da Lucilleidi. Il blog di Carla Vitantonio

Della mia breve primavera tunisina

12 / 4 / 2011

Tunisi, sette aprile duemileundici, quasi otto

Infine con due ore di ritardo siamo arrivate e subito c’è attorno a noi quest’architettura da paesaggio coloniale, l’immenso bianco vuoto aeroporto e le persone che ti insegnano a dire grazie. Un gruppo di berberi aspetta degli ospiti con uno striscione spiegato davanti all’ingresso, tutti vestiti a modo tutti emozionati per quest’incontro. Mentre cambiamo i nostri pezzi di carta europei in dinari sentiamo il festoso saluto di benvenuto berbero in lontananza. Devono essere arrivati! Ma già siamo attorniate da finti e veri tassisti che vorrebbero scortarci in città. Il Vecio ci ha dato indicazioni precise e noi le seguiamo perbenino. La città è illuminatissima e poco caotica, nonostante il vuoto di potere è ben più pulita di Londra il giorno prima del ritiro rifiuti o, per cadere in un luogo comune, di Napoli. In albergo non facciamo in tempo a gioire dell’arrivo che già siamo trascinate in un interminabile balletto di presentazioni e poi via a cena che pare sia tardissimo e si aspettava solo noi.

Il Vecio ci aggiorna sulla situazione in maniera entusiasta incalzante ma anche un po’ provata e stanca. Ci propone interpretazioni ci racconta episodi di questi giorni che per lui devono essere stati davvero incredibili. Ma io sono ormai stremata e la testa mi rimbomba come quando da piccola ti addormenti in mezzo ai grandi. Neva e Sara sembrano entusiaste presentissime mi sembra che parlino la stessa lingua del Vecio invece io faccio un po’ fatica a starci dentro e ho sempre dei pensieri laterali che mi deviano e mi riempiono di dubbi. In ogni modo ormai sono qui e la situazione sembra proprio essere arrivata al suo punto cruciale, domani cominciamo gli incontri io me ne sto molto da parte che in fin dei conti sono solo un’attrice e non so se sono abbastanza upgraded per fare l’attivista in trasferta ma ci provo. Ora mi si chiudono gli occhi addio.

Ottaprile duemileundici ore sediciettrenta

Stamane Medina. La città in alcuni punti è placida come se fosse un otto aprile qualsiasi. Poi di colpo filo spinato, esercito, ma a pochi metri boutiques. Le commesse autogestiscono la pulizia dei marciapiedi. Mi sembra di capire che esercito e polizia siano visti in maniera molto diversa. Le persone si fidano dell’esercito meno invece della polizia. Mi piace girare per la medina coi compagni di Parma che pazientemente aspettano le mie contrattazioni per un cofanetto di kajal. In cambio mi improvviso interprete per i loro panini ripieni d’agnello e scopro che il mio francese non è poi malemalemale. Profumi e colori. Nella piazza in cima alla Kasba un gruppo di ragazzini gioca a pallone a fianco di una grossa scritta fatta alcune settimane fa: yes we can, yes we do.

Una zona della città è blindata, quella in cui ci sono stati i maggiori scontri.
Adesso finalmente siamo qui nella sede principale dell’UGTT per una riunione che ci fa conoscere i protagonisti della rivoluzione. Almeno così dicono. Poche donne, e i sindacalisti che mi sembrano gli stessi sindacalisti dell’Europa. Mi vengono immagini della Spagna di Terra e Libertà. Si fatica a cominciare la riunione perchè ognuno vuole parlare per primo, ognuno vuole dire che la rivoluzione l’ha fatta lui, che è la SUA rivoluzione. Che forse da un lato è bene. Ciascuno la rivendica. Dall’altro lato penso che ci sono già tutte queste divisioni che conosco fin troppo bene e ovviamente queste sono solo mie opinioni personali e private si ormai ho capito che i miei occhi non sono adatti alle analisi politiche. Probabilmente per un’analisi politicamente più efficace su Global ci saranno interventi più significativi del mio.

Io non ci capisco niente.

Ognuno qui si è portato la sua claque ognuno ha la sua parte di applausi. Io (noi) ascoltiamo tutti. Mi sembra molto difficile. Qualcuno dice che la vera rivoluzione debba ancora cominciare. Io penso che abbia ragione. Parliamo lingue diverse. Ma il problema è forse che le lingue diverse sono dentro di noi, abbiamo occhi diversi, io non credo che noi possiamo capire. IO non capisco. Non possiamo mettere i nostri occhiali addosso a queste persone. Per questo taciamo. Ci sono molte persone da tutt’Italia qui. Io mi sento un po’ sola, mi sembra di non avere gli strumenti. Anche io, in fondo, non parlo la stessa lingua. Penso al mio ex compagno (che bel pensiero di merda in un momento così importante). Vorrei che qualcosa di veramente brutto gli accadesse davanti ai miei occhi. Rivoglio gli anni che mi ha rubato. Non voglio mai più avere una relazione, non voglio mai più fare sesso con un uomo.

