Editoria, lavoro culturale e sfruttamento: cosa ci dice il caso di Grafica Veneta

Report del talk a Sherbooks Winter Festival, con Massimo Carlotto e Luca Dall’Agnol (Adl Cobas)

3 / 2 / 2022

Sabato 30 Gennaio allo Sherbooks Winter Festival si è discusso del “caso di Grafica Veneta” con Massimo Carlotto (scrittore) e Luca Dall’Agnol (ADL Cobas) moderato da Antonio Pio Lancellotti.

Grafica Veneta Spa, famosa azienda tipografica italiana, con sede a Trebaseleghe (PD) è stata di recente al centro di una vicenda di caporalato. Nel luglio 2021 i due vertici dell’azienda, l'amministratore delegato Giorgio Bertan e il direttore dell'area tecnica Giampaolo Pinton, sono stati accusati di essere a conoscenza e aver avallato le condizioni disumane di lavoro in cui erano sottoposti 11 lavoratori pakistani, dipendenti dell’azienda appaltatrice Bm Service (quest’ultima forniva servizi di confezionamento per l'editoria a Grafica Veneta).

Il dibattito inizia sottolineando come qui, nel Veneto, il caporalato sia visto come un fenomeno estraneo e relegato a luoghi lontani (ad esempio nelle campagne del sud Italia). Luca Dall’Agnol spiega come in realtà sia da tempo presente anche nel tessuto economico del Nord Est, soprattutto a seguito della trasformazione del modello di produzione avviato alla fine degli anni ‘90. I processi di esternalizzazione e i conseguenti appalti delle varie fasi produttive a società e cooperative hanno creato un terreno fertile per lo svilupparsi del fenomeno. Ed è proprio nei contratti di appalti, più esposti al rischio di sfruttamento e illegalità, che sono stati confinati i lavoratori più precari, in particolare i lavoratori migranti. Si viene a creare così una concorrenza tra lavoratori all’interno della stessa azienda: da una parte i lavoratori diretti, in gran parte di origine autoctona, e dall’altra parte quelli che hanno un rapporto di lavoro indiretto, perlopiù stranieri e a volte selezionati direttamente nei centri di accoglienza. Quello che è accaduto a Grafica Veneta non è quindi un caso isolato, ma ricalca una dinamica che esiste in tante altre aziende.

Rispetto alla vicenda in questione, Luca Dall’Agnol ha sottolineato come, successivamente alla sentenza (patteggiamento da parte dei due vertici Grafica Veneta, che commuta la pena di sei mesi a un pagamento pecuniario), l’ADL Cobas ha continuato a battersi affinché i lavoratori precedentemente sfruttati fossero assunti con contratti di lavoro dipendente. Grafica Veneta attualmente ha negato sia tale possibilità sia l’ipotesi di aprire una trattativa in tal senso.

Il caso di Grafica Veneta lega la realtà dello sfruttamento del lavoro con la filiera dell’editoria e della cultura. Sorge spontaneo allora chiedersi se vi sia un legame tra il mondo della cultura e quello della solidarietà nel mondo del lavoro. Massimo Carlotto ritiene che da tempo questo sia venuto meno, più nello specifico da quando la narrazione del mondo lavoro e della fabbrica è stata eliminata dal mondo della cultura.

Lo scollamento tra questi due mondi è divenuto palese proprio a seguito dell’appello lanciato dallo stesso Carlotto, in cui venivano chiesti atti concreti in favore dei lavoratori vittime di sfruttamento (il contratto a tempo indeterminato, il pagamento in surroga degli stipendi arretrati e tutele per i documenti e per la casa). A tale appello hanno risposto in pochi; un silenzio che è stata una rivendicazione dell’estraneità al mondo del lavoro. È invece necessario invertire questa tendenza e ricostruire un tessuto narrativo che ricomprenda il lavoro.

Nella triste storia che ha visto protagonista Grafica Veneta bisogna soffermarsi anche sulle dichiarazioni razziste rilasciate da Fabio Franceschi (Presidente di Grafica Veneta). Riferendosi alle condizioni aberranti in cui vivevano i lavoratori pakistani le ha definite “neanche male” visto che secondo lui “loro sono un po’ così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro cultura”. Un linguaggio che dovrebbe far rabbrividire, ma che in realtà fa breccia nella “sua gente’’, buona parte del mondo dell’industria veneta, come afferma Massimo Carlotto. Secondo Luca Dall’Agnol tali dichiarazioni hanno rivelato il meccanismo che sta alla base del "patto razzista”: gli stranieri devono lavorare a condizioni vergognose per guadagnarsi il diritto di vivere in Italia. Nel momento in cui questo patto viene rotto perché si richiedono diritti uguali a quelli dei lavoratori italiani si diventa irriconoscenti.

Alla luce di tutti queste riflessioni è necessario andare oltre lo sdegno. Staccarsi da un piano teorico e fare qualcosa di concreto. Lo sdegno fine a se stesso crea frustrazione. L’unico modo, dice Luca Dall’Agnol, è mettersi in gioco, ognuno secondo le sue possibilità e trovare dei momenti per organizzarsi in gruppo. Di fronte a situazioni come quella di Grafica Veneta non si può stare fermi, o limitarsi a iniziative online. E in particolare chi ha tanta visibilità deve portare il tema fuori dalle dinamiche di nicchia in cui di solito viene discusso. Massimo Carlotto, ragionando sul suo ruolo di professionista, che lavora nell’industria culturale, ritiene di non aver un luogo diverso in cui possa vivere questa radicalità.

In virtù del contesto in cui avviene il dibattito non si può non soffermarsi sull’industria della cultura in generale, e sulle tante contraddizioni che sono al suo interno in termini lavorativi e di sfruttamento. Il lavoro nel mondo dell’editoria è infatti uno dei più sottopagati, ad ogni livello della produzione (editor, correttori di bozze, grafici, illustratori, promotori, chi lavora nella logistica e nella distribuzione). Lo sfruttamento in questo settore spesso è invisibilizzato, ma esiste, e crea lavoratori poveri. La “fortuna” di tale settore, che resta in piedi nonostante tutto, è da ricercarsi in primo luogo nella nobiltà dell’oggetto libro e della cultura in generale che tende a nascondere queste dinamiche; e in secondo luogo nella promessa di un guadagno futuro, a seguito di una dura gavetta. Bisogna svelare tali condizioni, e combattere affinché queste mansioni siano riconosciute come lavori con diritto ad un salario minimo che permetta di vivere in modo dignitoso. 

Massimo Carlotto, partendo da queste considerazioni di Luca Dall’Agnol, in merito al lavoro e alla remunerazione fa presente un’altra grande problematica legata all’industria della cultura: la fusione tra quest’ultima e l’industria della comunicazione. La ratio di questa grande unione è la neutralizzazione della narrazione di tutte le forme artistiche. Ormai non è più importante cosa scrivi, ma come questo viene assorbito dalla macchina del consenso. Ci si chiede se sia giusto lasciare le cose in questo stato che non permette di parlare di certe tematiche o se sia più giusto costruire altri percorsi? Costruire altri percorsi significa avere dei luoghi dove la stessa narrazione che hai nel mondo culturale la porti fuori e la esamini in altri ambiti, per costruire un nuovo tessuto. In altre parole creare una cultura slegata dalla macchina del consenso: autonoma radicale e ribelle.