Antonio Negri, Il lavoro nella Costituzione

Antonio Negri, già docente di Dottrina dello Stato all’Università di Padova, ha insegnato in diverse università europee. La sua ricca produzione teorica ha avuto riconoscimenti in vari ambiti internazionali. Tra i suoi lavori più recenti: Goodbye Mr Socialism (Feltrinelli, 2007), Fabbrica di porcellana (trad. it. Feltrinelli, 2008) e, in collaborazione con Michael Hardt, Impero (trad. it. Rizzoli, 2002) e Moltitudine (trad. it. Rizzoli, 2004). Per i nostri tipi, la nuova edizione di Dall’operaio massa all’operaio sociale (2007).

6 / 10 / 2009

“Questa ricerca affronta alcuni problemi del diritto costituzionale e della teoria generale del diritto, problemi connessi alla riqualificazione dello Stato contemporaneo come Stato ‘sociale’, pianificato, come Stato del ‘lavoro’, ed intende osservare alcune trasformazioni che, in questa prospettiva, subiscono il sistema delle fonti, la struttura dello Stato, la connessa concezione della norma giuridica e dell’autorità. La tesi fondamentale è che questi rivolgimenti istituzionali, prodotto di sottostanti rivolgimenti politici, non alterano la struttura di classe dello stato borghese, bensì la perfezionano, adeguandola alle nuove esigenze dello sviluppo del capitale”.

Le righe che aprono il saggio qui riproposto sintetizzano con perfetta chiarezza ed efficacia l’intento analitico con cui Antonio Negri, all’epoca assistente presso l’Istituto di Filosofia del diritto dell’Università di Padova, affrontava quella che egli stesso definiva la “rilevanza costituzionale del ‘lavoro’” nella Carta del ’48. La definizione marxiana di “capitale sociale”, la sussunzione in esso della tradizione socialista, l’incidenza che essa ebbe sull’ordinamento, il venir meno – in quella che allora si iniziava a definire “società-fabbrica” – della distinzione tra costituzione economica e costituzione politica: sono questi i temi che consentono di rileggere la Carta del ’48 sulla scorta di una nuova “costituzione materiale”, a fronte della quale la prima appariva già pesantemente condizionata. Non tanto dall’ovvio compromesso sui valori, quanto dalla lunga tradizione dell’“ideologia italiana”. La Costituzione del ’48 – osserva l’autore nella discussione con Adelino Zanini qui acclusa – rappresenta perciò il momento conclusivo di un processo di modernizzazione che si era dato, malgrado tutto, senza rotture, attraverso differenti regimi politici. Momento conclusivo che arriva a comporsi in una forma ad un tempo progressista (così la chiamano i socialisti) e ipocrita (così la praticheranno le nuove élite capitaliste).