Ore diciassettettrenta

Ci sono anche i marxisti leninisti! C’è qualcuno che tira fuori la causa palestinese (non perchè sono arabi, sottolinea, ma perchè è un’ingiustizia!) Io non ci capisco molto. La stanza è ottagonale.

Quello che mi colpisce però è la gioia, l’entusiasmo con cui queste persone dicono la propria opinione e pure si incazzano tra di loro. Siamo qui in un momento unico, irripetibile, cruciale. Alcuni sono molto duri con noi. Ci dicono di non dare lezioni. Altri parlano di brigate rosse senza alcuna cognizione di causa.

 Ore ventitrevventotto

E’ stata una giornata estenuante. Mentre eravamo in riunione la polizia ha caricato le persone che pregavano in piazza. Pare che qui nessuno abbia mai pregato in piazza. Questo fa pensare a come i vuoti di potere lascino spazio a chi se lo prende prima. Io sono riuscita a parlare con uno dei marxistileninisti più carismatici, uno con lo sguardo profondo e il fare del rivoluzionario. E’ un pasionario. Dice che lui morità per la libertà. Io non so se questo accadrà ma potrebbe benissimo farlo. Sinceramente i suoi discorsi mi mettono addosso molti dubbi. C’è tanta dottrina. Tanti esempi storici sradicati dal loro contesto e messi in mezzo nel suo discorso. Però è affascinante e commovente vedere tutta questa passione.

Ritorno per vie traverse onde evitare gli scontri. Cenetta tranquilla con Neva Sara e Iasci a base di agnello costato tre euri. Ma le notizie per domani non sono buone. Partiamo alla volta del campo alle 3. Saremo scortati dall’esercito. Speriamo di consegnare le nostre medicine. Non potremo dormire nei pressi del campo. Faccio riflessioni su come vengono gestite le informazioni all’interno del gruppo. Ho conosciuto un po’ di più Rapa, mi piace molto la maniera in cui legge gli eventi. Iasci racconta della biosteria di Parma. Lo ammiro e un po’ lo invidio. Io passo come una meteora e non riesco mai a stare dentro alle cose fino in fondo, o forse ci sto ma il mio modo non è alla moda, che ne so.

Ho scritto due mail brevissime, una a Francis e una a tutti gli altri. Solo per dire che sto bene. C’è quel ragazzo che avevo visto a Marghera e mi piace tanto ma lui non mi guarda mai. Questo non è rilevante tanto io non avrò mai più una relazione. Manco platonica.

 Ore noveccinquanta, nove aprile

Sulla strada.

C’è un blocco contro una fabbrica che inquina. Pare. Non si va né avanti né indietro.Non si sa se e quando passeremo. I dimostranti non sono molto felici di averci tra le palle. Ci sono alcuni che si lamentano perchè la tabella di marcia non sarà rispettata. Io penso che se volevano rispettare la tabella dovevano partire con alpitur. Ecco, questi sono i pensieri che vengono fuori dopo un tot di ore di autobus sotto il sole nel mezzo del deserto.

 Ore tredicieqquarantacinque

120 km a Ras Jdir. Un passante guarda la nostra direzione e ci fa segno con la mano che siamo matti. Abbiamo raccolto il responsabile della mezzaluna rossa che si prenderà cura delle medicine. Rapa davanti a me parla con un altro compagno di matematica pura, paradossi di Russell e rivoluzione. Attorno alla strada sabbia pini marittimi e qualche raro villaggio. Il mare è quasi a vista.

 Ore diciannoveqquattro

Abbiamo visitato i campi. C’è molto malumore nel gruppo perchè abbiamo avuto poco tempo per stare qui e capire, perchè siamo costretti a dormire a centoquaranta km da qua, perchè le persone con cui abbiamo parlato ci hanno fatto sentire delle merde. Almeno a me. Il mio piccolo mondo fatto di accumulazioni materiali che respinge e uccide risplende negli occhi di gente che dice noi non abbiamo un futuro e non sappiamo che cosa ne sarà di noi la nostra vita non è nelle nostre mani.
Sono affranta. Poi penso a quando abbiamo scaricato il nostro tir pieno di aiuti e abbiamo fatto la catena umana insieme ai medici e ai pompieri ed è stato bellissimo è stato il momento più bello di questo viaggio.

