Autoproduzioni

Contaminazioni hip hop

1 / 10 / 2009

Il suo lavoro solista uscirà a fine anno, nel frattempo gira l'Italia con un nuovo progetto assieme a Dj Gruff. Incontriamo Bonnot, musicista e producer degli Assalti Frontali. Tra un progetto e l'altro sfidando la crisi del mercato discografico.

Uscirà a fine anno, ma già a giugno ne abbiamo avuto un assaggio con il singolo “Uragano” dove cantavano Nitto dei Linea 77 e Jake La Furia dei Club Dogo. Stiamo parlando di “Intergalactic Arena” progetto solista di Walter Buonanno aka Bonnot, giovane musicista, compositore e producer che conosciamo come creatore di “beat” per gli Assalti Frontali. Un album che mette insieme un pezzo della musica underground italiana. Militant A, Dj Gruff, General Levy, Ramallah Underground, Caparezza, Sud Sound System sono solo alcuni dei nomi coinvolti. Un lavoro variegato che affonda nell'esperienza dei centinai di concerti che Bonnot ha fatto in questi anni, sia con Assalti Frontali che con i suoi progetti sperimentali. Un album che parla della comunità e di come questa diventi sempre più importante per gli artisti in un momento in cui in Italia la cultura viene demolita a suon di tagli. Un lavoro autoprodotto che parla di indipendenza dentro un mercato discografico che annega nella crisi del settore. Abbiamo incontrato il suo autore, con cui abbiamo parlato di progetti passati e futuri. E di come si può reagire agli attacchi alla cultura, partendo dagli artisti e dai centri sociali.


