Cultura indipendente…indipendenza della Cultura

Un contributo di Area Teatro

25 / 8 / 2021

Riceviamo e pubblichiamo un documento scritto da Area Teatro che si interroga su pratiche e valori che dovrebbero ispirare un concetto reale e non contraddittorio di cultura indipendente, in particolare nell’ambito teatrale.

A fine luglio si è svolto il g20 sulla cultura, spesso negli ultimi anni si è lasciato campo libero a chi ha un’idea di cultura non dal basso, non partecipata, non radicata; si parla troppo poco di cultura e spesso le questioni reali non vengono centrate. Siamo stati all’assemblea nazionale del 20 luglio a Genova in occasione del ventennale e non abbiamo sentito interventi in merito, forse perché non siamo riusciti a seguire tutto, noi non siamo intervenuti perché la scaletta era abbastanza corposa, ma abbiamo pensato di condividere questo documento per suscitare interesse e stimolare delle azioni o dibattiti, concentratoci in particolar modo nel nostro settore, quello del teatro.

Il mondo del teatro durante la sindemia è stato tra i più toccati, ma già presentava grandi difficoltà: spesso stenta ad essere riconosciuto come un settore d’importanza strategica sul piano sociale di crescita di una comunità, viene visto come promozione del turismo o intrattenimento. Il sistema teatrale che si è sviluppato in questi anni ha trasmesso l’idea che si può sopravvivere solo con fondi pubblici, quasi in regime di assistenzialismo. Questo avviene perché il pubblico si restringe, si chiude in corti circuiti, non si apre alle masse. Un sistema in cui le maestranze, le più colpite dalla sindemia, continuano a vivere e lavorare in condizioni di precariato e a basso reddito in proporzione al lavoro svolto. Nel frattempo molti registi a e attori ricevono compensi sproporzionati alle stesse maestranze. Produzioni di Biennali, Teatri Stabili, Teatri nazionali e Fondazioni assorbono quasi per intero i fondi disponibili.

Una parentesi va aperta per questi due anni: con il blocco delle attività queste strutture hanno continuato a ricevere fondi a cui sono abituati (FUS) e anche quelli speciali senza avere speso quasi nulla, raggiungendo parità di bilancio mai viste. In questi ultimi 15 anni il teatro ha sviluppato in modo esasperante la pratica dello scambio: “tu mi ospiti nel tuo festival o rassegna e io ricambio”. Questo ha creato un sistema clientelare chiuso tra eventi, festival e rassegne, un vero corto circuito sostenuto da direttori artistici, organizzatori e critici teatrali.

Ma se il sistema a livello di proposte artistiche è chiuso lo è anche nel coinvolgimento del pubblico, troppo spesso tali rassegne e festival hanno come fruitori un pubblico autoctono perché chi va in scena usa un linguaggio troppo ricercato o sofisticato che parla più ai critici che al pubblico. In questo modo si allontana il teatro dalla diffusione popolare, con la conseguenza di avere un teatro sempre meno aperto al pubblico ma che rafforza il potere di questa piccola élite che si difende additando il pubblico di essere ignorante, troppo assuefatto alla televisione, senza sforzarsi di porre le condizioni per attirarlo e comunicare con lui.

Molti teatranti dicono pure che non sentono l’esigenza della comunicazione nel linguaggio teatrale, cosa che riteniamo sia un ossimoro. La conseguenza è che i fondi spesi non sono direttamente proporzionali al pubblico che viene coinvolto, sempre di meno, sempre più esclusivo. Poi però bisogna fare cassa e il teatro si concede ad operazioni POP (non popolari) di tipo commerciale di basso livello verso il grande pubblico attirandolo con i personaggi delle fiction in cartellone, non per la qualità dei loro spettacoli (troppi legati a linguaggi televisivi) ma perché i loro volti sono famosi; questo non è un adattarsi alle esigenze ma cedere a chi ha voluto negli ultimi 30 anni ricondurre tutto alla tv per motivi personali. Quindi il pubblico non va a teatro per il teatro ma per vedere dal vivo il vip, decretando definitivamente la morte dell’evento teatrale. Così il teatro diventa o per pochi o per chi non interessa il teatro ma vede in esso un prolungamento dello schermo televisivo. Una delle cose peggiori di cui il teatro è vittima è il lavoro che le multinazionali della morte fanno nei confronti della cultura.

In un progetto più ampio di Green Washing va collegata la strategia del Cultural Washing: multinazionali che finanziano strutture teatrali, parliamo di Fondazioni, Stabili, Teatri impegnati ed altro. Questo sfugge agli addetti ai lavori e capita cosi di trovarsi spettacoli prodotti grazie ai fondi dei mercanti di morte, in contesti impegnati sul fronte dei diritti. È capitato di vedere per esempio anche a Genova, in occasione del ventennale, una produzione teatrale che ha come “base” un teatro finanziato dall’ENI. A cosa serve andare a manifestare davanti le centrali, gli stabilimenti, le zone industriali se poi loro escono dal portone ed entrano dalla finestra?

In un momento storico come questo le multinazionali provano a controllare più di prima la cultura, non è questa la compensazione che può accontentare. Immaginiamo se agli incontri dei mercati contadini, Bio a km0 arrivasse uno spettacolo finanziato dalla Monsanto o Mc Donald. Purtroppo anche internamente non si fa attenzione a queste cose. Serve più attenzione, serve sostenere il teatro indipendente e popolare che non selezioni il pubblico ma che miri ad arrivare a più fasce possibili della popolazione senza perdere la dignità di linguaggio dal vivo; serve perseguire le occupazioni degli spazi teatrali, ma non si può poi farle sottoscrivere a chi di giorno partecipa al saccheggio, a chi mantiene il sistema descritto prima e la sera con una birra al centro sociale o con il sostegno ad un’occupazione si lava la coscienza.

Crediamo che se da Genova si debba ripartire, bisogna farlo anche nel campo dell’arte individuando strutture e singoli che utilizzano i fondi delle multinazionali dell’estrattivismo e della cultura; il teatro e anche una certa cultura politica non possono esseri legati a Netflix e non possono starci dentro. Bisogna ripensare un sistema teatrale dal basso guardando con occhio critico di chi in virtù di legami politici attinge ai fondi ed attivare forme di controllo etiche ed eque sui finanziamenti pubblici. Altrimenti consegniamo la cultura a chi sui territori non si fa scrupoli ad avere rapporti politici con chiunque, a chi ha una visione della storia a uso e consumo di critici spesso legati ad ambienti revisionisti, a chi i grandi temi li insegue ma non li conosce creando confusione e retorica.

La foto di copertina è stata scattata al Parco S. Angelo di Perugia, prima dello spettacolo "20 ANNI - Cronache di inizio millennio dal G8 di Geova", organizzato all'interno della rassegna T.Urb.Azioni - Azioni Urbane con il Turbo.