 Dieciaprile oredieci

Oggi ho fatto il primo bagno di quest’anno. Iersera siamo stati travolti da quest’atmosfera resort che ha attecchito sulla nostra stanchezza. Io comunque avrei più volentieri dormito in un luogo più sobrio e sarei tornata al campo stamane. Mi rendo conto però di come siamo in balia di una situazione che fatichiamo a leggere. Le persone in questo momento lavorano duro per ricollocarsi in questa Tunisia nuova. I poveri, comunque, troppo spesso vorrebbero essere al posto dei ricchi.

Ma ieri sera non riuscivo a staccare. I racconti dei profughi somali e l’idea che in qel momento stesso qualcuno di loro poteva essere già scappato dal campo per tornare in Libia, in Libia!!!E da lì trovare una nave per l’Italia perchè tanto tra morire al campo e morire in mare meglio morire in mare e poi amica mia tu cosa ne sai, tu sei libera tu entri esci tu hai la tua vita noi siamo africani e per questo non abbiamo diritti non abbiamo libertà. Per questo siamo stati picchiati e imprigionati in Libia io sono stato due anni senza vedere il cielo.

Ma ecco stamane i pensieri e gli scazzi di ieri sono già stati messi da parte, molti fanno il bagno ridono fanno casino io chiacchiero con quello che mi piace che ho scoperto che sa il mio nome. I compagni in mutande fanno il bagno ridono si tolgono la scorza di durezza sono immagini che un po’ mi commuovono e già un tunisino che prova a vendere una gita in dromedario mi distrae. Fra un po’ partiremo alla volta di Tunisi.

 Ore dodicieqquarantadue

Autobus del ritorno, pervaso dall’energia dei romani che parlano delle prossime vacanze. Io penso invece a tutte le vacanze trascorse con il mio ex fidanzato e mi sale una rabbia che mi si espande come una macchia scura e puzzolente dentro le viscere

 Ore quattordicievventi

Abbiamo bucato. Che dico bucato, la ruota si è polverizzata! Avevamo appena terminato una bella riunione sul bus che segnava l’inizio di una condivisione più ampia di questa esperienza così complicata. Eravamo tutti contenti, quando si è sentito il botto. Chissà a che ora arriveremo a Tunisi. Ma l’umore mi pare alto poiché in queste ultime ore ci siamo parlati molto. Adesso alcuni compagni giocano a tirare i sassi contro una scatola. Iasci esce dal bus con fare serafico, cicca in bocca e dice “immagino che abbiamo una ruota di scorta”. Potrebbe essere l’inizio di un fumetto su questo viaggio, o di uno spettacolo. Non il mio, che io proprio in questi giorni di viaggio di nuovo sto scoprendo quanto piccolo sia il mio ruolo nel movimento. Ho i piedi come due salsicce. Quello che mi piace mi parla. È simpatico. Ma questo, ripeto, ha poca importanza, visto che io non andrò mai più con un uomo. Ogni tanto mi viene in mente lui, il mio ex, e mi vengono in mente pure tutti i viaggi che mi ha rovinato. Come ho fatto? Come ho potuto stare a quelle regole? Gli ormoni fanno male. L’amore fa male. Mai più. Piuttosto divento obesa. Non mi pare un caso che tanti pensieri sull’amore mi vengano in mente proprio durante questo viaggio attraverso una terra stravolta dall’amore e dalla rabbia dei suoi abitanti.

 Ore diciottettrenta

Chissà quanto manca. All’orizzonte le luci di una raffineria che sembrano uno di quei videogames sulla fine del mondo. A un mercato ho comprato incenso e l’ho regalato a D che è sempre gentile con me e questo mi fa stare bene anche se non gliel’ho detto. Il sole tramonta e noi siamo in ritardissimo su ogni piano possibile. Una parte di me vorrebbe rimanere e partecipare a tutti gli incontri di domani. Sono invece sempre la solita outsider.

 Ore ventunetrenta

Non arriviamo mai le immagini di qusti giorni frenetici riaffiorano e non riesco a dormire. Ogni momento è buono per confrontarsi coi compagni su quello che stiamo vivendo.Non abbiamo occhi sufficiemtemente aperti per vedere bene. Questo mi sembra. Pare che tutte le radio tunisine abbiano parlato di noi oggi, mentre l’Italia ignora il fatto che ci sia qualcuno che ha voluto a ogni costo andare a vedere cosa succedeva dall’altra parte del mare. Mi torna in mente l’autobus di ritorno da Roma. Come al solito non ho trovato nessuno con cui pomiciare. Per fortuna. E però ora mi sento molto più appesantita, molto più crucciata.

