Festival Indipendenti uniti, superando le contraddizioni e concentrandosi sulle rivendicazioni

Il report dell'incontro "Cambiamo musica", che ha aperto i dibattiti di Sherwood Festival 2021

29 / 6 / 2021

Giovedì 24 giugno, secondo giorno di Sherwood Festival 2021, ritornato alla ribalta dopo un anno di stop forzato imposto dalla Pandemia, sì, ma anche dalle limitazioni decretali.

Il primo dibattito che si è svolto nello stand Libri, Media & Produzioni non poteva che soffermarsi su questa data situazione, con il contributo dei Festival indipendenti sottoscrittori della campagna “Cambiamo Musica?” (Festa di Radio Onda d’Urto, Festival Alta Felicità e Sherwood Festival) che ha lanciato due lettere a partire da aprile 2020 incentrate sulle varie criticità che riguardano l’industria dello spettacolo e sui problemi che sono sistemici nei circuiti della musica live e che in questo anno e mezzo di pandemia si sono materializzati ancora di piú, mettendo in ginocchio un settore intero di lavoratrici e lavoratori, che giá in periodi non sospetti erano in condizioni precarie e senza tutele.

Ospiti dell’evento Alex Favaretto di Sherwood Festival, Andrea Cegna della Festa di Radio Onda d’Urto di Brescia ed Andrea Buonadonna del Festival Alta Felicità della Val Susa, le Maestranze dello Spettacolo – Veneto rappresentate dal Maestro Jacopo Pesiri, Toto Barbato del The Cage di Livorno, il tutto condito dalla conduzione di Pino Gianluca Pizzotti (Radio Sherwood) e Francesca Gabriellini (Gemini Network).

Qui di seguito riportiamo alcuni spezzoni nevralgici del dibattito, rimandandovi al Podcast per l’ascolto completo della trasmissione e alla registrazione video del talk.

ALEX FAVARETTO (Sherwood Festival): Ci muoviamo all’interno di un mercato della musica in cambiamento, dove le multinazionali dettano la linea imponendo prezzi esosi ed impossibili da sostenere per un Festival che si autofinanzia.

Bisogna provare a cambiare il meccanismo, è vero, è un percorso lungo ma i nostri festival hanno il dovere di porre l’attenzione su queste determinate tematiche. I protagonisti principali di questo ambiente devono provare radicalmente a cambiarlo (mi riferisco ai booking & artisti).

È ormai passato un anno dalla nostra prima lettera di rivendicazioni ed il mondo dello spettacolo non ha ricevuto alcuna risposta dalle istituzioni. La parola spettacolo non è mai stata nominata in alcun decreto, in alcuna trasmissione televisiva. Dopo un anno, nel 2021, non abbiamo mollato ed abbiamo riposto l’accento sull’argomento, dato che si apriva la stagione estiva, ed ancora una volta le istituzioni non davano alcuna risposta.

Siamo molto felici di essere qui a parlare dell’argomento all’interno dello Sherwood Festival 2021, abbiamo avuto l’ostinazione per far ripartire questo festival che rappresenta un punto di socialità che oltre alla musica offre tanta cultura. Un festival che è un luogo importante per il tessuto sociale della città in cui si svolge.

ANDREA CEGNA (Radio Onda d’Urto): Più o meno un anno fa dovevamo decidere se fare o meno qualcosa per autofinanziarci. Abbiamo deciso di no perché Brescia era stato un luogo fortemente interessato dalla pandemia, avremmo dovuto fare una festa in una città fortemente colpita.

Crediamo che sia sbagliato dire che siamo dinanzi ad una “Ripartenza”, non lo era l’anno scorso, non lo è nemmeno quest’anno, specie per le imposizioni numeriche che in una festa di massa sono molto gravose da sostenere. Noi non volevamo rappresentare un elemento escludente.

Il concetto di cura è molto presente nelle nostre parole chiave. Curarsi delle persone significa scegliere di non mettere dinanzi a tutto il resto esclusivamente il profitto, ma fare un passo indietro e preservare l’incolumità di tutt*. L’anno scorso abbiamo azionato un atto di responsabilità, un atto di cura collettiva, riconoscendo quando una imposizione fosse privazione della libertà e quando invece fosse una questione di cura e responsabilità.

Quest’anno, invece, cercheremo di buttare il cuore oltre l’ostacolo garantendo una formula che non è propriamente quella ordinaria ma che cerca comunque di garantire una festa, una sintesi delle lotte all’interno delle quali si incontreranno i lavoratori dello spettacolo come ospiti e come lavoratori, perchè se in una città come Brescia saremmo mancati come Festa, ciò avrebbe comportato un lavoro in meno per gli stessi lavoratori.

