“Corpi e politica: genere, razza e sessualità” a Sherwood 2016

28 / 6 / 2016

Nel dibattito “Corpi e politica: genere, razza e sessualità”, tenutosi lunedì 27 giugno nel second stage di Sherwood, si è parlato di sessismo e razzismo, sistemi di oppressione diversi ma interconnessi, per mettere a critica la posizione del soggetto egemonico, bianco, maschio ed eterosessuale, a discapito di chiunque non viene rappresentato da tale norma. 

E‘ necessario fare un‘analisi intersezionale perché per poter essere incisivi c'è bisogno di considerare razza, sessualità e genere assieme.  Il razzismo, il sessismo e l’omofobia, infatti, sono sistemi di oppressione, subordinazione ed esclusione che si intersecano l’uno con l’altro, articolando specifiche forme di discriminazione che colpiscono in modo differente i diversi gruppi ‚minoritari‘.

Tatiana Petrovich Njegosh (Università di Macerata, inteRGRace) introduce la categoria moderna di razza, che, per come la intendiamo oggi, è nata dall'Illuminismo. La genetica contemporanea dice che non esiste differenza di razza tra esseri umani e che le differenze fenotipiche dipendono dall'interazione tra espressione genica, fattori ambientali e casualità. Ma secondo l'Illuminismo questa differenza fenotipica era una differenza reale e da prendere in considerazione come tale. «Nell'Illuminismo, e in tutto il pensiero positivista, differenze come grandi labbra o grandi natiche del corpo femminile nero venivano utilizzate quali prove/come prova  dell'inferiorità razziale».

La costruzione dell'altro è strettamente legata alla costruzione del sé: il maschio, bianco, eterosessuale rappresenta un modello normativo che determina integrazione o esclusioni che ci colpiscono tutti e tutte. «Chi accede all'integrazione, non si rende conto della propria posizione privilegiata in quanto bianco, o in quanto maschio. Non vediamo che la discriminazione dell'altro è legata al nostro privilegio». Il problema sta proprio nello spostare il nostro punto di vista sull'altro/a e capire come il nostro privilegio sia legato al «non-avere» degli altri. Quando si parla di costruzione visuale dell'altro/a si intende che «quando vediamo la realtà  non lo facciamo in maniera neutra, ma già la interpretiamo utilizzando una sorta di ‚senso comune‘ che ci definisce e definisce l'altro».

La categoria di razza, la cui scientificità oggi i genetisti smentiscono, ha avuto forza scientifica: quel tipo di razzismo è stato scienza per duecento anni e ha avuto forza anche nelle discipline umanistiche. Questo ha contribuito a formare una «norma mitica invisibile, una sorta di bianchezza fuori campo». Questa bianchezza è anch’essa una costruzione: tra fine Ottocento ed inizio Novecento gli anglosassoni consideravano infatti gli italiani gente dal sangue anche africano. Era questa l'identità razziale italiana prima di essere sbiancata dal fascismo.

Dal punto di vista biologico, quindi, la razza non esiste, ma nel senso comune non possiamo dire di esserci pienamente decolonizzati o derazzistizzati. Esiste infatti un razzismo istituzionale, derivante principalmente dal fatto che non c’è stato, in Italia, un distanziamento pubblico e collettivo rispetto al razzismo anti-nero. Tutto questo si riflette ad esempio nella legge sulla cittadinanza, che tuttora si attiene al principio dello ius sanguinis.

Per Vincenza Perilli (inteRGRace--> gruppo interuniversitario che si occupa di razza e razzismo) il concetto di genere è complesso e problematico: «oggi la parola genere è usata dappertutto nel linguaggio comune; spesso si parla di genere come se fosse un sinonimo di donna o addirittura di sesso». Ma il termine genere nasce in ambito femminista per opporsi a una lettura biologizzante dell’essere donna. In Italia il termine genere entra a far parte del lessico politico negli anni Ottanta del Novecento, grazie al saggio di Joan W. Scott "Il Genere, un'utile categoria di analisi storica“. L’uso del termine ‚genere‘ ne mette in rilievo il carattere di costrutto sociale, così come accade per la razza e altre categorie.