 Undiciaprile duemileundici

Eccomi che parto. Sono in questo aeroporto fatto di sale ottagonali che pare un’astronave. Le ultime ore sono trascorse nella concitazione ormai solita, arrivo tardissimo e l’imposizione dell’ennesimo pasto luculliano, ma finalmente cous cous!!! peccato che fossimo così pieni da non riuscire a gustarcelo. Prima, l’ultima ora in autobus era trascorsa con Luca precario dell’università che ci illuminava su incredibili mondi tanto reali quanto sconosciuti e Giacomo che mi spiegava il principio di indeterminazione per cui sostanzialmente non puoi osservare una cosa senza incidere su essa e dunque dal punto di vista filosofico ti viene da dire che già solo per queste ventisei ore di autobus pure noi abbiamo pur minimamente inciso sulla rivoluzione.

Ma già abbiamo rinunciato alla tanto agognata riunione finale poiché arriviamo all’hotel devastati e sono già le due. Pure i saluti sono stati frettolosi. Tunisi appare gigantesca ed europea dopo un deserto che è durato infinità. Polizia ovunque e l’annuncio di una manifestazione della così chiamata maggioranza silenziosa ovvero i sostenitori di Ben Alì. Ma questa mattina sono uscita e non ce n’era traccia. I negozianti sembrano veramente affaticati da questa rivoluzione che per loro è soltanto uguale al calo del turismo e pur di vendere qualcosa fanno prezzi che a me mi fanno passare tutta la voglia di contrattare. Poi però recupero il gioco, uno si innamora e mi regala pure un profumo, un altro mi abbraccia e prova quasi a mettermi incinta con la forza del pensiero. Non che sia particolarmente discinta ma i chili in più sul culone qui sono apprezati e pure lo è la mia chioma fluente che ho lasciato sciolta poiché fa fresco, più fresco degli altri giorni. Vedo una grossa pubblicità degli assorbenti e questo mi stupisce. Accanto nella strada principale affollata di capannelli di persone che parlano concitatamente, appare la scritta THANK YOU FACEBOOK, che mi fa sorridere. Mi dispiace lasciare gli altri, che davvero sono diventati compagni e compagne in questi giorni, ma penso che nel giro di un mese grazie alla turnè li rivedrò praticamente tuti e questo mi fa sentire un po’ meno scema. Provo a fare le ultime interviste ma stamane nessuno vuole sentire parlare di rivoluzione. Mi porto la confusione e la sensazione di aver velocemente sfiorato qualche cosa che non conosco e non capisco. In questo non luogo che è l’aeroporto si può fumare nonostante i divieti e io sono stanca preoccupata e credo che avrei dovuto rimanere qui un mese e rendermi davvero utile a qualcosa. Le lampade rosse di questo caffè mi portano in altri luoghi. Non vorrei partire. Cosa ne sarà di questo paese? Bevo la prima birra di questo viaggio e non so cosa farmene di tutte queste cose che ho barattato per un po’ di contatto umano stamane in medina.

Mi sembra che quando avrò finito di scrivere questo diario allora sarà finito anche questo mio viaggio dentro la rivoluzione e mi sembra troppo presto, ma già è ora, fra centottanta minuti sarò a Malpensa e sarà tutto di nuovo un vortice di colori opachi e sgargianti a seconda degli occhi che sarò capace di avere. Grazie a G e al principio di indeterminazione ho capito che Einstein aveva sbagliato e però aveva anche ragione, ho lasciato un’impronta da qalche parte e questo mi deve bastare.

(Il tassista che mi ha condotta qua m’ha fatto una proposta di matrimonio).

 Ore ventitrè

L’importante, ormai l’ho capito, è non rimanere colle mani in mano. E infatti ho già messo su una lavatrice che gira benbenino ho dato acqua alle piantine alle rose alle spezie ho ricopiato le mie cosine ho guardato la mail ma non c’era niente d’importante poiché il mondo va avanti anche senza di me. Ma l’importante è non fermarsi mangiare una pizza agli spinaci bere una birra come piace a me sentirmi a casa nel mio bozzolo chiamare le amiche e gli amici ascoltare la mia radio preferita ovvero radio kairòs e pensare che domani già sarò tutta impegnata e non avrò poi tanto tempo per lasciare che il buco si espanda.

Poi, lo so, coi giorni passerà questa tremenda mancanza e arriveranno dolci i ricordi.

Cioè, lo spero.

Arrivate a Tunisi ci ha accolto uno stormo di rondini e io ho detto a Sara: una rondine non fa primavera, ma uno stormo forse fa la rivoluzione.