare le grinze nella pelle della signora, le fotografie alle pareti e la televisione sempre accesa con il volume al massimo. Al parco incontri una decina di donne che, come te, si vivono questa giornata di libertà all’aria aperta, sussurrandosi storie ambientate qualche fuso orario più a est, aneddoti sulle rispettive signore e nostalgie inguaribili, senza quell’incredibile sforzo di traduzione che dovete mettere in pratica tutti gli altri giorni della settimana.

Imparare l’italiano attraverso le parole sdentate e dialettali della signora a cui badi aveva richiesto impegno e tempo, perché il lavoro che svolgi richiede delle braccia forti e delle gambe stabili, ma tutte queste ore di convivenza vanno riempite anche di dialogo, di storie, della ricerca di punti in comune tra due persone che sono nate in epoche diverse, in contesti diversi, che si esprimono in idiomi diversi, che mangiano piatti diversi, che hanno fatto scelte diverse. In questa casa hai dovuto imparare ad essere curiosa, a fare domande, a solleticare la memoria di questa signora fragile che, dall’alto dei suoi nove decenni di vita, ha sicuramente qualcosa da insegnare.

La signora continua a tremare. Abbassi la manopola della doccia e l’acqua cessa di scorrere. Ti volti per prendere l’asciugamano che hai poggiato sul lavandino e lo avvolgi attorno alle sue spalle. Non smette di tremare.