A fine anno uscirà “Intergalattic Arena” il tuo progetto solista. Come è nato?
E' un'idea cresciuta negli anni durante le mie collaborazioni con gli artisti con cui ho lavorato. Pensando all'esperienza fatta con gli Assalti Frontali ho voluto sperimentare qualcosa di diverso dalla mia routine di produttore hip hop e mettere a frutto anche il mio lavoro sul jazz e sulla musica sperimentale. Così ho pensato a un album molto eterogeneo che contenesse diversi ospiti e mi permettesse di spaziare nei vari generi: dal reggae all'hip hop, ma anche la drum'n' bass e l'elettronica, mescolati a qualcosa di acustico.
I nome coinvolti spaziano infatti tra la musica italiana e non solo. Da Militant A a Caparezza, da General Levy a Nitto (Linea 77), passando da Dj Gruff fino ai Sud Sound System. Come hai lavorato con artisti così diversi?
Le collaborazioni nascono dall'amicizia e dalla stima che provo verso gli artisti. C'è una condivisione di un percorso artistico e umano. A volte sono rapporti consolidati nel tempo altre volte molto più recenti. Ad esempio con Caparezza sono quasi dieci anni che ci conosciamo, mi ha visto crescere nelle varie formazioni e  band di cui ho fatto parte. Al contrario con i Ramallah Underground ci siamo conosciuti e "presi" nell'ultimo anno. Altri sono grandi artisti con cui lavoro quotidianamente come Tino Tracanna, sassofonista jazz con cui sto realizzando un disco che vedrà ospite, tra gli altri, anche Paolo Fresu.
Come hai lavorato sui singoli brani?
In generale ho cercato di immaginare quello che avrei voluto e potuto tirare fuori da ogni artista, valorizzandoli come secondo me andava fatto. Altre volte invece è capitato che avessi in mente una bella musica, qualcosa che mi piaceva e in cui credevo e mi sono detto: “questa funziona e sarebbe bello farla cantare a lui”. Ogni pezzo ha un po' la sua storia.
La cosa che colpisce ascoltando le tue basi è che non sono mai scontate. Nel senso che non sono prettamente hip hop, ma ci trovi del jazz, del funky. Come sei arrivato a questo stile?
E' stato molto importante per me trovare un mio stile. Devo dire che in questo Militant A ha avuto un ruolo fondamentale. Ha creduto in me anche quando il mio lavoro non era supportato da una bravura tecnica, che sto cominciando col tempo ad acquisire. E' stato importante avere una persona come lui che già dalla prima nota ti dice: “ok questo può diventare qualcosa...”, quando ancora non c'è niente, solo un'idea. Questo mi ha dato lo stimolo per cercare il mio stile e di mantenerlo, cercando cose che avevo trovato nel jazz, nella musica classica contemporanea e nel crossover (i Sovversione, la mia prima storica band), che poi è stato il genere che ho suonato per tanti anni, passando anche dallo ska degli Arpioni,  con cui ho fatto un tour di un anno e mezzo che mi ha segnato moltissimo.
“Intergalactic Arena” sarà un autoproduzione. Quello che colpisce è che hai pensato a un lavoro che nasce dalla comunità che hai costruito in questi anni.
Sì. Ho cercato di tenere altissima la qualità anche se ciò che viene dall'underground solitamente risente del fatto di non avere risorse economiche adeguate. Sto cercando di autoprodurre questo
lavoro con la mia etichetta  (Bonnot Music), investendo quello che mi è tornato dagli anni di tour con Assalti, con Gruff e tutto quello che sto facendo quasi sempre nei circuiti underground.
Realizzare un lavoro fatto come si deve è anche un modo per ringraziare chi mi ha sempre sostenuto.
In questo tuo modo di lavorare quanto è stata importante l'esperienza che hai con gli Assalti Frontali?
Assalti sono stati tutto. Nel senso che è partito tutto da lì. Io suonavo e componevo già da diversi anni però è con loro che ho iniziato a non essere più un musicista e compositore, ma a crescere come produttore. E' nato con loro anche l'amore per l'hip hop, perché io prima lo ascoltavo pochissimo. Suonavo tanti altri generi e come gruppi rap ascoltavo solo Assalti, che era un po' il mio gruppo di riferimento. Per me entrare a farne parte è stato fondamentale per tantissimi motivi.
Sarà stata anche una soddisfazione personale...
Per l'umore soprattutto: una soddisfazione enorme. Non solo entrare a far parte del tuo gruppo preferito ma riuscire anche a influire artisticamente su quel progetto. Alzarsi la mattina con questo stimolo mi ha dato una forza notevole e una prospettiva nuova, rispetto alle mie capacità, ma soprattutto rispetto alla possibilità di conciliare la militanza politica e l'aspetto umano al lavoro di musicista. Questa è stata la mia base, poi mi sono fatto conoscere principalmente tramite i tour - più di trecento date in ormai cinque anni insieme - e due dischi. Tutto questo mi ha aiutato ad avere contatti, ad avere visibilità e a crescere. Se penso alla possibilità di andare in studio a Casasonica
ad esempio o ai viaggi in Sud Africa e in Olanda, sono state esperienze dove ho imparato un lavoro, come non lo si può imparare da nessun altra parte.
Adesso stai portando in giro Benopolismi, con Dj Gruff. Ce ne vuoi parlare?
E' un termine coniato da Gruff, che fa riferimento al senso di comunità di cui parlavamo prima, con uno spirito completamente positivo. Molti artisti hanno perso la positività delle relazioni. E'
un progetto nato spontaneamente nel tempo. Insieme abbiamo fatto molte collaborazioni, prima nel suo studio e qualche volta dal vivo. L'anno scorso abbiamo intensificato le esibizioni live trovando la formula giusta da proporre. E' piaciuta talmente tanto che tutti ce lo richiedevano così abbiamo pensato di trovare un nome, un'idea per completare il progetto.
E cosa ci avete messo dentro?

Prevalentemente un misto tra hip hop e drum'n'bass. C'è tanta musica elettronica (qui il mio apporto) con l'inserimento di suoni e strumenti particolari, come il mandolino o il contrabbasso, suonando tutto live:  campionatori, drum machine, tastiere ecc... Quasi tutta la parte hip hop arriva da Gruff con gli scratch e le sue canzoni. Lui canta con le sue basi e io ci suono sopra, arrangiandole dal vivo. Contaminazione e interazione insomma.
Negli ultimi anni ti sei affacciato in Europa come produttore. Che
differenze hai trovato rispetto all'Italia e che possibilità ci sono
per un giovane producer di lavorare fuori dai confini?

