"Crisi climatica, stagnazione secolare e governance neoliberale" a Sherwood 2016

23 / 6 / 2016

Cosa lega tra loro crisi ecologica e crisi economica? Si tratta di due argomenti che tengono insieme tanti fattori e che se presi singolarmente si riferiscono ad approcci, schemi mentali e culturali diversi. Per affrontare al meglio questo intreccio è necessario sciogliere una contraddizione che appartiene alla cultura politica di molti di noi. Gran parte del pensiero marxista tradizionale ha infatti considerato le questioni ambientali come un semplice surrogato del rapporto capitale-lavoro. Negli ultimi anni, proprio con l’approfondirsi di una crisi che ha assunto un carattere sempre più sistemico, si evidenzia un legame sempre più stretto tra modello di sviluppo capitalistico e crisi climatica. Diventa organico un rapporto di continuità che si determina, oggi più che mai, tra la produzione biopolitica e gli elementi fisiologici di tutti gli organismi viventi. La produzione di valore contemporanea si afferma dunque nella piena sussunzione, da parte del capitale, della vita e della natura, con la conseguente espansione di dispositivi come la finanziarizzazione dei beni comuni, i carbon credits, le speculazioni su derivati metereologici, i climate futures.

Da un altro punto di vista, come scrive Stefania Barca nel contributo al dibattito intitolato “Per un’ecologia del comune” l’ambientalismo come oggi lo conosciamo, cioè nella sua accezione piú comune, è stato fortemente caratterizzato da mobilitazioni, valori, e linguaggi delle classi medie. La crisi climatica globale mostra oggi che questa forma dominante di ambientalismo ha raggiunto i limiti delle sue possibilitá politiche, essendo stata in larga parte cooptata in schemi di capitalismo verde (da Rio 92 a Rio 2012) che non possono evidentemente scalfire le cause strutturali della crisi. Il fallimento di Cop21 dimostra l’impossibilità, da parte delle élite, di individuare una prospettiva di cambiamento che metta in discussione, anche in minima parte, i paradigmi dell’attuale modello di sviluppo. La ricerca di un capitalismo più sostenibile si sta rivelando una delle più grandi bufale della contemporaneità, perché è proprio nel continuo aumento della propria capacità di estrarre valore dall’ambiente e dalla vita che il capitale si riproduce e si rafforza.

Il carattere sistemico della crisi, il suo divenire stagnazione secolare, ha radicalmente cambiato gli assetti sociali e politici a livello globale. Abbiamo decine di rapporti e pubblicazioni che ci parlano dell’aumento delle disuguaglianze sociali nel pianeta. Il carattere estrattivista e finanziario del capitalismo contemporanea ha la capacità di drenare completamente risorse e liquidità monetaria, di non farle sgocciola re e di conseguenza di concentrare sempre più la ricchezza nelle mani di pochi. Allo stesso tempo la gestione politica di questa crisi ha determinato un nuovo stile del comando, che fa saltare qualsiasi forma di mediazione ed impone in maniera diretta le decisioni che sono più consone a mantenere in vita questa tipologia di rapporti di forza.

Monica Di Sisto apre il proprio intervento accennando alla necessità sempre più pressante di «sfilare il malloppo». Per poterlo fare, bisogna capire chi lo possiede.

Viene citata l’esperienza dell’olio Bertolli, azienda toscana di San Casciano in Val di Pesa che ha optato  per la produzione di olio spagnolo con il proprio marchio. Questo passaggio ha consentito all’azienda di abbattere i costi ed aumentare i profitti, anche grazie alla quotazione in borsa. Dopo poco tempo l’operazione riscontra diversi limiti: marchio e valore di borsa scendono, crollano le vendite e l’azienda è costretta a fare numerosi licenziamenti. Questa è la parabola perfetta di ciò che è successo a economia e mercato italiano negli ultimi 30-40 anni. Il valore reale delle cose viene sostituito un valore proiettivo di marketing e di finanza. «Questo non rappresenta un'economia; un'economia fatta di valore che non si fonda sulla concretezza e la validità di ciò che sostiene, finisce per mangiare sé stessa e questo porta a danneggiare famiglie e rovinare e sfruttare territori». Secondo Monica Di Sisto l'economia è un pezzo della nostra vita quotidiana (etimologicamente “scienza della casa”) e se viene affidata solamente agli “esperti” il rischio è di trasformarla solo in uno strumento delle élite.