Abbiamo creato un’area dentro un’area, la sagra sarà disponibile a tutti e, al contempo, un’area per i concerti accessibile con biglietti che, purtroppo, non hanno i prezzi alla quale eravamo abituati.

È una contraddizione? Certamente è un problema, non vogliamo far finta di nulla.

Detto ciò i problemi che abbiamo presentato un anno fa sono ancora visibili e presenti.

Sono molto pochi quelli, tra artisti, booking ed agenzie, che stanno cercando di fare qualcosa diverso. Spesso, mi duole dirlo, anche le agenzie più indipendenti ripercuotono e replicano le medesime formule delle multinazionali, sebbene non abbiano lo stesso potenziale economico, il che semmai è ancora peggio dato che tali formule in un ambiente del genere provocano un collasso.

Siamo dinanzi ad un cane che si morde la coda, una situazione a limite!

Noi quest’anno apriamo, abbiamo cercato di ridurre i biglietti anche se non è stato molto possibile. Siamo difronte ad un qualcosa di insostenibile, certo, ma dobbiamo cercare di far qualcosa onde impedirci il diritto alla musica, per la quale i compagni e compagne degli anni 70 creavano degli scontri.

Quest’anno stiamo tutti vivendo e lavorando in emergenza, forse anche più dell’anno scorso. Essere qua a parlarne con voi è necessario.

Noi dobbiamo cercare di creare un modello, parlare con gli artisti, quei soggetti intermedi, affinché abbiano quella facoltà di scegliere di esserci, parlando con le agenzie, scegliendo di tagliarsi del cachet o le spese, proprio per la voglia di condividere.

Dobbiamo cercare di ricostruire un sistema virtuoso che spacchi questo sistema, bisogna avere il coraggio e non ritirare la mano, anzi, creando un modello alternativo che rifaccia le relazioni.

La grande presenza di sponsor nei concerti ha abituato da una parte il pubblico a non pagare nulla per assistere ad uno spettacolo e ai gruppi a pretendere un cachet pieno. Bisogna ragionare insieme, per un sistema virtuoso, per pagare tutti il giusto, perché di certo non facciamo le battaglie per poi replicare nei festival situazioni assurde in cui i lavoratori non vengono pagati. Tutt’altro. Ma bisogna garantire giusta retribuzione da un lato e garantire dall’altro lato un’accessibilità ai concerti che tuttora non esiste.

Essere un festival indipendente passa dal pretendere di riconoscere quello che siamo, garantire giuste paghe, giusti guadagni ma non farci schiacciare dalle multinazionali della musica.

ANDREA BUONADONNA (Festival Alta Felicità):

Alta Felicità non esisterebbe senza il movimento No Tav. Il movimento No Tav, invece, ha fatto a meno del Festival per 25 anni di storia, anche se gli ultimi 5 anni in cui si è tenuto il festival sono stati importanti per un fattore di aggregazione, volto anche a creare un ricambio generazionale, per narrare una parte di vita vissuta alle nuove generazioni. L’Alta Felicità aveva il compito di mettere in pratica delle rivendicazioni. Chi non ha mai vissuto le lotte anche ballando al sol ritmo della musica in festival ci ha accompagnato in questa lotta.

Il festival fin dalla prima edizione ha rappresentato una scommessa. Siamo partiti ad aprile per luglio, è stata una scommessa con noi stessi, essere capaci di produrre in pratica molte rivendicazioni, molte parole chiave.

Vengo allo slogan di Sherwood: 1 euro può bastare, questa è equiparabile ad una rivendicazione delle lotte come le altre, in tempi difficili come questi bisogna seminare. L’approccio è quello di camminare domandando, come per gli Zapatisti, in questo cammino che sembra un po’ a mo’ di Don Chisciotte!

Noi siamo un Festival molto connotato, chi sceglie di venire da noi sa di fare una scelta di campo, serve una scelta in più, una scelta drastica, non puoi di certo tenerti sul vago o sul dubbio.

Questo portato comporta di conseguenza anche una sorta di scotto da pagare per la tua libertà. Anhce indossare una t-shirt con un logo no tav, crea problemi.