Nelle lotte femministe, si è creata una condizione paradossale: da una parte le donne dovevano rifiutare questa differenza di sesso che tutto giustificava, ma al contempo dovevano portare avanti questa lotta in nome delle donne, dando quindi un primato alla dimensione stessa di genere. È proprio quindi contro questo aspetto che negli anni '70 le femministe lesbiche afroamericane hanno contestato questa visione monolitica della donna, che di fatto rispondeva alle esigenze della donna bianca, eterosessuale, cristiana, borghese. Le battaglie  portate avanti da questo "femminismo bianco", infatti, non prendevano in considerazione gli assi differenziali che agivano nelle vite materiali delle altre donne.

Questa relazione tra sesso e razza, e quindi tra sessismo e razzismo, non costituisce una parentela di tipo analogico. Il legame tra sesso e razza è un legame di tipo storico, costitutivo, che si è materializzato in numerose guerre imperialiste, dove «uomini combattevano per "liberare le donne"». Oppure in campagne securitarie che hanno promosso la guerra ai migranti in nome della salvaguardia delle donne bianche. I recenti fatti di Colonia, ad esempio, hanno fatto emergere questo legame all’interno della società tedesca, mettendo in secondo piano gli stupri compiuti dai tedeschi o le violenze all’interno del nucleo familiare.

 

Lo strumento dell'intersezionalità è importante, ma va maneggiato con cura, perchè da anni si assiste a un progressivo "sbiancamento" di questo concetto.

Per Giuseppe Burgio (Università di Enna ‚Kore‘ – CIRQUE cirque.unipi.it) bisogna riprendere il legame tra sessismo e razzismo attraverso la lente della sessualità. Il termine ‚nazione‘,che deriva dal latino nascor, ‟nascere“,  indica già qualcosa di sessuato. Il legame diventa ancor più forte perché «per fare una nazione bisogna controllare la sessualità delle donne: attraverso di essa si produce e si mantiene una identità nazionale».

La costruzione delle nazioni, così come quella del colonialismo, è stata un’impresa maschile. Per guardare al legame tra razzismo, sessismo e colonialismo, si pensi ad esempio alla prostituzione delle nigeriane, che evocano nei clienti il ricordo di un colonialismo con il quale non si sono mai fatti i conti. Un discorso analogo va fatto per gli uomini omosessuali che possono strutturare forme di dominio e sfruttamento verso corpi razzializzati: dalla prostituzione al turismo sessuale fino all‘omonazionalismo.

C'è sempre una razzializzazione del corpo: i legami tra sessismo, razzismo e sessualità sono complessi e dal punto di vista politico non è possibile affrontarli separatamente. «Non può esistere antisessismo senza antirazzismo, e viceversa: le differenze vanno tenute tutte assieme, altrimenti non se ne rispetta neanche una».

Rispetto alla questione delle identità, posta dai moderatori del dibattito, Petrovich ha insistito sul fatto che le differenze vanno considerate sia nella costruzione dell'altro, ma anche in quella del sé. «Rinunciare del tutto alle identità può essere pericoloso, ma bisogna decostruire l'idea che “l'io“ sia un monolite immutabile».

Continuare a parlare di razza è importante perché se da una parte questa è un segno imposto, dall‘altra è necessario trasformarla in positivo, com‘è successo ad esempio nella definizione di afroamericano. La razza è un costrutto sociale e culturale, ma ha un effetto di realtà materiale e simbolica che determina la vita e la morte dei soggetti.

Per Burgio è necessario superare il concetto di identità, anche legato al concetto di nazione. «Bisogna decolonizzare la nostra mente, desessistizzarla». La nazione italiana è figlia del colonialismo, che ha dato vita a forme di colonialismo anche interno (nord/sud) molto rilevanti nella nostra storia.

Per Perilli quelle egemoni e quelle subalterne sono identità diverse. Per poter intersecare lotte di differenti tipi è necessario creare un'alleanza tra istanze, (bi)sogni,e desideri molteplici. Alleanza e contaminazione vanno viste come strategie per il cambiamento.