Il boss dell'amianto Schmitheiny, oltre a continuare l'avvelenamento da amianto con le sue produzioni in mezzo mondo, si rcicla nella Green Economy ...una vicenda narrata nel film curato da Andrea Pranstaller "Polvere"

Amianto & Green Economy

Una condanna non basta, chiudere ovunque il ciclo dell'amianto

4 / 6 / 2013

Alla fine, al processo d'appello contro la Eternit davanti al Tribunale di torino, è arrivata la condanna pesante. Diciotto anni per il magnate Stephan Schmidheiny, accusato del reato di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche per la strage dell'amianto. Estinto il reato per il barone belga Louis De Cartier De Marchenne, deceduto all'età di 92 anni. Soddisfatte le oltre 2000 parti offese costituite parte civile. Sono in gran parte ex lavoratori della Eternit e cittadini di Casale Monferrato, Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera che si sono ammalati di mesotelioma pleurici e malattie da amianto come l'asbestosi. Qui di seguito un articolo di Alberto Zoratti. Riproponiamo inoltre l'articolo-intervista con Andrea Prandstraller regista del film "Polvere" dedicato alle responsabilità dell'Eternit e la lotta dei cittadini di Casale Monferrato.

"Polvere" il grande processo dell'amianto di Niccolo Bruna e Andrea Prandstraller

C’era stato persino bisogno di una petizione da parte della società civile internazionale. Visto che nessuno alle Nazioni unite osava chiedere di non invitare il magnate svizzero Stephan Schmidheiny al summit di Rio+20 sullo sviluppo sostenibile, che si è svolto esattamente un anno fa in Brasile. A dimostrazione di come la business community oltre ad avere grandi interessi sulla green economy abbia anche una memoria selettiva. Schmidheiny era ancora, davanti agli occhi dei capitani d’industria dell’economia sostenibile, il traghettatore del 1992 delle imprese multinazionali verso la sostenibilità ambientale, l’autore di pagine e pagine sulla crescita green, a cominciare dal suo ultimo libro del 2011, Towards an Ecologically Sustainable Growth Society. Al posto delle magnifiche sorti e progressive dell’imprenditoria socialmente responsabile adesso Stephan Schmidheiny ha davanti agli occhi una condanna in appello a diciotto anni di carcere per il disastro umano e ambientale dell’eternit, che ha trasformato Casale Monferrato e la provincia di Alessandria in un caso sanitario di livello internazionale per l’incidenza del mesotelioma.

E’ la rivincita del diritto sulla retorica della Green economy che quando diventa preghiera rituale perde ogni riferimento con la realtà. Non c’è bisogno di arrivare ai casi estremi del magnate svizzero e del caso amianto, ma basterebbe usare un po’ di aritmetica per capire come i conti non tornano se, ad esempio, alla campagna della compagnia petrolifera BP (che si presenta come Beyond Petroleum, «Oltre il petrolio») segue il disastro inenarrabile del Golfo del Messico. O se il gruppo svedese Vattenfall, che si presenta come il secondo attore mondiale per l’eolico offshore e che investirà oltre 4 miliardi di euro per costruire quattro parchi eolici in Europa, ha chiesto esattamente un anno fa oltre 15 miliardi di euro di danni alla Germania (in un ricorso presentato assieme ad altri tre colossi come Eon, Rwe e Enbw) per la scelta del Governo tedesco di uscire dall’energia nucleare.

«E’ il business, baby». Ed è stupefacente come ancora ci si stupisca davanti a tante incongruenze. La Green economy è il nuovo mantra, tanto simile all’ormai decaduta Green revolution da seguirne pedestremente il cammino. Non è l’innovazione di prodotto che può bastare, perché serve modificare le regole d’ingaggio, che parlano tra l’altro di un sistema di brevetti che se in campo farmaceutico impedisce di sviluppare diagnosi e terapie, in campo industriale lascia in mano ai soliti noti il know-how necessario per sviluppare le nuove tecnologie. Con buona pace delle strategie di adattamento e di lotta al cambiamento climatico, come ha avuto modo di dire più volte il Dipartimento economico e sociale dell’Onu. Per non parlare dell’assoluta inconsistenza che hanno i sistemi di monitoraggio e controllo sull’impatto ambientale dei trattati di libero scambio, spesso delegati a organismi che più che consultivi non possono essere. Al contrario dei sistemi di risoluzione delle controversie commerciali, leggi sulla liberalizzazione degli scambi, che funzionano a pieno ritmo imponendo direttive.

Stephan Schmidheiny è semplicemente l’ultimo caso di cronaca, anche se il più eclatante. Non è un caso isolato né è una mela marcia tra molti frutti ancora green. E’ l’ovvia conseguenza di un sistema che si affida ai mercati ed alla buona volontà degli imprenditori. Che mette la responsabilità sociale ed ambientale delle imprese come possibilità ed approccio volontario e non come cornice regolatoria da cui non si prescinde. E’ l’economia delle anime belle, non della giustizia e della trasparenza, e se nel confessionale non c’è nessuno allora il peccato si può tenere nascosto. Almeno fino al prossimo impiccione della società civile che con un colpo di mano scopre le carte. O fino alla prossima tragedia umana od ambientale che con uno scoop di cronaca mostra il re per quello che è: nudo, autoritario e neanche tanto green.

Alberto Zoratti, redattore di Comune-info, è anche autore con Monica Di Sisto di «I signori della green economy» (Emi)

Polvere