Le parole sono importanti e quest’anno non ci chiameremo Festival dell’alta felicità, onde scomodare quel che abbiamo rappresentato sin ora con oltre 70.000 persone alla volta. Saremo “Weekend dell’alta felicità” e lanceremo un messaggio contro il sistema. Parlano di green pass, anche se ci delimitano settori con dpcm tutti cervellotici. Tutti possono decidere come autotutelarsi in festa. Abbiamo predisposto anche un settore di cura in cui facciamo tamponi salivari avvalendoci dei medici.  Non possiamo rischiare di essere troppo in contraddizione col nome di alta felicità, dobbiamo essere contenti anche di scambiarci effusioni sotto il palco, cose che ci mancano molto da tanto.

JACOPO PESIRI (Maestranze dello Spettacolo): Da un momento all’altro ci siamo trovati senza lavoro e da un momento all’altro ci siamo trovati a sfruttare le nostre caratteristiche.

Siamo tutti colleghi nel nostro mondo, ci conosciamo tutti, e dunque ci siamo chiesti: “Ragazzi cosa dobbiamo fare?” Fin da subito abbiamo annusato tutti la problematica dato che la promiscuità è la nostra peculiarità e stare insieme in un momento di pandemia globale per noi è pericoloso.

In primis avremmo dovuto garantire a tutti che arrivassero dei soldi per sostentarci tutti e tutte. Il Primo maggio presso il Teatro Verdi abbiamo chiesto proprio questo, partendo dalle nostre rivendicazioni economiche sì, ma non solo. Oltre al pane c’è bisogno anche delle rose.

Non è stato facile abbiamo dovuto scontrarci con le problematiche del nostro lavoro. Il percorso intanto ci ha uniti come professionisti, un vero e proprio bisogno dato che per “maestranze” si intende uno strano canottaggio. Abbiamo dalla realtà delle cooperative sino ai tecnici freelance, sarte di scena coordinamento che ha dato grande caratterizzazione, i cantanti lirici siamo in 7, tanti tecnici, facchini, veramente un po’ di tutto.

Tra le nostre manifestazioni cito "Bauli in piazza" dove abbiamo bloccato scenicamente le prefetture di Padova e di Vicenza, poi abbiamo bloccato il Ponte della libertà.

La Regione Veneto ci ha riconosciuto un bonus una tantum che non è stato capillare e garantito a tutti, ma è stato tuttavia qualcosa.

Abbiamo imparato che la distanza dei lavoratori non crea profitto, stando insieme si fa qualcosa.

Sogniamo che lo Stato partecipi agli eventi, sostenendo chi paga in bianco i lavoratori e le lavoratrici.

Molteplici sono le forme che il pagamento ha il nostro lavoro, e bisogna rifiutare la logica del rimborso spesa. Tutto quello che abbiamo capito dalle nostre riflessioni lo abbiamo messo a disposizione delle istituzioni, per garantire una sussistenza ai lavoratori dello spettacolo.

Lo Stato dovrebbe garantire ai lavoratori delle assicurazioni.

Bisogna essere parte attiva delle soluzioni di problemi. Qui a Padova siamo stati parte attiva, abbiamo ripetuto in piccolo quello che è il FUS, fondo per il sostentamento dello spettacolo. Non è giusto che soltanto alcuni prendono sostentamento per lo spettacolo, ma dovrebbero esserci dentro anche i piccoli eventi capillari che parlano di cultura e sostenibilità.

Abbiamo avvicinato lavoratori che magari non si sarebbero mai conosciuti.

È come essere a sera intorno al fuoco a raccontarci chi siamo.

Ci siamo conosciuti, abbiamo creato una parte sapiente del conflitto sociale, dimostrando che senza nulla da perdere non c’è nessuna paura, ed abbiamo creato un qualcosa per valorizzare persone e territori.

Qual è il futuro di queste lotte? Continuare a coinvolgere colleghi e colleghe nella decostruzione di questo ambiente pieno di tossicità, discriminazioni e di lotte di genere. Abbiamo la tossicità delle agenzie che inquina tutto il mondo dello spettacolo.

Creiamo una rete di conoscenza reciproca, rivendichiamo diritti e facciamo capire ai colleghi che lo spettacolo non è una montagna da scalare per arrivare in cima a tutti i costi. Alcuni sono su quella punta dell’iceberg ma questo mondo si sostiene soprattutto attraverso la parte sommersa.

Bisogna far uscire la parte sommersa conferendogli una dignità perché dove ci sono diritti per coloro che sono in basso, si garantiscono i medesimi sistemi di welfare anche per chi lavora in ambienti più grossi.