Calcolare la bellezza con la bilancia

Mauritania rurale, oggi: l’alimentazione esagerata e forzata di ragazze e bambine che, secondo la pratica del leblouh, per trovare marito devono diventare obese.

4 / 11 / 2021

Mauritania rurale, oggi: l’alimentazione esagerata e forzata di ragazze e bambine che, secondo la pratica del leblouh, per trovare marito devono diventare obese. La ventottesima puntata della rubrica "Suture”, a cura di Valeria Andreolli.

Hai il volto completamente immerso nella ciotola di legno: con le narici aspiri l’odore acre del latte di cammella, le tue pupille inghiottono il buio dolce della scodella e tra le tue labbra aperte scorre il liquido denso e caldo che ti sforzi di bere dieci volte al giorno. La prima all’alba, ancora prima di alzarti, con gli occhi semichiusi e la bocca impastata di sonno, poi a colazione e poi a pranzo, dopo pranzo, prima di merenda, a merenda, prima di cena, a cena, dopo cena e prima di andare a letto. È tua madre a prepararti ogni pasto: cous cous con verdure e frutta secca, tajine di riso carico di burro e pollo, zuppa d’avena con datteri, farina di miglio sciolta nell’acqua. Con tenacia e dedizione dosa le quantità, pesa ingredienti e benefici, calcola le calorie e il guadagno sotteso alla spesa per il tuo nutrimento esagerato. Perché i soldi sono sempre pochi, ma sempre sufficienti a riempirti la pancia di carne di capra e porrigde. A volte capita che tua madre si privi di un pasto per cedere la sua razione al tuo stomaco gonfio. La tua famiglia ti vuole bene e quindi ha deciso di investire in te, di farti diventare grassa e darti la possibilità di trovare un buon marito. Tu i ragazzi li guardi ancora da lontano, timida, perché ti vedi con i loro occhi: vedi tutti i chili che ti mancano per essere bella, vedi le tue gambe e le tue braccia esili e tristi. E hai la pretesa di plasmarlo questo tuo corpo scarno e spinoso, di renderlo soffice e tenero, di farlo diventare bello. Perché “lo spazio che una donna occupa nel cuore di un uomo è lo stesso che occupa nel suo letto”, te lo ripete sempre tua nonna, e tu al momento non riempi neppure la metà del giaciglio in cui ti corichi tra un pasto e l’altro. Gli uomini hanno il terrore delle donne a cui si intravedono le ossa, temono abbiano qualche malattia che le renda sbagliate e temono che provengano da famiglie con cui non hanno interesse ad imparentarsi. Tu, invece, devi essere la dimostrazione vivente che la tua famiglia non manca dei mezzi necessari per sostenere un corpo grasso.

Lo stomaco ti brucia. Continui ad ingoiare il latte giallognolo con grande fatica. Ti hanno detto che esistono dei farmaci che aiutano a prender peso, ti hanno detto che li vendono al mercato sottobanco, che però sono pericolosi, che si può morirci. Un paio di volte ci hai pensato. Hai pensato che sarebbe bello ingrassare senza doversi sottoporre allo straziante rituale dell’ingozzamento. E hai anche pensato che assumersi il rischio di morire sia meno faticoso che ingurgitare dieci pasti al giorno. Perché succede che i crampi alla pancia si facciano insostenibili, che la testa ti faccia male e la mente ti si annebbi; succede che gli occhi ti si chiudano e che il tuo stomaco sia pieno fino all’orlo, cosicché il cibo è costretto ad intraprendere il cammino che tu gli hai intimato nel senso opposto. Ma hai imparato ad abituarti al sapore acido del vomito, hai imparato a dominare l’istinto che ti dice di fermarti, che nell’incastro di organi e tessuti che sorreggono la tua persona non c’è più spazio dove immagazzinare tutte le sostanze che le stai propinando. Perché la tua ostinata volontà di diventare bella è più forte dei capricci di un corpo giovane e inesperto che non sa cosa è meglio per lui, perché non conosce le parole cattive e sprezzanti delle donne del villaggio, non conosce l’invidia degli incontri con le amiche in cui fate a gara a chi possiede il numero più alto di smagliature, non sa quanto sia importante trovarti un marito. 

Abbassi lievemente la ciotola e scorgi lo sguardo di tua madre fisso su di te. Ti guarda con affetto e fermezza. Torni ad inzuppare il tuo volto nel latte. È stata lei a stabilire che era giunto il momento, il momento di farti diventare donna, perché lei alla tua età pesava quasi quindici chili più di te e aveva sposato tuo padre pochi mesi più tardi. E quindi una mattina a colazione ti aveva servito una doppia razione di zuppa d’avena e ti aveva detto che quel giorno cominciava il tuo gavage e che avevi tre mesi per prendere venti chili. 

Da allora ogni settimana un uomo con lo sguardo impassibile viene a casa vostra armato di una grande bilancia argentata e ogni volta, immancabilmente, tu e tua madre vi sporgete impazienti e fiduciose a leggere il verdetto sentenziato dall’ago, che puntualmente si posiziona su un numero che non soddisfa le vostre aspettative. Tua madre sospira e tu esci dalla stanza imbronciata. Temi che tutte le cibarie che ti butti a forza giù per l’esofago non siano sufficienti e la tua paura più grande è essere spedita in un campo nel deserto e sottoporti alle angherie di qualche vecchia custode, come tua sorella. Tua sorella mangiava poco e vomitava spesso, quindi era stata mandata in una di queste strutture di ingrasso intensivo. Era tornata dopo un paio di mesi con tre dita dei piedi rotte e una decina di lividi. Però una nuova consistente patina di grasso ricopriva il corpo esile che avevi conosciuto nei vostri giochi di bambine. Si era sposata dopo poche settimane e aveva abbandonato la casa paterna per quella, sconosciuta e remota, di un uomo che aveva almeno il doppio della sua età. Ora la vedi raramente e, quando succede, ti racconta soltanto che il cuore le fa male e che non riesce a stare in piedi per più di dieci minuti.

Il latte è finito. Posi la ciotola. Hai un conato di vomito, ma riesci a trattenerti. Tua madre, dall’altro capo della stanza, ti sorride.