“Chi è Donald Trump? Le elezioni degli Stati Uniti tra populismo e puritanesimo” a Sherwood 2017

29 / 6 / 2017

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca è stata analizzata, come fatto politico ricco di conseguenze, in diversi dibattiti di questa edizione dello Sherwood Festival, mettendo in luce le contraddizioni che si aprono in tanti settori della società, da quello economico a quello ambientale. Martedì 27 giugno il dibattito “Chi è Donald Trump? Le elezioni degli Stati Uniti tra populismo e puritanesimo” ha provato a far chiarezza sulla complessa figura del neo-presidente statunitense e sulle cause che hanno condotto alla sua elezione. Ospiti del dibattito sono stati Fabio Mengali (autore del libro “Di cosa parliamo quando parliamo di Trump”, edito da Villaggio Maori nel 2017), Fabio Tarzia ed Emiliano Ilardi (autori di “Spazi (s)confinati” e “Un puritano alla Casa Bianca”, pubblicati da ManifestoLibri rispettivamente nel 2015 e 2017).

Secondo Fabio Tarzia l’elezione di Trump rappresenta un’anomalia solo per il fatto che per la prima volta sia stato eletto un presidente estero all’establishment politica. Per il resto Trump appartiene a quella tradizione fondativa dell’America, che si definisce puritanesimo, alla quale si sono riferiti tanti presidenti statunitensi. «Un termine che lascia perplessi di fronte ad un individuo che di morale ha ben poco» afferma Tarzia, «ma sono tanti gli aspetti che accomunano Trump a questa tradizione: la mistificazione della politica, la netta distinzione tra “bene” e “male”, la categorizzazione del nemico».

Sul piano politico le parole d’ordine di Trump “prima l’America” e “riportiamo a casa l’America” si traducono in azioni che non hanno ancora una linearità. Questo emerge in particolare in politica estera, perché se da un lato Trump continua a ribadire la necessità di un disimpegno militare statunitense in diverse aree del mondo, dall’altro il governo ha promesso di investire molto nell’industria bellica. Secondo Tarzia il problema principale, sul piano della lettura politica, consiste nel fatto che Trump non abbia ancora realmente svelato il nuovo spazio d’interesse e d’azione statunitense.

Il revanscismo del "maschio bianco americano" è, per Emiliano Ilardi, uno dei fenomeni che stanno dietro alla vittoria di Trump, che va letta nel lungo periodo. Il fatto di essere pienamente interno alla struttura tradizionale americana,  ha permesso a Trump di leggere bene le tensioni e le trasformzioni sociali, opponendo il politicamente corretto a paradigmi molto più semplici (l’immigrato, ciò che è o non è americano ecc), proprio perché esiste un immaginario che produce catalogazione. Continua Ilardi: «l’Americ,a anche dal punto di vista rituale, è fortemente tradizionalista: il  voto, ad esempio, si svolge da 200 anni sempre nello stesso periodo, perché alla fine del ‘700 era il periodo libero dalle esigenze del raccolto».

In un sistema politico e sociale estremamente bloccato, l’avvento di Trump ha creato non poche tensioni all’interno dello stesso sistema di potere, come dimostra il fatto che la Corte Suprema spesso interviene per bloccare la sua volontà individualistica. Ma le contraddizioni stanno emergendo in molti aspetti, tra cui quello legato ad una forte immigrazione cattolica dall’America Latina, che sta cambiando tessuto sociale e culturale americano perché rischia di scardinare il sistema dicotomico puritano. È questa la ragione, secondo Ilardi, per cui Trump ha individuato nella chiusura della frontiera messicana il punto forte del proprio programma politico. In generale, rispetto alla questione delle frontiere e dello spazio, Ileana afferma che «la nuova frontiera di Trump è la pulizia interna, e questo è forse il dato più agghiacciante delle sue politiche».

 

Fabio Mengali, che nel suo libro ha analizzato i discorsi fatti da Trump durante la sua campagna elettorale, ha evidenziato come il neo-presidente sia riuscito a fondere la tradizione puritana con una situazione politica e sociale contingente, soprattutto come reazione agli ultimi 8 anni di presidenza Obama. Un agglomerato di crisi ha permesso a Trump di rifunzionalizzare il “sogno americano”, fortificandone l’appartenenza “di sangue”. Trump non ha fatto altro che spostare il baricentro del conflitto verso il basso: «è colpa delle élites» dice Mengali, «ma anche coloro che stanno impedendo il raggiungimento del sogno americano, e quindi degli immigrati e di coloro che non appartengono al canone del maschio bianco ed eterosessuale».

Rispetto al tema del “populismo”, che spesso viene tirato in ballo quando si parla di Trump, Mengali precisa: «quando si usa il concetto di populismo bisogna essere cauti, perché nella stampa mainstream il populismo è una calamita, identifica qualsiasi cosa vada contro lo status quo. Sicuramente Trump ha usato degli strumenti linguistici e dei concetti politici che hanno un retroterra di matrice xenofoba e neo fondamentalista, ma ogni tipo di populismo comunque agisce sempre grazie a fenomeni locali». Con Trump, dunque, ci troviamo di fronte ad un etno-populismo che ha fatto esplodere diverse contraddizioni insite nella società americana, come dimostrato dalle diverse manifestazioni, organizzate principalmente, da donne e migranti contro i provvedimenti del neo-presidente, ma soprattutto contro il suo portato ideologico.