A livello macro-economico si stanno creando dei grandi blocchi (Cina, India, America Latina) le cui interazioni commerciali non sono più legate alle regole tradizionali del mercato internazionale. La governance globale del commercio è bloccata dal problema della povertà e la soluzione non viene cercata in un dialogo politico tra diversi attori, ma in una forzatura della governance stessa: Europa e USA impongono regole sul consumo, sulla produzione, sulla distribuzione e sulla finanza attraverso un trattato che crea un’area di libero scambio (TTIP) destinata a modificare qualsiasi regola precedente, in termini di mercato ed equilibri sociali. Questa operazione tuttavia è stata capita, scoperta ed ha portato ai cittadini ad organizzarsi, a creare lotte, per mandare in aria il "progetto", come accaduto a Roma il 7 maggio, quando sono scese in piazza 40 mila persone. «E’  necessario sedersi insieme e costruire percorsi in grado di bloccare il trattato. E’ necessità darci una speranza e crederci, per poter dare finalmente un calcio nel sedere ai potenti».

Augusto De Sanctis  viene da una lotta vincente, quella di Ombrina, dove mobilitazione e piazze hanno fermato un progetto colossale di devastazione. Proprio questa vittoria fa maturare l’idea che l’unica grande opera è il risanamento ambientale. Ed è stato proprio lo Sblocca Italia di Renzi a far fatto capire che era necessaria l'unione nelle lotte.

Nel nostro Paese il rapporto tra grandi interessi finanziari e devastazioni ambientali sta emergendo in maniera sempre più nitida, soprattutto perché l’Italia si appresta a diventare il principale hub del gas, ovvero una piattaforma logisitca deglii idrocarburi gasosi per l'intera Europa. Il centro di questo grosso progetto intercontinentale è proprio in pianura padana, che diventerà un centro di stoccaggio del gas. L’opera è ad altissimo rischio, perchè Italia è uno dei Paesi europei con il più alto rischio sismico ed i gasdotti passerebbero proprio nelle zone più a rischio. L’operazione è stata già autorizzata, visto che in alcune zone, come ad esempio in provincia di Cremona, stanno già realizzando strutture per lo stoccaggio del gas importato dall’Asia

Il progetto si inserisce in un panorama di devastazioni ed inquinamento già molto problematico. Tante città del Nord-Italia, e principalmente Trieste (con la Ferriera), Brescia, Mantova, Trento sono tra i luoghi più inquinati al mondo, con alcuni indici migliaia di volte superiori alla norma.

De Sanctis, continuando a parlare della situazione italiana, ha insistito sullo Sblocca Italia che, tra le altre cose, fa diventare strategico l’incenerimento all’interno dello smaltimento dei rifiuti. Verranno infatti costruiti 14 nuovi inceneritori, che concentrano il flusso di rifiuti in poche mani e diventano siti di interesse strategico nazionale. Questo comporta la militarizzazione dei siti, come già accaduto ad Acerra . In tutto questo emergono gli interessi di una governance affaristica, come dimostrato dalla nomina di Gaia Checcucci a capo di tutte le bonifiche d’Italia e del servizio idrico integrato. Già braccio destro di Matteoli (Alleanza Nazionale) agli inizi degli anni Novanta, successivamente intreccia la propria carriera dirigenziale con l’ascesa politica di Renzi, entrando nell’autorità di bacino in Toscana e nel consiglio d’amministrazione dell’impresa che gestisce il servizio idrico ad Arezzo.

L’ultimo atto, da parte del governo Renzi, di esclusione della popolazione dall’accesso alle risorse è il decreto Madia, che agisce trasformando i diritti in bisogni ed annullando la norma che vietava (grazie al referendum del 2011) la remunerazione del capitale nella bolletta sull’acqua. «Solo attraverso le mobilitazioni popolari» conclude De Sanctis «possiamo fermare il processo di devastazione in atto nel nostro Paese, che tra non molti anni costringerà tante persone a migrare, come adesso stanno facendo in Asia o in Africa».

Monica Di Sisto ha concluso il dibattito accennando alle prossime mobilitazioni della campagna STOP TTIP. La campagna è nata nel gennaio 2014, che ha scelto da subito di avere una cornice europea. Dopo diverse mobilitazioni in tante città europee, lo scorso  7 maggio anche in Itala per la prima volta sono scese in piazza 30 mila persone contro TTIP. Per poter fermare questo trattato è necessario che si mobilitino i territori, che sono l’agnello sacrificale di questo trattato, visto che il  contenuto locale dell’economia viene completamente spazzato via.

Il prossimo round negoziale si terrà Bruxelles a metà luglio e i movimenti sociali hanno lanciato una scadenza il 13 luglio. Altri appuntamenti ci saranno in autunno, dove probabilmente ci sarà una grande manifestazione europea di opposizione al TTIP. Al di là dei grandi momenti di mobilitazione c’è bisogno che siano le comunità a riprendere direttamente in mano la politica.

(Foto di copertina di Irene Salviato, Sherwood Foto)