Il mio approccio con l'Europa è avvenuto con Alkemist Fanatix Europe un'etichetta discografica che mi ha chiamato come produttore artistico per alcuni loro gruppi, dopo aver ascoltato i miei lavori in ambito hip-hop, anche se in realtà l'etichetta si concentra di più su crossover e metal.  E' stata una fortuna legata al fatto che il fondatore Carlo è italiano. Altre esperienze le ho avute sempre tramite Assalti parlo ad esempio dell'esperienza in Olanda legata al progetto di prevenzione all'HIV in Sud-Africa, dove pure siamo stati per promuovere progetti umanitari.  Tutte opportunità che sono riuscito a cogliere, ma che sono state abbastanza casuali. Quindi per rispondere alla tua domanda: la situazione non è positiva per poter lavorare all'estero dall'Italia. Le opportunità non sono molte,
bisogna prendere al volo quelle che capitano, se capitano. E' un peccato perché l'Italia è piena di ottimi produttori con talento e una cultura molto alta, che andrebbero valorizzati.
Come ti sei trovato a lavorare fuori dall'Italia?
Mi sono trovato bene in particolar modo con la scena inglese, ora sto cominciando a lavorare con General Levy e la cosa ha già avuto degli ottimi risvolti, stiamo per preparare un Ep, se non addirittura un album insieme. Ho avuto modo di vedere come l'aria che si respira fuori dall'Italia sia
diversa. C'è molto più entusiasmo e voglia di scoprire qualcosa di nuovo.  Qui si fa fatica, perché non ci sono più investimenti. Ma questo è ormai un problema diffuso in tutto il mondo della cultura in Italia: vale per il teatro, vale per la musica, per l'arte e purtroppo arriva fino alla scuola e alla ricerca. ...E' veramente difficile avere una visione positiva.
La pratica dell'autoproduzione e dell'indipendenza artistica che valore possono avere rispetto alla situazione che stiamo vivendo?
L'autoproduzione è ancora una forma modernissima di porsi nei confronti del mercato, anzi lo è sempre di più, perchè ora vediamo le majors allo sbando, che non hanno più soldi, non investono più. Detto questo è difficile, perché un tempo l'autoproduzione la si sosteneva con molti più concerti e iniziative: situazioni che adesso sono difficili da creare. Sta cambiando molto tutto quello che ha a che fare con il circuito underground italiano. Se prima si viveva sulla strada, facendo tantissime date adesso capisco anche amici o allievi che mi dicono: “io voglio autoprodurmi ma dove trovo i soldi?”. Quindi la situazione è complessa, anche se è una via che consiglio a tutti quelli che
vogliono fare musica. Oggi più di ieri non ha senso farsi rubare soldi da gente che non ha il coraggio di fare investimenti e vuole avere solo guadagni senza rischi. Le majors ora come ora si limitano a prendere e "spremere" realtà interessanti dell'underground che stanno per esplodere. Questo, e se ne è già parlato per decenni, non vuol dire che non bisogna mai avere a che fare con un'etichetta (più o meno famosa) ma semplicemente essere sicuri di avere un ottimo potere contrattuale tale da ricavarne vantaggi e allo stesso tempo di mantenere una certa indipendenza artistica. Credo che la sfida per gli artisti di oggi sia inventarsi un modo per autoprodursi e per alimentare questa forma di realizzazione artistica.
In tutto questo che ruolo possono avere gli spazi sociali?

Direi che sono fondamentali. Assalti Frontali, assieme a molte altre realtà, ne è un esempio: dentro gli spazi sociali si è cambiata la storia musicale e artistica dell'Italia. Tutto questo è stato possibile grazie ai centri sociali che sono luoghi indispensabili per proporre una cultura dal basso, libera. Credo che sia necessario trovare dei luoghi in cui la cultura venga prodotta e cullata, perché siamo di fronte a un attacco forte: mai come oggi la cultura viene maltrattata e abbandonata dalle istituzioni. I centri possono essere e rappresentano, forse mai come oggi, un punto di riferimento per molte forme d'arte che non troverebbero mai spazio altrove.  Questo rappresenta una via d'uscita dalla situazione in cui ci troviamo. E bisogna tener presente che dentro questa crisi si aprono spazi nuovi: girando l'Italia sento che le persone sono portate a farsi domande ed autorganizzarsi cercando delle risposte nuove. Perché la cultura non la puoi ammazzare, non bastano i tagli, non bastano le chiusure degli spazi, è produzione viva e non si può arrestare.

Vai al MySpace di Bonnot

Intervista realizzata da Radio Kairos Bologna

Presentazione di Intergalatctic Arena su Radio Kaiors

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Il video di Uragano, tratto da Intergalattic Arena